samedi 31 décembre 2016

Sainte COLOMBE de SENS, vierge et martyre


Abbaye Sainte-Colombe de Saint-Denis-lès-Sens (Yonne, France)

Sainte Colombe

Vierge et martyre à Sens ( 274)

Une jeune fille espagnole venue dans la région de Sens en Bourgogne, qui mourut pour sa foi et dont la vie est toute résumée par ce don d'elle-même au Christ. Elle fut très honorée au Moyen Age à Paris. 

"Jeune fille originaire d’Espagne qui quitta son pays à cause des persécutions. Elle s’établit à Sens, où existait une forte et fervente communauté chrétienne à laquelle elle se joignit. Alors qu’elle était encore très jeune, elle résista courageusement aux autorités romaines qui voulaient la faire renoncer à sa foi, et subit le martyre à la sortie de Sens* (lieu dit: Fontaine d’Azon). Les chrétiens construisirent une église sur son tombeau et un monastère s’y établit.

Aujourd’hui un pèlerinage a lieu tous les ans au mois de juillet dans l’église qui se trouve sur son tombeau, à Saint-Denis-les-Sens. C’est là que se trouve sa statue." (source: diocèse de Sens-Auxerre)

"Née en Espagne de famille royale et de parents païens, Colombe consacre sa vie à Jésus Christ. Avec quelques fidèles, elle prend le chemin de la Gaule. Après avoir reçu le baptême à Vienne (en Dauphiné), elle se rend au pays de Sens où la religion est très florissante. Modèle de pureté et de courage, elle subit le martyre le 31 décembre 274, pour affirmer sa foi et conserver sa virginité. Dès le VIIe siècle, un monastère est fondé sur son tombeau." (source: Saint-Denis-lès-Sens)

* Un internaute nous écrit: Sainte Colombe subit le martyre à Saint-Clément - 89100. Au lieu de son supplice existent un calvaire et une source et des processions y sont toujours organisées.

À Sens, sainte Colombe, vierge et martyre.


Martyrologe romain



Statue de Sainte Colombe (fin XIXe siècle), 

Sainte Colombe (+274)

Jeune chrétienne de 16 ans résidant dans la ville de Sens (Yonne), certains auteurs lui attribuent des origines espagnoles. Elle est condamnée par Aurélien à être violée dans l’amphithéâtre de la ville. Lorsque se présente l’homme chargé d’appliquer la sentence, une ourse surgit soudain dans l’arène et se jette sur lui pour l’immobiliser. Colombe lui assure qu’il sera laissé libre à la condition qu’il se convertisse, ce à quoi il consent. La bête relâche aussitôt son étreinte pour le libérer. Dans une nouvelle tentative, Colombe et l’ourse sont condamnées à périr dans les flammes, mais à ce moment se produit une averse qui éteint le brasier. Colombe est finalement conduite à l’extérieur de la ville afin d’y être décapitée.

SOURCE : http://www.peintre-icones.fr/PAGES/CALENDRIER/Decembre/31.html


Statue de Sainte Colombe. Autel de l’Église Saint-Colombe, Hattstatt


Columba of Sens, VM (RM)

Born in Spain; died in Meaux, France in 273. While the date and circumstances of Columba's martyrdom are undocumented except in a spurious passio, her legend says that she fled her homeland in order to avoid being denounced as a Christian. She and other Spanish believers migrated to France and all were martyred at Meaux under Aurelian. Formerly she was venerated throughout France; the historical monuments of Sens still testify to this devotion (Attwater, Benedictines, Encyclopedia). In art, Saint Columba is portrayed as a crowned maiden in chains. At times she may (1) have a dog or bear on a chain, (2) hold a book and a peacock's feather, (3) be with an angel on a funeral pyre, or (4) be beheaded (Roeder). 


Santa Columba, Santa Coloma, Arceniega, Álava, Espagne


St. Columba of Sens

Suffered towards the end of the third century, probably under the Emperor Aurelian. She is said to have been beheaded near a fountain called d'Azon; and the tradition is that her body was left by her murderers on the ground, until it was buried by a man called Aubertus, in thanksgiving for his restoration to sight on his invoking her. A chapel was afterwards built over her relics; and, later on, rose the Abbey of Sens, which at one time was a place of pilgrimage in her honour. She is also said to have been patroness of the parish church of Chevilly in the Diocese of Paris, but her whole history is somewhat legendary.

Capes, Florence. "St. Columba of Sens." The Catholic Encyclopedia. Vol. 4. New York: Robert Appleton Company, 1908. 31 Dec. 2016 <http://www.newadvent.org/cathen/04135b.htm>.

Transcription. This article was transcribed for New Advent by Joseph P. Thomas.

Ecclesiastical approbation. Nihil Obstat. Remy Lafort, Censor. Imprimatur. +John M. Farley, Archbishop of New York.




Giovanni Baronzio, Scènes de la vie de Sainte Colombe : Colombe devant l’Empereur, 1340,
 tempera sur bois, 55 X 55, Pinacoteca di Brera


Santa Colomba di Sens Vergine e martire


† Sens, Gallia, III secolo

Titolare della Chiesa Cattedrale, santa Colomba proveniva da una famiglia pagana; dopo essere stata battezzata, si trasferì a Sens in Francia. Fu martirizzata per ordine dell'Imperatore Aureliano nella seconda metà del III secolo. Il culto di santa Colomba giunse a Rimini provvidenzialmente: alcuni mercanti di Sens, che veleggiavano nell'Adriatico, portando con sè una reliquia di santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini, dove la reliquia, accolta da Stemnio, Vescovo di Rimini, fu posta nella Cattedrale.

Martirologio Romano: A Sens nella Gallia lugdunense, ora in Francia, santa Colomba, vergine e martire.

Santa Colomba di Sens, è stata una delle martiri più celebri di tutto il Medioevo e il suo culto ebbe una larga diffusione. Ciò nonostante, le notizie storiche che la riguardano, sono circondate dalla leggenda; la stessa 'Passio' è piena di luoghi comini, tipici della agiografia aurea dei primi martiri.


Colomba è presentata come appartenente a nobile ma pagana famiglia di Spagna e vissuta nel III secolo; per sottrarsi al culto degli dei, lasciò la famiglia e si recò in Gallia prima a Vienne dove ricevé il Battesimo, poi a Sens. Sembra che il suo vero nome fosse Eporita e che sarebbe stata poi chiamata Colomba per la sua innocenza.

A Sens, fu arrestata come cristiana a causa della persecuzione in atto in tutto l'Impero Romano; trovandosi in città l'imperatore Aureliano Lucio Domizio (270-275), fu condotta davanti a lui, che nel tentativo di farla rinunziare alla verginità cristiana, sarebbe giunto a proporle il matrimonio con suo figlio.

Ma poi irritato per il suo rifiuto, la condannò ad essere chiusa nell'anfiteatro in una 'cella meretricia'; ma quando si presentò un giovinastro per abusare di lei, un'orsa dell'anfiteatro intervenne a proteggerla, mettendo in fuga l'uomo.

Visto che nessuno dei soldati volle più intervenire, Aureliano infuriato, ordinò che sia la vergine, sia l'orsa fossero bruciate; ma una nube proveniente dall'Africa, procurò una provvidenziale pioggia, che spense il fuoco già preparato; mentre l'orsa scappò via nei campi. L'imperatore ostinato, allora condannò Colomba alla decapitazione, dopo un ultimo tentativo di farle cambiare fede.

La giovane, appena sedicenne, subì il martirio non lontano da Sens e fu sepolta da un tale, che invocandola aveva recuperata la vista; ciò avvenne nella seconda metà del III secolo, negli anni fra il 270 e il 275, facendo riferimento all'imperatore Aureliano, trovatosi a Sens per le sue guerre in Gallia.

Veneratissima nella Francia dell'epoca, il re Lotario III nel 620 fondò sul sepolcro della santa, la celebre abbazia reale di Sainte-Colombe-les-Sens. Nel 623 il vescovo di Sens, s. Lupo († 623) volle essere sepolto ai piedi della martire; nell'853 il vescovo Wessilone nel consacrare la nuova chiesa, trovò unite le reliquie dei due santi e le fece avvolgere in un prezioso sudario in tessuto orientale, i cui pezzi ritrovati nel XIX secolo, sono conservati nel tesoro della cattedrale.

La chiesa dell'abbazia fu costruita una terza volta e consacrata nel 1164 da papa Alessandro III, poi distrutta nel 1792 al tempo della Rivoluzione Francese.

I resti del complesso dell'abbazia e della chiesa, furono acquistati nel 1842, dalle religiose della Santa Infanzia di Gesù e Maria, che vi edificarono la loro Casa Madre, salvaguardando i resti dell'antica cripta; le reliquie di s. Colomba erano comunque già stata trasferite sin dal 1803 nella cattedrale di Sens.

Numerose sono le chiese dedicate alla santa martire, in Francia, Spagna, Fiandre, Germania e in Italia, dove il culto si diffuse particolarmente a Rimini. Secondo i racconti tradizionali locali, alcuni mercanti che navigavano nell'Adriatico, avevano con sé una reliquia del capo di santa Colomba, ma furono costretti ad approdare a Rimini, dove la reliquia fu accolta dal vescovo Stennio e posta nella cattedrale.

Nel 1581 mons. Castelli vescovo di Rimini, essendo nunzio apostolico in Francia, ottenne dai monaci dell'abbazia di Sens, le reliquie di una costola e due denti della martire, che dal secolo XVIII sono conservate in un busto reliquiario ora posto nel Tempio Malatestiano, la nuova cattedrale, che sostituì l'altra demolita nel 1815 dedicata alla SS. Trinità e a S. Colomba.

