Beato
Giovanni delle Celle dell’Ordine Vallombrosano
10 Marzo
2017 di Ilaria Crocioni Pubblicato
in News, Ricorrenze Religiose
Giovanni da Catignano nacque intorno al 1310 e
entrò presto in monastero.
Giovane dalle spiccate doti intellettuali e con un
alta formazione culturale e letteraria, conosceva gli autori classici
latini e gli scritti di Dante e Petrarca, fu scelto come abate del monastero
Santa Trinità di Vallombrosa presso Firenze.
Sembra che fu coinvolto in una relazione con una
nobildonna e, a causa di ciò, in seguito deposto dall’ufficio di
abate del monastero e condannato a scontare in penitenza un anno di
prigionia nella torre del monastero.
Trascorso l’anno di prigione la sua comunità di
monaci lo volle reintegrare ma lui stesso decise di ritirarsi per tutta la vita
in una cella del romitorio vicino al monastero. Cosi diventò per tutti Giovanni
delle Celle. Egli si ritirò dalla vita del mondo ma mantenne i
contatti per lettera con la vita politica e religiosa del suo tempo e della
città di Firenze.
La sua scelta ascetica non gli impedì infatti di
continuare a comunicare attraverso scambi epistolari con personaggi illustri e
non del suo tempo tra cui Caterina da Siena. La santa gli scrisse per
chiedere aiuto e convincere il papa ad abbandonare la sede papale di
Avignone e tornare a Roma.
Ad un frate che accusa la giovane Caterina di eresia
lui rispose:
“Caterina gode della tua villania, per amore di colui
che tante ne sostenne per lei, e piange della tua cecità e malizia, e prega Dio
che ti illumini e ti perdoni”.
Giovanni pregava, studiava e scriveva nella sua
cella e da quel silenzio fertile diventò una guida spirituale per
uomini e donne, laici, preti e politici.
Tra le numerose lettere che scrisse quella
indirizzata all’amico Guido sulla gioia di donare narra cosi:
“Dio a voi dia tanta benedizione, che voi godiate più
di quello che date che di quello che vi rimane. E davvero, chi avesse
alluminato l’anima, cosi sarebbe; perocché quello che date, vi dee fare le
spese in eterno; e quello che ritenete, poco tempo: quello c’hai dato, t’ha
spenti i peccati; quello che t’è rimasto, tutto dì te ne fa commettere: quello
che hai dato è in sicuro luogo e mai perdere non si può; quello che ritieni, sempre
sta a rischio di perdersi. … Quello che dai pasce i poveri di Cristo; ma quello
che tieni, pasce la carne, e il peccato. … Ma questa grazia ti conviene
chiedere a Cristo, ed alla Vergine Maria. …Iddio te ne dia grazia”.
Giovanni delle Celle morì tra il 1394 e il 1396 circa
e, poco dopo, l’Ordine Vallombrosano lo venerava già come beato.
La sua memoria liturgica ricorre il 10 marzo.
SOURCE : https://www.vaticano.com/beato-giovanni-delle-celle-dellordine-vallombrosano/
GIOVANNI dalle Celle
di Maurizio Moschella - Dizionario Biografico degli
Italiani - Volume 55 (2001)
GIOVANNI dalle Celle. - Nacque nel 1310 da
Gano, della famiglia dei Catignano, probabilmente a Firenze, dove il padre fu
personaggio autorevole, visto che è menzionato in un documento del 1317 tra i
capi delle famiglie locali invitati a far pace da Guido dei conti Guidi di Battifolle.
È opinione di alcuni studiosi, tuttavia, che Catignano, un piccolo borgo nei
pressi di Firenze, fosse il luogo di nascita di G., e non il suo cognome.
Entrato nell'Ordine dei benedettini vallombrosani in
giovane età, nel 1346 G. fu nominato abate del convento di S. Trinita a
Firenze. Nel 1347 venne condannato a un anno di carcere per aver intrattenuto
una relazione amorosa con una giovane donna, colpa che G. confessò
all'agostiniano Simone Fidati (Simone da Cascia) in una lettera databile al maggio-giugno
di quello stesso anno. Dopo aver scontato la pena nella torre Pitiana del
convento di Vallombrosa, G. fu liberato e reintegrato nella carica di abate
grazie anche all'intercessione dei suoi confratelli e di molti cittadini
fiorentini. Nel 1350 fu a Roma in occasione del giubileo indetto da papa
Clemente VI; nel 1351, a compimento di una profonda crisi che ebbe origine
probabilmente al tempo della sua "colpa", decise di ritirarsi
nell'eremo delle Celle di Vallombrosa, da cui prese il nome e dove trascorse il
resto della vita, fatta eccezione per alcuni brevi soggiorni a Firenze e Siena.
La scelta ascetica non impedì a G. di mantenere
contatti con il mondo, che furono esercitati attraverso un fitto scambio
epistolare con diversi personaggi più o meno illustri del suo tempo, molti dei
quali si affidavano alla sua direzione spirituale; a essi G. esponeva
riflessioni in ambito teologico e dava consigli di natura morale.