Si è parlato di una traslazione del corpo di Colomba a Bari nel sec. XVII, ma senza alcun serio fondamento.

A partire dal Martirologio Geronimiano, fino a quello Romano, la festa di s. Colomba è riportata al 31 dicembre. La popolarità del culto in Francia, andò poi lentamente scemando e fallì nel secolo XIV il tentativo di riportarlo in larga diffusione. A Sens, a causa di una festa locale, concomitante con l'ultimo dell'anno, la celebrazione fu spostata al 27 luglio più altre ricorrenze, come la traslazione delle reliquie e la dedicazione della sua chiesa.

Santa Colomba è invocata per ottenere la pioggia e i suoi attributi iconografici sono un'orsa incatenata ed una penna di pavone al posto della palma dei martiri.

Autore: Antonio Borrelli




Vitrail, église Sainte-Colombe (Chevilly-Larue)

Studio su Santa Colomba a cura di Joseph-Gabriel Rivolin

Lo storico valdostano ci ha fatto dono di questo suo approfondito lavoro
Se oggi il nome di santa Colomba dice poco, nell'alto Medioevo il suo culto, promosso dai re merovingi, fu molto diffuso in tutto l'Occidente cristiano ed ebbe come centro l'abbazia reale di Sainte-Colombe-lès-Sens, fondata da Clotario II nel 620 circa attorno alla tomba della santa. Colomba rientra dunque a pieno titolo nel novero dei santi il cui culto, come notavano già monsignor Duc e l'abbé Henry, provenne dalla Gallia all'epoca in cui la Valle d'Aosta era parte integrante del regno dei Franchi.
Che si possa collocare la fondazione della chiesa di Charvensod in epoca merovingia e in connessione con una grande proprietà di origine gallo-romana, appare tanto più probabile, quanto più si conosca il progressivo radicamento della religione cristiana nel corso della tarda Antichità e dell’alto Medio Evo. Michel Aubrun, nel ricostruire le prime fasi della storia dell’istituto parrocchiale, descrive come si fosse passati dalle poche chiese battesimali extraurbane di epoca paleocristiana al fiorire di oratori privati, collocati appunto nell’ambito di grandi domaines appartenenti a proprietari laici, sin dalla fine del V secolo. Autorizzato formalmente dal concilio di Agde del 506, il culto in cappelle private, collegato alle esigenze religiose della famiglia del dominus e dai suoi servi, coloni e sottoposti, subì una naturale evoluzione verso la formazione di autonome parrocchie, la cui ufficializzazione avvenne progressivamente, adducendo ragioni di comodità, di sicurezza, di lontananza degli oratori dalle pievi originarie. Tale processo avvenne per l’appunto a partire dalla fine del V secolo e si protrasse sino all’epoca carolingia, in cui la parrocchia, diffusasi capillarmente mediante la disgregazione delle antiche e vaste plebanie di origine paleocristiana, divenne un vero e proprio instrumentum regni per l’inquadramento della popolazione, non soltanto sotto l’aspetto religioso.
Perché, quindi, propendere per una datazione del titulus di Santa Colomba di Charvensod all’epoca merovingia piuttosto che a quella carolingia? È presto detto: Colomba, il cui culto fu particolarmente in auge all’epoca di Clotario II (re dal 584 al 629), come si è ricordato, era una martire e si ricollegava quindi a una tradizione più antica, rispetto ai culti per i santi confessori e particolarmente per i santi locali: culti che si diffusero appunto in epoca carolingia, ma cui la Chiesa stentava ancora, all’epoca di Carlo Magno, a riconoscere piena legittimità, come dimostrano i canoni del concilio di Francoforte del 794, ostili all’introduzione di "nuovi" santi che non avessero subito la prova del martirio. Per reazione, il periodo successivo vide la moltiplicazione di chiese dedicate a santi locali, in genere confessori. Pur non costituendo un argomento decisivo, la qualità di martire della patrona della chiesa di Charvensod è dunque un elemento che rende più probabile l’ipotesi di un’intitolazione di essa in un’epoca successiva alla costruzione dell’abbazia di Sens, ma precedente la fine dell’ottavo secolo.

SOURCE : http://www.comune.charvensod.ao.it/charvensod/index.cfm/studio-su-santa-colomba-a-cura-di-joseph-gabriel-rivolin_1-27-111-0.html


Santa Colomba: dalla Francia a Bari

Nella cripta della Cattedrale di Bari sul lato sinistro in una teca climatizzata,  sono conservate le reliquie di Santa Colomba di Sens che si festeggia il 31 dicembre l’ultimo giorno dell’anno . Dopo San Nicola la Santa  è molto venerata dai fedeli ortodossi, dai turisti (soprattutto francesi e spagnoli) e dai visitatori   che quotidianamente visitano la cripta. Tutti sono incuriositi della sua presenza e   interessati a conoscere la storia di questa misteriosa santa.
Ma chi era Santa Colomba e come si trovano a Bari le sue reliquie?
La vita e il culto

Colomba nacque in Spagna nel 257 e morì a Sens (Francia) nel lontano 273. Era una patrizia che si converti al cristianesimo e morì decapitata. Di famiglia nobile pagana si convertì al cristianesimo a 16 anni. Dopo aver ricevuto il battesimo scappò dalla Spagna insieme ad altri cristiani per sfuggire alle persecuzioni dell’imperatore Aureliano e  si trasferì a Sens. Fu rintracciata e rinchiusa in carcere. La leggenda narra che, mentre Colomba si trovava in carcere, una guardia cercò di violentarla e un orso, usato per gli spettacoli in un vicino anfiteatro arrivò in suo soccorso attaccando la guardia e liberando Colomba dal suo aggressore e dalla  sua cella. È narrato che Colomba dopo essere stata salvata dall’orso, sia stata destinata a perire sul rogo; tuttavia anche in questo caso fu salvata da un provvidenziale acquazzone che spense le fiamme Da ciò ha origine l’invocazione alla santa da parte dei fedeli per la tutela dal pericolo degli incendi. Fu martirizzata più tardi mediante decapitazione per volontà di Aureliano intorno al 273. Il martirio avvenne nella città di Sens vicino ad una fontana detta di Azon. La tradizione dice che un cieco di nome Aubertus riacquistò la vista dopo aver invocato Santa Colomba. In ringraziamento Aubertus avrebbe preso il corpo dal luogo, dove era stata giustiziata e le avrebbe dato una sepoltura dignitosa. Nel luogo della tomba fu costruita una cappella e, in seguito nel 620 circa Clotario II fondò una abbazia di Sainte Colombe lès Sens. In quel periodo la forte devozione verso questa martire è testimoniata anche dal fatto che altre chiese francesi le sono state dedicate. Il culto di Santa Colomba giunse in Italia a Rimini in maniera provvidenziale: si racconta che alcuni mercanti di Sens, che viaggiavano nell’Adriatico portando con sé una reliquia di santa Colomba, furono costretti ad approdare a Rimini. La reliquie fu accolta da Stemnio vescovo della città dal 313 circa, e fu posta nella cattedrale di Rimini dedicata poi alla stessa santa. Nell’alto medioevo il culto arrivò anche in Valle d’Aosta. Evidenze si trovano nel comune di Charvensod, dove la chiesa parrocchiale è titolata alla Santa. Anche ad  Atri sono conservate  alcune reliquie della Santa nel Museo Capitolare.
L’arrivo a Bari

Le reliquie a Bari di santa Colomba sarebbero arrivate intorno al XVIII secolo, portate da alcuni vincenziani francesi in fuga dagli Ugonotti. Le reliquie furono in un primo momento conservato nel palazzo della Missione dei Vincenziani (ex tribunale militare ubicato in Via San Francesco d’Assisi) dove ancora oggi esiste una cappella dedicata alla Santa e, successivamente traslate  in Cattedrale l’8 maggio del 1939 per volontà  dell’Arcivescovo di Bari Mons.  Marcello Mimmi. Quello che si vede nella teca , non è il corpo incorrotto della Santa come può apparire, ma si tratta di ossa ricomposte in un involucro di stoffa  e coperte  con un sontuoso abito da seta forse donato da Gioacchino Murat generale francese e Re di Napoli. La presenza di Santa Colomba a Bari ha fatto sì che la santa diventasse protettrice dei colombi, uccelli dei quali porta il nome: una leggenda vorrebbe che il suo corpo sia giunto in città portato in volo da molti di questi volatili. La Santa è  invocata anche per ottenere la pioggia e,  in questo momento in  Puglia c’è tanto   bisogno di acqua.

Michele Cassano





Bienheureux ALAIN de SOLMINIHAC, évêque


Bienheureux Alain de Solminihac

Évêque de Cahors (+ 1659)

Evêque "malgré lui", Alain de Solminihac aura pendant les 21 années de son épiscopat une préoccupation essentielle: introduire et faire appliquer dans le diocèse les décrets du concile de Trente. Pour cela il sera évêque "itinérant", accordant beaucoup de soin aux visites pastorales. Jean-Paul II le béatifia en 1981.

(cf. site Internet du diocèse de Cahors)

À Mercuès près de Cahors, en 1659, le trépas du bienheureux Alain de Solminihac, évêque de Cahors, qui s’appliqua à corriger les mœurs de son peuple par ses visites pastorales et s’efforça par tous les moyens, avec un zèle apostolique, de rénover son Église.

Martyrologe romain

SOURCE : http://nominis.cef.fr/contenus/saint/334/Bienheureux-Alain-de-Solminihac.html


(1593-1651)-Béatifié le 4 octobre 1981

1. La vie d’Alain de Solminihiac

1-1-L’enfance et l’adolescence

Alain de Solminihac naquit le 25 novembre 1593 au château de Belet, situé à une vingtaine de kilomètres à l’ouest de Périgueux. D’une bonne et ancienne noblesse du Sarladais, sa famille était restée fidèle au catholicisme, dans une région très infiltrée par le protestantisme et dévastée par les Guerres de religion.

Alain, numéro 3 des garçons de la famille était intelligent et séduisant, ayant tout pour devenir un gentilhomme accompli. Il fut donc initié à toutes les disciplines mondaines de son rang: équitation, escrime, danse, chasse, et bien sûr, les belles manières. À l’âge de dix-sept ans, c’était non seulement un jeune homme à l’esprit chevaleresque et généreux, mais son sens de l’honneur le poussait à s’engager au service du Roi, parmi les chevaliers de l’Ordre de Malte.

Alain avait un oncle, Arnaud qui était Abbé de Chancelade. Afin que le bénéfice de l’abbaye reste dans la famille, Arnaud se tourna vers les enfants de son frères. N’étant pas satisfait des deux aînés, il fit appeler Alain. Les aptitudes du neveu plurent à l’oncle qui lui proposa sa charge, et Alain accepta.

Arnaud remit sa démission au roi et demanda pour son neveu un brevet de nomination. Las! Alain n’avait pas de diplôme universitaire, obligatoire... Qu’à cela ne tienne, Alain entra à l’université de Cahors et devint bachelier en droit canon le 2 avril 1614. Le jour même il recevait la tonsure. Six mois plus tard, les bulles de nomination d’Alain de Solminihac à l’abbaye de Chancelade étaient signées par le pape Paul V. Quand Alain les reçut, il revêtit l’habit blanc des chanoines réguliers de Saint-Augustin... et commença son noviciat! Il avait 20 ans.

1-2-Un jeune Abbé

Vers 1125, une dizaine d’ermites qui vivaient dans des cabanes firent profession selon la règle de Saint Augustin[1]: l’Abbaye de Chancelade était née. Le temps, la Guerre de Cent Ans, l’occupation des lieux par les Anglais, puis les guerres de religion et les ruines matérielles  l’avaient peu à peu transformée en une abbaye presque fantôme, exsangue et ruinée. Arnaud de Chancelade, homme faible et timoré, devenu Abbé en 1581, se montra impuissant pour la relever de ses ruines. La vie religieuse périclita. Chancelade était devenue comme une petite sœur de l’abbaye de Thélème, chère à Rabelais...

Quand Alain arriva à Chancelade, il n’y avait plus que trois religieux !!!

Alain, novice, commença rapidement sa formation. Il était toujours fidèle à l’heure d’oraison, aux offices et aux activités de l’abbaye. Le 15 juin 1615, il devenait officiellement Abbé de Chancelade ; le 19 mars 1616, il recevait les ordres mineurs, et le 28 juillet se consacrait à Dieu.

Lentement, afin de ne pas soulever trop de résistances, Alain commença à réformer son abbaye: récitation de l’office au chœur dès 4h et demi, le matin, puis messe conventuelle, repas pris ensemble et rétablissement de la vie commune... Mais Alain ne pouvait que constater son inexpérience et son manque de connaissance des sciences ecclésiastiques. En conséquence, il apprit d’abord le latin, puis, après avoir été ordonné prêtre le 22 septembre 1618, il monta à Paris pour parfaire ses études. Alain avait 25 ans. Il y avait maintenant quatre moines à Chancelade, et la réforme était bien amorcée.

À Paris, Alain travaille quatorze heures par jour, et après ses cours, suit les sermons de François de Sales. Par ailleurs, il est déjà l’ascète que l’on connaîtra plus tard, car, même à Paris, Alain de Solminihac restait l’Abbé de Chancelade, et il ne manquait pas de s’informer sur les usages monastiques de la région et sur les expériences de réformes canoniales déjà entreprises.

Pendant son séjour à Paris, Alain de Solminihiac se fit des amis, dont Monsieur Vincent. Après un séjour de quatre ans, Alain rentra  à Chancelade. (Septembre 1622)


Abbaye de Chancelade

1-3-La réforme de Chancelade

Avant de perfectionner la réforme entreprise, Alain demanda la bénédiction abbatiale de l’Évêque de Périgueux. Maintenant, Alain de Solminihac pouvait penser à rebâtir son abbaye: dortoirs, réfectoire, cuisine, bibliothèque, Église abbatiale. Alain n’hésita pas à mettre la main à la pâte et à transporter les matériaux. Mais jamais il ne mutila les exercices liturgiques ni les heures d’oraison. Il semble que vers 1633, l’ensemble était achevé.

Où Alain trouva-t-il l’argent nécessaire ? Les biens de l’abbaye étaient faibles et les gens du voisinage peu empressés à faire des prêts et encore moins des dons. Mais l’exemple donné par l’abbé de Chancelade était tel que bien des fermiers du voisinage, qui avaient obtenu des protestants, à des prix très bas, des terres ayant appartenu autrefois à l’abbaye, les rendirent, pris de remords. Et puis quand on prie vraiment et qu’on accomplit son œuvre, Dieu accorde le reste, par surcroît.

La mise en place de la réforme, conformément aux directives du Concile de Trente, et compte tenu de la précarité des locaux, se fit progressivement. Il faut ajouter ici que l’abbé de Chancelade s’était également conformé à ce que l’ordre canonial avait produit de meilleur. Après 1630, à Chancelade, ce fut une vraie floraison: de 1630 à 1636, l’abbé reçut la profession de 46 novices.

1-3-1-Quelques points du règlement

– À minuit, lever pour l’office des Matines et des Laudes. Puis chacun regagnait sa cellule pour se rendormir.

– Cinq heures, lever définitif.  Première méditation devant le Saint-Sacrement à 5h30, puis office de Prime. Ensuite les prêtres qui le désiraient disaient leur messe. Les autres religieux travaillaient ou priaient.

– 9h un quart, chant de Tierce, puis messe conventuelle. Alain veillait avc un soin jaloux sur la beauté des offices, “car le Chœur, c’est l’honneur des chanoines, et, disait-il, les saints du ciel sont dans une perpétuelle louange de Dieu, et c’est un acte bien relevé.”

– Après Sexte, premier et principal repas de la journée. Dîner et souper se prenaient en silence, tandis qu’une lecture spirituelle nourrissait les esprits.

– Après le repas, office de None: c’était ensuite le milieu du jour, et la récréation. La discrétion était de mise dans la conversation.

Voici les propres résolutions d’Alain : “... Nos discours seront le plus que nous pourrons des choses spirituelles et de ce qui nous pourra enflammer de l’amour de Dieu. Je ne parlerai point des fautes des autres... Je m’abstiendrai de paroles aigres... Je m’étudierai de faire paraître une modeste et religieuse gravité, soit parmi nos frères ou parmi les séculiers, parmi lesquels j’écouterai plus que je ne parlerai, si mon devoir ou la charité ne m’y oblige.”

– Après la récréation, c’était de nouveau le silence, et on récitait les litanies de la Sainte Vierge à l’église. Puis, travail.

– 15h15, chant des Vêpres. Travail.

– 17h, Complies, et souper. Récréation jusqu’à 19h. Enfin, dernier exercice de la journée et examen de conscience.

– 20h, coucher.


Abbaye de Chancelade

1-3-2-L’esprit de Chancelade

Les bruits du monde parvenaient peu à Chancelade, abbaye de “très étroite observance.” Alain répétait sans cesse : “Les communautés les plus florissantes, se sapent par de menues infractions à la règle.” Chaque fois qu’il devait partir en voyage, sa seule consigne était : “Observez les règles et les constitutions.”

On a dit que la spiritualité de Chancelade était celle de la “sainteté cachée”, celle de la “petite voie, des exercices communs de la religion,” et non les choses particulières ou les records de pénitences et d’oraisons. “Il ne faut pas amaigrir le corps pour engraisser l’amour-propre,” disait-il.

L’obéissance, “moyen facile et le plus court pour arriver à la perfection”, était particulièrement recommandée, “car elle met l’âme en repos et la fait vivre sans aucun souci... Le religieux ne peut être bien avec Dieu s’il n’est bien avec son supérieur.”

Alain plaçait l’humilité comme la pièce maîtresse dans l’édifice spirituel, car elle donne le sens du néant et fait découvrir tout le chemin qu’il faut encore parcourir “pour arriver à la perfection des vertus que nous avons.”

Enfin, Alain estimait qu’il “était tout à fait nécessaire pour planter et maintenir les réformes, d’avoir un grand amour de la Croix... Si cet amour vient à manquer, les réformes seront bientôt à bas.

L’esprit de Chancelade était avant tout un esprit d’amour et d’abandon à la volonté divine: “Une des choses qui empêchent le plus notre avancement à la perfection, c’est de ne pas nous abandonner entièrement à la volonté de Dieu et de ne pas nous livrer entre les mains de la Providence paternelle de Dieu qui a un soin incroyable de l’avancement de ceux qui se sont libéralement abandonnés à sa bonté, et ne se laisse jamais vaincre en libéralités, les comblant de grâces et de lumières.”

L’esprit de la réforme de l’abbé de Chancelade était un “esprit d’amour...” Et Alain précise : “Cet amour nous donne un grand et efficace désir de nous y perfectionner par la pratique de notre règle et constitutions et dans l’esprit de notre institut... et il n’y a rien de difficile à celui qui a un grand amour de sa chère vocation.”  Ce n’est pas la grandeur des actions qui rend grand, mais les petits actes faits “avec un grand amour et un grand désir de plaire à Dieu... La vie spirituelle est un char qui doit rouler sur quatre roues : la pauvreté, la chasteté, l’obéissance et l’humilité, et être conduit par l’amour de Dieu.” En un mot, selon l’abbé de Chancelade, “l’esprit des chanoines réguliers consiste en une dévotion édifiante,, une charité condescendante et une obéissance amoureuse.”

L’abbaye de Chancelade devait être un centre d’attraction spirituelle en raison, d’une part de la beauté de ses offices, et d’autre part, de ses services: sacrements, prédication, catéchismes, etc. En cas de famine (ce qui était fréquent à cette époque), l’abbaye devait se transformer en asile de charité. Car une des principales fonctions des chanoines c’est “l’assistance du prochain par le moyen de la prédication de la parole de Dieu et des confessions...”

L’abbé Alain voulait que ses moines deviennent des apôtres, et des apôtres à l’extérieur. Il voulait aussi insérer ses religieux dans le ministère paroissial, pour qu’ils vivent avec le peuple et pour le peuple. Mais, afin de lutter contre les abus qui avaient cours à l’époque, ses religieux devaient s’engager, au moment de leur profession à ne pas se procurer bénéfice, paroisse, aumônerie, etc, sans la permission du supérieur. C’était comme un “quatrième vœu.”

Une autre difficulté devait être surmontée, qui aurait pu ruiner sa réforme. L’abbé ne devait plus être nommé de l’extérieur, par des personnes n’appartenant pas à l’abbaye. Pour éviter toutes les influences extérieures, Alain choisit le retour à la tradition: il rendit son abbaye élective par le chapitre des chanoines. Les formalités étant complexes, Alain confia sa démarche à la Vierge Marie, et il eut gain de cause.

1-3-3-Le rayonnement de Chancelade

En 1628, à la demande du Père Joseph, éminence grise de Richelieu, l’abbé de Chancelade visita les Calvairiennes et entreprit des visites canoniales dans les abbayes du Limousin et de l’Aquitaine. Les désastres étaient grands... et, au milieu de la décadence générale que l’on pouvait constater, l’abbaye de Chancelade rayonnait. Bientôt elle sera en mesure d’envoyer des groupes de ses chanoines dans les maisons qui en avaient besoin et qui étaient prêtes à accueillir les réformes. L’abbaye de La Couronne en fut la première bénéficiaire, et elle devint rapidement pour Angoulême ce que Chancelade était à Périgueux. Ensuite vinrent Saint Gérald, de Limoges, puis Sablonceaux, non loin de Saintes.

À Pébrac aussi, la réforme devenait urgente et Mr Olier, Fondateur des Sulpiciens, sollicitait l’abbé de Chancelade. Hélas!, ce fut un échec, tant les religieux se montrèrent récalcitrants...

Mais le mouvement était lancé, et, à Sainte Geneviève, à Paris, le Cardinal de La Rochefoucault, qui y était abbé, nommait le père Faure supérieur de la Congrégation qu’il avait érigée dans la province de Paris. Malheureusement, le 4 mars 1635, une ordonnance décréta qu’il n’y aurait plus, désormais, qu’une seule congrégation des monastères de l’ordre de Saint Augustin. Chancelade pouvait rester en dehors de cette congrégation, mais ne pouvait pas ouvrir d’autres abbayes.  Alain conservait Chancelade, mais, victime de mesures de ségrégation  son œuvre était menacée, à brève échéance. Obéissant à de sages conseils, Alain resta seul à Chancelade, et sauva sa réforme.

Devenu évêque, Alain de Solminihac resta toujours très attaché à ses religieux de Chancelade malgré les épreuves; il demeura aussi indéfectivement fidèle à son Roi tout au cours de la Fronde, et au pape. Sa devise, aimait-il répéter, c’est “la pureté et la fidélité.”

1-4-Alain de Solminihac, évêque

Un soir d’avril 1636, un courrier royal annonçait à Alain de Silminihac sa nomination au siège épiscopal de Lavaur. L’abbé de Chancelade fut grandement consterné. Il écrivit à Richelieu pour lui signaler son refus. “Abbé il était, abbé il voulait rester: telle était sa vocation.” À l’Archevêque d’Arles, Alain écrivit: “Hors la foi, je ne tiens rien de plus assuré. Vous-même m’avez avoué qu’il me faudrait une révélation pour me la faire changer... Je dois par mille raisons demeurer dans ma vocation que je chéris beaucoup plus que ma vie.”

Le Roi refusa son refus et le choisit pour l’évêché de Cahors. Alain n’avait échappé à Lavaur que pour se voir promu au siège plus important de Cahors.

Alain résista longtemps. Louis XIII étant prêt à entreprendre des démarches à Rome, Alain finit par s’incliner : c’était la volonté de Dieu.

1-4-1-Alain de Solminihac, évêque

Alain dut se résigner; Il écrivit au Roi Louis XIII qu’il acceptait la charge. Mais Alain n’oublia jamais qu’il était d’abord un religieux et poursuivit sa vie d’ascète, car, dit-il un jour : “On n’est pas évêque pour chercher ses plaisirs, mais pour porter dans son corps la mortification du Christ.”

Novice dans tout ce qui concernait l’administration d’un diocèse, Alain commença son apprentissage d’évêque. Il rencontra plusieurs évêques qui lui donnèrent de sages conseils. Puis les membres du clergé vinrent faire une première visite, de politesse (ou de curiosité?) à leur nouvel évêque. Alain reçut ses prêtres avec bonté, parfois en réprimant une certaine irritation, car plusieurs vinrent en habit civil... Il reçut aussi les notables... et il apprit beaucoup sur la situation de son diocèse et sur les besoins les plus urgents.

1-4-2-L’état du diocèse de Cahors en 1638

Le diocèse de Cahors (7461 km2), à cette époque, était beaucoup plus vaste qu’il ne l’est aujourd’hui, s’étendant sur les Causses jusqu’à la limite du Limousin, le Lot, les rives de la Dordogne jusqu’à Moissac puis au confluent du Tarn et de la Garonne, jusqu’à la frontière de la Gascogne et du Languedoc. Cela représentait près de 800 paroisses groupées en quatorze archiprêchés: Cahors, Luzech, Belaye, Pestillac, Salviac, Gourdon, Gignac, Thégra, Cajarc, Saint-Cirq, Montpezat, Moissac et les Vaux. Un clergé abondant desservait les fidèles: 800 recteurs et vicaires, 100 chapelains, et une foule de prêtres... En 1638, il “ne devait plus y avoir” qu’un prêtre pour 150 à 200 habitants!

Le clergé était nombreux, mais nombreuses aussi étaient les plaies dont il souffrait. Des abus s’étaient glissés dans ce clergé. Alain écrivit à certains de ses amis évêques : ”ILs marchaient en habits courts et de diverses couleurs... Ils paraissent en habits courts et bas blancs... Ils ne disent jamais la messe ni n’assistent aux offices... Des prêtres emploient des biens ecclésiastiques destinés pour la nourriture des pauvres, à nourrir des bêtes pour servir à leur plaisir... Du cabaret, certains ont fait leur demeure ordinaire: ils y boivent et se divertissent dans des jeux de cartes ou de dés... On note des cas de concubinage, et l’on ne fait pas de difficulté de mettre dans les livres des baptisés, après le nom des enfants illégitimes, celui de leur père avec expression de sa qualité de prêtre... “

Certains pasteurs viennent dans leur paroisse pour y percevoir les bénéfices, mais vivent ailleurs. Aussi les paroissiens se trouvent-ils privés de messe et d’instruction religieuse. Parallèllement, toute une autre catégorie de prêtres vit dans des conditions financières difficiles, surtout les vicaires.

Enfin, et c’est peut-être le plus grave, ce clergé n’a reçu qu’une formation morale ou intellectuelle embryonnaire. Les curés négligent leurs devoirs car ils ne les connaissent pas! “J’ai trouvé aussi, dit Alain,”les curés pour la plupart dans une fort grande ignorance des obligations de leur charge.” On s’étonnait de voir un ecclésiastique monter en chaire. En 1651, sur 400 vicaires, un seul est bachelier en théologie. Mais constate Mgr Alain, les prêtres de son diocèse pèchent surtout par manque de connaissance, victimes d’une époque de violence et d’une ambiance de laisser-aller.

Car la violence règne partout: contexte social explosif, guerres de religion qui, dès 1621 ont ravagé les régions de Cajac, Capdenac et Figeac; puis ce furent les révoltes des protestants en 1625 en 1628, avec leurs cortèges de malheur: récoltes dévastées, vignes et arbres arrachés, maisons brûlées, puis la peste... et enfin la révolte des Croquants du Périgord. Les ruines s’étaient accumulées, et les édifices du culte n’avaient pas été épargnés: quand elles existaient encore, les églises étaient devenues des granges ou des magasins. Pour compléter ce sombre tableau, il faut ajouter les ruines familiales: libertinage, infidélité conjugale, etc. L’ignorance religieuse est totale, et pourtant, dans ces ruines, la foi restait vive...

1-4-3-Le nouvel évêque

Mgr de Solminihac est un grand Seigneur: évêque, baron et comte de Cahors. Ses droits étaient très importants, et Alain sut les préserver quand il le fallait. Mais Alain, n’oublia jamais qu’il était religieux, et son épiscopat fut un des plus prestigieux de l’époque.  À l’étonnement de beaucoup, l’évêque de Cahors continuait à mener une vie simple et monacale. Alain n’accepta jamais que les murs de sa résidence fussent revêtus de tapisseries, car, disait-il, “Il vaut mieux revêtir des pauvres que des murailles.”

Évêque et religieux,  Mgr de Cahors sut allier les deux styles de vie, et la vie à Morcuès, sa résidence épiscopale habituelle, fut ordonnée comme dans un monastère. Toute sa maison, une vingtaine de personnes, dut se soumettre à ses exigences: “Tous considéreront qu’ils sont de la famille non seulement d’un évêque, mais encore d’un évêque religieux; c’est pourquoi il faut qu’ils soient religieux en leur vie, mœurs et conversation.”

L’emploi du temps d’Alain laissera percer le mystère du religieux devenu évêque:

– de 4 heures à neuf heures: réveil, chapelet, puis une heure d’adoration avec toute la famille épiscopale, prime et étude, tierce, sexte, messe et action de grâces.

– 9 heures : audience et étude.

– 11 heures : repas puis reprise des audiences, étude, affaires.

– 15 heures : vêpres, étude.

– 18 heures : office, collation, audiences pour les officiers domestiques, étude.

– 20 heures : litanies de la Sainte Vierge, lecture du sujet de méditation pour toute la communauté.

– 20 h 1/4 Oraison particulière.

– 21h 1/4 étude.

– 22 heures : coucher.

Au fil des années, cet emploi du temps se modifiera, l’oraison empiétant de plus en plus sur le travail intellectuel, jusqu’à atteindre quatre ou cinq heures par jour, voire plus. En voyage [2], ou lors des nombreuses visites qu’il fit à son diocèse, Mgr de Cahors s’efforçait d’être fidèle à son programme, que ce fut dans son carrosse ou à l’hôtel.

2-1-la réforme du Clergé

Le synode d’avril 1638 fut le point de départ de la réforme. C’était, pour Alain, le premier contact officiel avec ses prêtres. D’emblée il critiqua les mœurs de son clergé. Tout le monde comprit!... Ce premier synode s’acheva dans la confiance, après avoir réalisé un travail positif: nouveau code de la vie sacerdotale, projet d’érection d’un séminaire. Désormais, au lieu de se divertir à la chasse, au jeu, etc, le clergé sera obligé de travailler la théologie, d’instruire la jeunesse, de visiter les malades et les pauvres. Et une fois par an, les prêtres devront se retirer pour une retraite spirituelle de huit à dix jours. Tous devront posséder une bible et les actes du Concile de Trente ainsi que son Catéchisme.

La réforme ne se mit en place que lentement, et Alain dut lutter pendant longtemps contre l’incurie intellectuelle, les abus et les infractions. Sa sévérité ne fut pas du goût de tout le monde, et les plaintes, les procès contre Mgr Alain se multiplièrent. L’évêque tint bon : “Je dépenserai plutôt tout mon revenu que de souffrir en mon diocèse les vices du clergé. Si le parlement ne me fait pas justice, j’irai me jeter aux pieds du Roi pour la lui demander.”

Malheureusement quelques prêtres bénéficiaient de la complicité des laïcs, et Alain dut souvent lutter. Voici, entre autres, un exemple. Au comte de Clermont qui avait donné asile au curé de Saint Vincent dont la vie était pour le moins scandaleuse, Mgr Alain, pour se justifier, écrivit : “Il n’y a rien de si étroitement commandé et recommandé aux évêques par les saints décrets que la correction des ecclésiastiques et particulièrement des pasteurs, jusqu’à ce point qu’ils veulent que leurs crimes, s’ils les tolèrent, leur soient imputés comme les leurs propres. C’est ce qui m’a obligé, dès que Dieu m’a appelé à cet évêché, de travailler avec soin pour corriger ceux que j’ai trouvés dans mon clergé...

Le Recteur de Saint-Vincent, quoique averti et admonesté paternellement... a néanmoins continué à mener une vie scandaleuse. Ce qui a obligé mon official, sur les informations qui ont été faites, de décréter prise de corps contre lui, et mon promoteur de le faire prendre et conduire à Cahors pour être retenu dans mes prisons. Mais il s’en évada par l’assistance de quelques personnes que je n’ai pas encore découvertes, et comme il a appréhendé avec raison qu’on le ferait reprendre, il s’est réfugié,  ce qu’on m’a assuré, dans votre château de Castelnau. Je ne puis croire que vous voulez donner retraite à un prêtre si scandaleux pour lui éviter la peine que méritent ses crimes... Ce qui m’oblige à vous supplier, Monsieur, de le chasser de chez vous afin qu’il soit conduit dans mes prisons, étant très étroitement obligé d’employer toute l’autorité que Dieu m’a donnée pour lui faire faire son procès. Je serai bien mari que vous me donnassiez sujet de l’employer contre vous.”

À cette époque, les nominations relevaient souvent des abbés, des recteurs, de l’université, ou des seigneurs. L’évêque de Cahors ne disposant environ que d’un tiers des nominations, dut parfois en refuser certaines qui lui paraissaient indignes. Même aux plus grands et aux plus influents, tels Mazarin, Alain sut exposer ses raisons. Cela suscita des mécontentements, mais, dans le diocèse de Cahors, un nouveau clergé allait naître.

2-2-La formation du clergé

Les vicaires forains et les conférences ecclésiastiques

Afin de redonner une âme à son diocèse et de créer son unité, Alain commença par instituer les 14 archiprêtrés en 30 congrégations ayant chacune à sa tête un “vicaire forain”, soigneusement choisi. Alain les nomme, les forme et leur explique ce qu’il attend d’eux : visiter les paroisses du district, faire appliquer les ordonnances épiscopales, et convoquer et préparer les conférences ecclésiastiques: réunions mensuelles  obligatoires, auxquelles devait assister tout le clergé du district concerné. Trois thèmes y étaient généralement abordés : la vie spirituelle du prêtre, la vie morale et la pastorale. Un thème était cher à Alain : “le Saint Sacrement et les raisons qui nous obligent de l’honorer et de le faire honorer.” Ainsi, sans heurt, Mgr Alain mettait en œuvre la réforme tridentine. Et les fruits intellectuels étaient nombreux, les curés se mettant à relire l’Écriture, les Pères de l’Église et les décrets du Concile de Trente. Un livre relativement récent était vivement conseillé: “L’Introduction à la vie dévote” de François de Sales.

Au cours de ces conférences, qui ont le mérite de sortir les curés de leur isolement, Mgr Alain recommande aux prédicateurs de s’appuyer sur Dieu plus que sur la science, de ne pas monter en chaire si l’on est en état de péché mortel, de ne pas s’égarer dans les questions politiques. “Le meilleur prédicateur est celui qui, tout simplement et solidement, avec zèle et efficace, enseigne la doctrine chrétienne, recommande les vertus et condamne les vices.”

Enfin, pour établir l’unité dans son clergé, Mgr Alain fonda la confrérie du Saint-Esprit.

2-3-La rechristianisation du diocèse

Il fallait, d’urgence, renouveler la foi chrétienne: pour ce faire Mgr Alain mit en œuvre les missions paroissiales: il savait qu’il pouvait compter sur ses moines de Chancelade. Des équipes de six chanoines vont mettre tout en œuvre pour attirer les populations et rééduquer leur foi. À ses missionnaires Alain recommandait la pureté d’intention, le zèle pour la gloire de Dieu et surtout l’humilité : “Si je savais, disait-il que, parmi vous, l’un va convertir tout le monde mais ne possède pas l’humilité, je ne le laisserais pas prêcher.”

Tous les moyens devaient être mis en œuvre pour intéresser les foules, et les méthodes préconisées par Mgr Alain étonnent par leur modernité. À la fin de la mission, confessions et communions couronnaient ces riches journées paroissiales.

Les résultats de ces missions furent considérables : après douze ans de fonctionnement, “les vieux et les jeunes, depuis l’âge de cinq à six ans, savent non seulement les commandements de Dieu et les mystères de notre foi qu’ils sont obligés de savoir, mais encore en rendent raison d’une façon qui ravit d’admiration ceux qui le voient.”

2-3-1-Les visites pastorales

Mgr Alain fut un évêque itinérant. Il parcourut son diocèse en tous sens, sans déroger à ses obligations d’ascète et de religieux. Mais, disait-il, “il n’y a personne qui doive tant travailler qu’un évêque.” Les jours de visite, il se levait à trois heures et ne modifiait en rien la succession de ses exercices spirituels, puis il entamait son périple. Quel que soit le temps, Mgr Alain parcourait le Quercy: “Je me suis abandonné à Dieu, avoua-t-il un jour où les intempéries faisaient rage, en ce temps de la visite. Qu’il dispose de ma vie comme bon lui semblera, je la lui ai consacrée principalement en ce temps.”

Constamment Mgr Alain éduque et réforme : ”Continuelles missions, continuelles visites, voilà les moyens de choix qui forment et soutiennent la foi: les missions préparent aux visites pastorales et les visites pastorales confirment les missions.”

Pour clore le tout, Mgr Alain fait diffuser un catéchisme facile à retenir, et facile à réciter, car ce sont... des vers, et tout le monde doit les savoir par cœur...

2-3-2-Le séminaire de Cahors

Dès le début de son épiscopat, Mgr Alain manifesta son intention d’ouvrir un séminaire, conformément aux consignes du Concile de Trente. Malgré la fraîcheur des réactions de son clergé, la décision fut prise au cours de son premier synode (1638). Cinq ans plus tard, constatant un demi-échec, Mgr Alain s’adressa aux prêtres de la Mission, les Lazaristes de Mr Vincent. Protégé par le Roi dès 1643, le séminaire de Mgr Alain allait se développer rapidement.

Le séminaire s’orientait vers une initiation méthodique de l’état ecclésiastique, mais il n’y avait que peu d’aspirants, et bientôt, dans le clergé, commença une campagne de dénigrement contre les austérités de la vie qu’on devait y mener. Mais Mgr Alain et les Lazaristes venus de Paris ne cédèrent pas, et le séminaire de Cahors devint un vrai lieu de formation spirituelle où l’on acquérait l’esprit ecclésiastique. Les prêtres de Mgr Alain devaient inspirer le respect du prêtre et édifier le peuple.

Mgr Alain insistait beaucoup sur la nécessité de l’oraison, cet exercice capital. Il insistai : “Je n’ordonnerai personne qui ne promette d’y consacrer une heure chaque jour, sauf excuse légitime.” Tous les quinze jours le séminariste doit se confesser, et travailler à sa véritable conversion. Si un clerc se montrait ambitieux ou de mœurs douteuses, l’évêque était impitoyable, car dans ce cas, dit l’évêque, “ce sont plutôt ses propres intérêts qui l’ont fait rechercher l’état ecclésiastique qu’un véritable désir de servir Jésus-Christ en qualité de son ministre.”

Pourtant, malgré les difficultés, en quinze ans le séminaire de Cahors  devint prospère, réputé et rayonnant. En 1659, on y comptait 60 séminaristes. Et le clergé du diocèse de Cahors avait reconquis sa dignité au sein du peuple de Dieu, selon la pensée d’Alain: “Je n’ai rien trouvé de plus efficace pour la réforme générale de ce diocèse qu’un séminaire... Par ce moyen, j’ai pourvu mon diocèse d’ecclésiastiques capables et de vie exemplaire... Il semble que ce moyen embrasse tous les autres...”  À Cahors, “la prêtrise n’est plus la récompense de quelque valet qui savait un peu lire et chanter au pupitre du village.”

2-3-3-La reconquête du diocèse de Cahors. Alain de Solminihac, apôtre

Le jansénisme

Mgr de Solminihiac eut à lutter ferme contre le jansénisme dont les thèses hérétiques s’étaient introduites jusque dans l’université de Cahors.

Les calvinistes

Mgr Alain eut également à lutter contre les noyaux de calvinistes, qui subsistaient nombreux, dans le diocèse de Cahors. Mgr Alain, voulant ramener toutes ses brebis dans le bercail de l’Église, profitait de ses visites pastorales pour les exhorter à rejoindre l’Église. Dans les paroisses touchées par la Réforme protestante, il fit le maximum pour que les postes d’enseignants soient confiés à des instituteurs catholiques. Par la persuasion, toujours, il incitait les calvinistes, à entendre ses prédications. Il multipliait aussi les missions. Et nombreux étaient ceux qui étaient séduits par sa sainteté. “Je suis votre évêque, disait-il, votre vrai et légitime pasteur, qui suis prêt à donner ma vie pour vous, et à m’exposer à mille morts, ce que vos ministres ne feraient pas.” Sous son épiscopat, grâce également à l’action des prêtres mieux formés et armés dans leur travail d’évangélisation, une grande partie de la noblesse revint au catholicisme.

La Compagnie du Saint-Sacrement

Alain avait été rapidement attiré par la spiritualité d’une compagnie ultramontaine, antijanséniste, dévouée au Roi, qui mettait l’accent sur l’Eucharistie, et dont l’apostolat était consacré essentiellement à lutter contre les misères physiques et morales et contrer les hérésies. Dans la Compagnie du Saint-Sacrement, on comptait de nombreux amis de Mgr Alain, tels le Père Suffren, Monsieur Vincent, Mr Olier, l’évêque de Limoges, etc... Mgr Alain sachant que la réforme de toute société passe par la réforme de son élite, établit dès 1639, une filiale de la Compagnie du Saint Sacrement, à Cahors.

La Compagnie de la Passion

Conçue par Mr Olier, en 1646, cette Compagnie, composée de personnes de qualité, avait pour but d’honorer les mystères de la Passion et de travailler à la sanctification personnelle de ses membres. Dévots à Notre-Dame, et placés sous la protection de Saint Michel, ses membres s’efforçaient de faire revivre autour d’eux l’esprit des premiers chrétiens. Mgr Alain sut s’appuyer sur ces chrétiens fervents.

[1] Les chanoines réguliers de Saint Augustin observaient les trois vœux de religion, et pratiquaient la vie commune, partageaient la parole de Dieu et la prière liturgique. Ils avaient en outre, le souci de la vie apostolique.

[2] Les voyages de Mgr de Cahors, en dehors de son diocèse furent relativement peu nombreux, car, disait-il: “Hors la nécessité du service de Dieu, de son Église et celui du Roi, je ne crois pas devoir sortir de mon diocèse.”


ALAIN DE SOLMINIHAC
1593-1659
Les grandes dates de sa vie
            Alain de Solminihac est né le 25 novembre 1593 au Château de Belet, en Dordogne, d’une famille catholique de petite noblesse rurale.
Il songeait à devenir Chevalier de Malte, vocation à laquelle le préparait son éducation, quand les circonstances firent de lui, à l’âge vingt ans, un abbé de Chancelade, Abbaye de Chanoines Réguliers de Saint Augustin toute proche de Périgueux (5 septembre 1614). Les bâtiments étaient en ruine.La Communautése trouvait  réduite à trois religieux. Alain vit, dans cette désignation, un signe de Dieu, se consacra à Lui entièrement et décida de réformer cette Maison.La Franceconnaissait alors un renouveau religieux avec l’éclosion de l’école française de spiritualité dans le sillage du concile de Trente.
Afin de se préparer à cette tache, Alain prit l’habit religieux, s’exerça à l’oraison mentale et fit sa profession le 28 juillet 1616. Il devint prêtre le 22 septembre 1618.
Après son ordination, il partit pour Paris afin d’y compléter sa formation intellectuelle et spirituelle et pour enquêter sur la manière dont s’opérait la réforme des Chanoines Réguliers, sous la direction du Cardinal de La Rochefoucauld et du Père Charles Faure. Il resta quatre ans à Paris, suivant les cours de la Sorbonne où il subit l’influence d’André Duval. Il fréquenta les milieux spirituels : il put voir notamment, à plusieurs reprises, Saint François de Sales lors du séjour que fit celui-ci dans la capitale en 1619. Il fréquenta aussi le Cardinal de la Rochefoucauld et Charles Faure. Enfin il fit les Grands Exercices Spirituels de Saint Ignace sous la direction du jésuite Antoine Le Gaudiery, célèbre pour son talent à diriger les âmes. Il suivit, jusqu’à la mort, les résolutions qu’il prit durant cette retraite. En octobre 1622, il était de retour à Chancelade.
Pour comprendre Alain de Solminihac, il faut toujours se reporter à ce séjour qui orienta définitivement son esprit. C’est là qu’il entra vraiment en relation avec les animateurs de la Réforme Catholique en France et qu’il reçut la formation qui lui manquait auparavant.
Dès son retour à Chancelade, il se préoccupa de recevoir la bénédiction abbatiale. Elle lui fut conférée le jour de l’Épiphanie par l’Évêque de Périgueux, Monseigneur de la Béraudière, qui l’avait déjà ordonné prêtre.
Il commença immédiatement son œuvre de réformateur. Il reconstruisit l’église et les bâtiments claustraux tels que nous les voyons aujourd’hui. Il reconstitua la communauté et en treize ans, il reçut cinquante nouveaux chanoines. Il leur donna une formation très profonde. Il leur donna  une direction spirituelle collationnée sous le nom d’Avis.
C’est un texte qui mérite de prendre place parmi les meilleurs ouvrages spirituels du temps. Il les orienta en même temps, vers l’apostolat, conformément à leur vocation. Chancelade assura désormais et l’office public et le service pastoral. En quelques années, l’Abbaye jouissait d’une réputation bien établie. Il en sera ainsi jusqu’à la Révolution.Le succès d’Alain de Solminihac fut impressionnant et lui valut une réputation étendue. Si la réforme française des Chanoines Réguliers avait tourné autrement, l’Abbé de Chancelade aurait pu se trouver placé à la tête d’une vaste Congrégation de Chanoines Réguliers répandue à partir de Chancelade dans le sud et l’ouest du royaume.
Cette réputation attira très vite sur lui l’attention du roi Louis XIII, du Cardinal de Richelieu et du Pape Urbain VIII. Comme il fallait, à tout prix, trouver des évêques en un temps où la réforme de l’Église était à l’ordre du jour, on pensa à lui. On songea d’abord à lui confier Lavaur qu’il refusa, souhaitant se consacrer au développement de la réforme de Chancelade. Il ne put se dérober quand il fut prévenu de sa nomination à Cahors. C’était alors un des évêchés les plus importants de France. Il était dans une triste situation et il fallait, pour le reprendre en mains, un homme doué de beaucoup d’énergie. En acceptant cette charge il mit une seule condition : pouvoir conserver l’Abbatiat de Chancelade afin d’y implanter plus solidement la réforme, déjà étendue aux Abbayes de Sablonceaux, près de Saintes, de la Couronne, près d’Angoulême et au prieuré Saint-Gérald à Limoges. Malgré les difficultés, il conserva sa charge d’Abbé  jusqu’à l’élection de son successeur, Jean Garat, qui entra en fonction en 1658.
En attendant de recevoir les bulles pontificales, Alain de Solminihac envisagea l’ensemble de ses nouveaux devoirs dans le Pontificat. Il vit les traités concernant l’évêque, qui étaient nombreux. Il étudia les décrets du concile de Trente. Il s’imprégna de la vie de  saint Charles Borromée et des actes de l’Église de Milan. Il lut aussi les annales de Baronius et chercha à voir comment agissaient les évêques de l’Église primitive. Enfin, il reprit l’enseignement de saint Augustin sur la vie commune des clercs et organisa sa maison épiscopale en conséquence. De cette étude de plusieurs mois, complétée par des conversations et des correspondances avec des évêques très estimés, sortit un plan de vie épiscopale très précis : vie commune de l’évêque avec un groupe de Chanoines Réguliers, spiritualité puisée aux sources des premiers siècles chrétiens ; application du concile de Trente et implantation, à Cahors, des institutions milanaises. C’étaient là les idées des grands réformateurs qu’il avait rencontrés à Paris.
Alain de Solminihac était tout à cette préparation quand il reçut ses bulles. Dans l’ancienne France, le sacre des évêques avait lieu généralement à Paris. Il suivit la coutume. Il fit une retraite d’un mois chez les Chartreux. La cérémonie se déroula le 27 septembre 1637. Elle eut lieu en l’église de l’Abbaye des Chanoines Réguliers de Sainte Geneviève. L’ordination épiscopale lui fut conféré par l’Archevêque de Toulouse, Charles de Montchal, assisté des évêques de Senlis : Nicolas Sanguin, et de Meaux : Dominique Séguier. La cérémonie terminée, il se retira encore à la Chartreuse, puis à l’Abbaye de Chancelade.
Il acheva de mettre la main aux derniers préparatifs de son entrée dans le diocèse qu’il avait  mission de gouverner et prit ses dispositions pour la direction de l’Abbaye de Chancelade. Il arriva en Quercy début février 1638 et s’installa au Château de Mercuès, résidence des évêques de Cahors. La situation du diocèse était difficile. Il commença son œuvre en convoquant un synode qui eut lieu le 21 avril, suivi d’une série régulière jusqu’à sa mort.
Le synode achevé et les premiers règlements adoptés, il commença sa visite pastorale. Celle-ci ne devait finir qu’avec sa vie. Il lança aussi des missions paroissiales ; organisa un Séminaire qu’il confia aux Lazaristes de saint Vincent de Paul, son ami ; il réorganisa les structures diocésaines ; suscita des conférences ecclésiastiques ; mit sur pied des œuvres de charité ; encouragea la dévotion au Saint Sacrement ; poussa à la piété mariale en manifestant son attachement pour Rocamadour ; fonda des hôpitaux et des orphelinats ; soutint l’instruction populaire. En même temps, il tint tête à toutes les oppositions, se montrant- en toute circonstances-  homme de courage. On le vit bien dans la manière avec laquelle il lutta contre les duels, un des fléaux du Quercy. On le vit aussi dans la manière dont il se comporta durant les troubles de la Fronde comme devant la révolte d’une partie de son clergé. Il fut aussi homme de fermeté quand il dut prendre parti devant les problèmes doctrinaux de son temps, en étroite union avec le Saint siège : gallicanisme, jansénisme, morale relâchée et surtout lutte contre les protestants qui fut l’un des axes  majeurs de son action.
Le sommet de cette action apostolique fut atteint lors du Jubilé accordé par le Pape Alexandre VII de 1657 à 1658.
Épuisé par son activité et par ses austérités, il mourut au Château de Mercuès le 31 décembre 1659. Il fut inhumé dans l’église des Chanoines Réguliers de Cahors.
Cette mort fut un deuil public. La réputation de l’évêque se répandit. Il y eut de nombreux miracles et l’enthousiasme populaire fut tel qu’on envisagea de proclamer Alain bienheureux.

Dès 1661, l’évêque de Cahors, Nicolas de Sevin, entreprit les premières démarches. Le procès rencontra des difficultés inhérentes aux hommes et aux évènements.La Cause fut introduite par Pie VII le 6 août 1783 ; le 19 juin 1927, Pie XI signa le décret sur l’héroïcité des vertus et, le 13 juillet 1979, Jean-Paul II reconnut un miracle accompli à Cahors en 1661 concernant la petite Marie Ladoux, âgée de cinq ans.
Le 4 octobre 1981, le pape Jean-Paul II proclama Alain de Solminihac bienheureux, honneur attribué l’année précédente à son contemporain, François de Laval-Montigny, premier évêque de Québec. Cette béatification a mis en lumière la personnalité et la sainteté d’un évêque qualifié de « Borromée français » qui contribua à la réforme de l’Ordre Canonial et à la remise en ordre du diocèse de Cahors, dans l’application du concile de trente.
Sa dimension spirituelle lui permit de jouer un rôle majeur dans l’église de son temps qu’il contribua à renouveler de concert avec son ami Vincent de Paul.




Alain de Solminihac (1593-1659), prélat réformateur 

De l'abbaye de Chancelade à l'évêché de Cahors

2 vol., 1091 p., 15 b/w ill., 160 x 245 mm, 2009

ISBN: 978-2-503-53278-3

Abbé de Chancelade en Périgord et évêque de Cahors, Alain de Solminihac (1593-1659) est une figure marquante du mouvement de réforme pastorale de l’époque baroque.

Formé à Paris, il entreprend en 1623 le relèvement spirituel et matériel de son abbaye de Chancelade qui devient, en moins d’une décennie, un centre à partir duquel la réforme canoniale s’étend à la Saintonge, au Limousin et à l’Angoumois. Cette extension se heurte à la volonté du cardinal de La Rochefoucauld et de Charles Faure qui transforment la congrégation de Sainte-Geneviève en une congrégation de France destinée à regrouper dans une organisation centralisée toutes les branches de l’ordre canonial. Au terme d’un long conflit, dont les étapes sont ici reconstituées, la réforme de Chancelade n’échappe à l’absorption qu’au prix de l’abandon de son expansion.

La carrière de l’abbé de Chancelade connaît un tournant majeur avec sa nomination à l’évêché de Cahors en 1636. Religieux devenu évêque, il transpose son idéal de perfection chrétienne dans l’état épiscopal et entreprend la réforme de son diocèse selon le modèle tridentin et l’exemple de Charles Borromée : reconstitution du patrimoine épiscopal, statuts synodaux, mise en place de vicaires forains, visites pastorales, missions prêchées par les chanoines réguliers qu’il a amenés avec lui de Chancelade, fondation d’un séminaire confié aux prêtres de la Mission. Cette ferme action réformatrice s’est durablement heurtée à une opposition cléricale organisée.

Son rôle déborde largement son abbaye et son diocèse. Comte de Cahors et baron de Quercy, Solminihac appuie de son autorité temporelle le pouvoir royal durant la Fronde. Influent dans l’Église de France, étroitement lié à Vincent de Paul, membre de la Compagnie du Saint-Sacrement, il joue un rôle important dans les affaires du temps, qu’il s’agisse de défendre les prérogatives du Saint-Siège, de condamner l’Augustinus ou d’obtenir la nomination d’évêques conformes à son idéal tridentin.

 Ancien élève de l’École normale supérieure, agrégé de l’Université et docteur en histoire, Patrick Petot est professeur de classes préparatoires à Périgueux. Il s’est spécialisé dans la recherche en histoire religieuse et dans l’étude comparée des religions. 

Review

"L'ensemble de la moisson documentaire est riche... une étude sobre et nuancée qui saisit bien l'envergure d'un homme original, autoritaire et décidé, déjà assez connu, mais en vérité mal connu." (J. Bergin, dans Bibliothèque de l'École des Chartes, 168, 2010, p. 259)

"Un travail volumineux pour un homme d'exception et représentatif de la réforme catholique tridentine (...). (...) L'A. dépasse la simple biographie pour s'attacher à inscrire la vie d'Alain de Solminihac dans son contexte familial, régional, religieux et politique." (Daniel-Odon Hurel, dans: Revue Mabillon, n.s. t. 22 (t. 83), 2011, p. 406-408)

Blessed Alan de Solminihac

Also known as
  • Alain de Solminihac
  • Alamus de Solminihac
  • Alan av Solminihac
  • Alan of Solminihac
  • Alanus av Solminihac
Profile

Born to a noble, pious and patriotic family, Alan wanted to join the Knights of Malta, to serve God while in the military. Instead, however, he became an Augustinian Regular at Chancelade Abbey, Périgueux, France at age twenty. Superior of the abbey in 1623. He worked to restore order and piety to his men, and was so successful that the reforms spread to other local houses.

Bishop of Cahors, France for 23 years from 1636 until his death. There he continued his reforms of the religious houses, and evangelization of his parishioners. Noted for his face-to-face meetings with the laity, Alan visited each of his 800 parishes at least nine times during his espicopate. He held a synod, episcopal council, founded a seminary, sponsored home missions and charities, brought back traditional devotions, and promoted adoration of the Eucharist. Attended the Council of Trent, and followed the lead of Saint Charles Borromeo in enforcing the Council‘s decrees in his home diocese.

Born

Readings

Faith and Valor! – Blessed Alan’s motto



Beato Alano di Solminihac Vescovo


Belet (Francia), 25 novembre 1593 – Mercués (Francia), 31 dicembre 1659

Il beato francese Alano di Solminihac, canonico regolare di Sant’Agostino e vescovo di Cahors, tentò in ogni modo di cambiare i costumi del popolo con le visite pastorali e con ammirevole costanza si sforzò di rinnovare la Chiesa a lui affidata. Giovanni Paolo II lo beatificò il 4 ottobre 1981.

Etimologia: Alano = dal latino Alanus, dal nome della popolazione degli alani

Martirologio Romano: Nella rocca di Mercuès presso Cahors nella Francia meridionale, transito del beato Alano di Solminihac, vescovo di Cahors, che con le sue visite pastorali cercò di promuovere la correzione dei costumi del popolo e di rinnovare in ogni modo con vero zelo apostolico la Chiesa a lui affidata.

Il 25 novembre 1593 da una nobile famiglia rurale della Francia meridionale nacque Alano di Solminihac, figlio di Giovanni e Margherita. La famiglia risiedeva a quel tempo presso il castello di Belet, nel circondario di Périgueux. In tale focolare, ove bruciava una profonda fede cristiana, Alano trascorse la sua giovinezza. Ad un certo punto della sua vita iniziò ad ipotizzare la sua consacrazione a Dio, da coniugare però con gli alti sentimenti cavallereschi che lo caratterizzavano, e meditando perciò di entrare a far parte dei Cavalieri di Malta. Ben presto comprese però che questa non sarebbe stata la sua vita.Suo zio Arnaldo di Solminihac, Canonico Regolare di Sant'Agostino, era abate del monastero di Chancelade. Fondato come casa autonoma nel 1128, esso aveva conosciuto un periodo di notevole fioritura. Più tardi però decadde e nel 1575, durante una delle varie guerre di religione, chiesa e monastero vennero distrutti dagli Ugonotti. Ai pochi religiosi superstiti non restò che ritirarsi nelle parrocchie dipendenti dall'abbazia. L'anziano zio Arnaldo pensò inoltre di ottenere un decreto regio atto a trasferire l'ufficio e la dignità abbaziali al nipote appena ventenne, che accettò con umiltà.

Fece dunque il suo ingresso nella decadente abbazia, che ospitava ormai appena tre canonici, il canto dell'Ufficio era cessato da tempo e la vita comune era stata di fatto disciolta. Dopo un anno di noviziato il 28 luglio 1616 Alano emise la professione religiosa. Divenuto un autentico canonico regolare, era solito dire ai suoi figli spirituali: “Nulla è difficile per colui che ama la sua vocazione”.

Alano studiò filosofia e teologia in particolare a Parigi, ove ebbe occasione di conoscere San Vincenzo de' Pauli ed altri grandi religiosi francesi del suo tempo. Determinanti per la sua vita si rivelarono i colloqui intercorsi con San Francesco di Sales, dai quali derivò una nuova chiamata, consistente nella vocazione alla santità. Da allora egli cominciò a tendere con energia e fedeltà a questo nuovo grande obbiettivo.Alano ricevette l'ordinazione presbiterale il 22 settembre 1618 e dopo altri quattro anni ricevette la benedizione abbaziale, possedendo ormai ogni requisito necessario per affrontare la grande impresa di una vita dedicata al suo ordine. Con tenacia si cimentò nella ricostruzione della chiesa e del monastero. La prima comunità sottoposta alla sua autorità era formata da tre novizi ed un sacerdote religioso. Riprese la vita comune e nella chiesa abbaziale riprese il canto dell'Ufficio corale.

Nel 1623 l'abate Alano pubblicò le Costituzioni, prescriventi un ritorno alla vita regolare austera: a mezzanotte il mattutino, un'ora quotidiana di meditazione ed il giuramento di non cercare né accettare benefici ecclesiastici in virtù del voto di povertà. Rivolse inoltre particolare attenzione alla formazione dei giovani religiosi, fungendo talvolta egli stesso da maestro dei novizi.

Nel giro di soli cinque anni a Chancelade si riprese a vivere autenticamente la vita religiosa e proprio di qui partì la spinta per la riforma di altre case dell'Ordine e per novelle fondazioni. Alano ricevette la nomina a “visitatore” non solo di monasteri appartenenti al suo ordine, ma anche di altri istituti religiosi. Il fuoco da lui acceso a Chancelade fece dell'abbazia il centro di una congregazione nell'ambito dei Canonici Regolari. L'eredità spirituale del grande abate si conservò anche dopo la sua morte e solo la rivoluzione francese riuscì fatalmente a distruggere il tutto.Alano si oppose fermamente al progetto di fusione con la cosiddetta “Congregazione di Francia”, dalle osservanze più miti, ed in tal senso ottenne in parte anche l'appoggio della Santa Sede.Nel frattempo l'attività e la fama del grande abate erano ormai ben note anche alla corte parigina. Ripetutamente gli venne offerto il governo di una diocesi, ma egli declinò sempre l'invito, preferendo dedicarsi al completamento della riforma della sua Congregazione ed a collaborare per il rinnovamento dell'intero ordine canonicale. Nel 1636 fu infine nominato vescovo di Cahors, tra Périgueux e Tolosa, e questa volta non poté sottrarsi all'impegno e dovette suo malgrado accettare. Il cardinale Richelieu prese provvidenzialmente Chancelade sotto la sua personale protezione, garantendone la stabilità della riforma, ed Alano si riservò di poter continuare a svolgere le funzioni di abate sino a quando avesse ritenuto necessario.Il vescovo neoeletto dedicò parecchio tempo alla preparazione per l'alto ministero pastorale affidatogli. Restò comunque religioso e continuò a vestire l'abito bianco dei Canonici Regolari, irrigidendo invece lo stile di vita austero e mortificato. Studiò diligentemente i decreti del Concilio di Trento relativi alle incombenze dei vescovi e si prefissò di seguire il metodo pastorale di San Carlo Borromeo. Decidette di governare la sua diocesi da santo ed a tal scopo compose per sé un regolamento di vita assai dettagliato. Come Sant'Agostino, anch'egli volle “avere con sé, nell'episcopio, un monastero di chierici”, richiedendo perciò da Chancelade otto Canonici Regolari che riunì in comunità dotata di un ordinamento claustrale.La diocesi di Cahors, a quel tempo molto più estesa, si trovava purtroppo in condizioni miserevoli, in quanto lunghe guerre di religione avevano contribuito all'aggravarsi della decadenza spirituale e morale dei fedeli. Molti sacerdoti non erano realmente spinti da ideali cristiani e le eresie pullulavano. Alano delineò dunque urgentemente un preciso programma di riforma, conforme allo spirito del concilio tridentino, organizzando sinodi diocesani e vigilando accuratamente sull'osservanza degli statuti emanati, volti a migliorare lo stile di vita del clero e ad estirpare le superstizioni. Insistette inoltre sull'assistenza dei poveri e dei malati. Fu instancabile nelle visite pastorali, nonostante malattie, difficoltà di comunicazioni e tumulti politici, e visitò per ben nove volte le circa ottocento parrocchie della diocesi. Fondò il primo seminario diocesano, la cui direzione affidò ai Preti della Missione. Organizzò spesso missioni popolari, ricorrendo all'aiuto dei Canonici Regolari e di altri religiosi.Si dimostrò sempre fedele e profondo devoto della Sede Apostolica romana, vigilando attentamente sulla purezza della dottrina cattolica e dando il suo personale contributo per la condanna del Giansenismo e del Lassismo.La carità non conobbe in lui limiti o barriere: si dedicò infatti agli appestati, agli altri malati ed agli orfani, promuovendo l'erezione di ospedali ed asili adeguati. I suoi contemporanei poterono contemplare in lui la luminosa immagine del buon pastore. Il periodo di tempo trascorso come abate di Chancelade ed il ventennio abbondante di episcopato, svolti tra fatiche e penitenze continue, lo debilitarono grandemente. Nel 1659 dovette interrompere una visita pastorale: il suo fisico non lo reggeva ormai più ed il cumulo di impegni che si era prefissato era vistosamente sproporzionato.

Alano di Solminihac morì tra il cordoglio generale il 31 dicembre e venne sepolto nella chiesa del priorato dei Canonici Regolari di Cahors. Solo in seguito le sue reliquie vennero traslate nella cattedrale cittadina.

La causa di canonizzazione, introdotta il 6 agosto 1783, portò il 19 giugno 1927 all'attribuzione del titolo di “venerabile” ed 4 ottobre 1981 alla beatificazione da parte del papa Giovanni Paolo II, che lo iscrisse così nel Martyrologium Romanum nell'anniversario della nascita al Cielo.

Autore: Fabio Arduino

SOURCE : http://www.santiebeati.it/dettaglio/92533

Voir aussiPatrick Petot, « Alain de Solminihac : la réforme de Chancelade (1623-1630) », dans Bulletin de la Société historique et archéologique du Périgord, 2009, tome 136, 1relivraison, p. 65-100 : https://shap.fr/BSHAP/BSHAP_2009-1.pdf

Patrick Petot, « Alain de Soiminihac : le renouveau canonial autour de Chancelade (1630-1636) », dans Bulletin de la Société historique et archéologique du Périgord, 2009, tome 136, 3e livraison, p. 313-362 : https://shap.fr/BSHAP/BSHAP_2009-3.pdf