G. seguì anche con interesse vivissimo l'attività di
Caterina da Siena della quale difese, da sincero ammiratore, le virtù morali in
un'appassionata polemica documentata da numerose lettere, ma rimase sempre
estraneo alla componente mistica presente nell'esperienza cateriniana.
Dall'eremo di Vallombrosa G. si teneva inoltre
aggiornato sull'organizzazione della crociata alla quale Caterina stava
dedicando le sue energie. La crociata fu finalmente bandita nel 1373 da
Gregorio XI, ma nessuno dei principi cristiani a cui Caterina si era rivolta
sembrava realmente disposto, al di là degli impegni formali assunti, a gettarsi
nell'impresa. Fu in quell'occasione che nacque un malinteso tra G. e alcuni
esponenti del circolo cateriniano: alcune giovani donne fiorentine, trascinate
dall'entusiasmo della Benincasa, avevano manifestato l'intenzione di partire
per la Terrasanta per unirsi ai crociati; G. scrisse allora una lettera a una
di esse, suor Domitilla, della quale era confidente spirituale, affermando che,
per lo meno in questo proposito, non era in sintonia con la posizione di
Caterina, ribadendo l'inutilità e i pericoli dell'impresa. Tali considerazioni,
rese pubbliche da un discepolo di Caterina, l'agostiniano inglese William
Flete, fecero pensare a un dissenso sostanziale di G. dall'operato della
Benincasa: dissenso che G. si affrettò a negare in una lettera inviata allo
stesso Flete nel 1376, nella quale egli confermava la sua più completa
devozione per Caterina e chiedeva di essere ammesso tra i suoi discepoli, pur
senza averla mai incontrata fino a quel momento; la sua richiesta fu rapidamente
accolta, come testimonia lo stesso G. in una lettera del 10 ottobre di quello
stesso anno. Caterina ricambiò immediatamente la stima e l'affetto dimostrati
da G. e lo esortò a entrare nella Compagnia della Madonna sotto le volte dello
spedale di S. Maria della Scala, alla quale appartennero personaggi illustri
come Iacopone da Todi, Giovanni Colombini, s. Bernardino da Siena e la stessa
s. Caterina. Il biografo della santa, Stefano Maconi, inoltre, racconta di un
miracolo che ella avrebbe operato proprio a favore di G. che, agonizzante nella
badia di Passignano, nei pressi di Firenze, fu guarito dalle sue preghiere: di
questo episodio G. diede un dettagliato resoconto in una lettera che però non
ci è pervenuta. Della corrispondenza che ci fu tra G. e Caterina al momento
sono note solo le lettere indirizzate dalla santa al Cellense nel 1376 e nel
1378 (nn. 296 e 322 dell'ed. Meattini).
Nel gennaio del 1379, su indicazione di Caterina, G.
fu invitato a Roma insieme con altri celebri teologi e uomini di Chiesa da papa
Urbano VI, che voleva chiedere consigli sulla condotta da adottare in merito
all'elezione dell'antipapa Clemente VII e pianificare un progetto di riforma in
risposta alla grave crisi della Chiesa provocata dal grande scisma d'Occidente
(1378). Le cronache dell'epoca narrano che l'iniziativa di Urbano VI ebbe
scarso successo, tanto che solo pochissimi religiosi si presentarono
all'incontro con il papa previsto per la domenica successiva all'Epifania del
1379 (9 gennaio); G. non era tra questi. Non è possibile ipotizzare, come fa P.
Cividali, che G. abbia risposto all'appello solamente in considerazione
dell'amicizia che lo legava al papa.
G. morì a Vallombrosa tra il 1394 e il 1400. Il terminus
post quem è il maggio-giugno del 1394, data in cui fu eletto per la prima
volta gonfaloniere di Firenze Guido del Palagio: G. accenna esplicitamente a
questa elezione in una lettera indirizzata allo stesso Guido (n. 11 dell'ed.
Giambonini); il terminus ante quem è il 1400: Lapo Mazzei,
riferendosi a G. in una sua lettera a Francesco Datini, lo chiama
"santo" e ne parla come persona morta. T. Sala, con una precisione a
dire il vero non documentata, ritiene che G. sia morto il 10 marzo del 1396.
Il titolo di beato attribuito a G. è frutto
probabilmente di una tradizione orale consolidatasi già nelle più antiche
biografie, perché manca qualsiasi documentazione di processi ufficiali portati
a termine dall'autorità ecclesiastica; la tradizione orale, del resto, è condizione
sufficiente per la beatificazione secondo le "Costituzioni" di Urbano
VIII del 1625 e del 1634, che concedevano il titolo di santo o di beato a chi
fosse stato oggetto di un culto anteriore ai cento anni dalla promulgazione dei
decreti.
Le 34 lettere di G. che ci sono giunte, scritte in
latino e in volgare, sono datate tra il 1347 e il 1394 e, tranne quella
indirizzata a Simone da Cascia, furono tutte redatte nel romitorio di
Vallombrosa. Nell'edizione critica curata da F. Giambonini (1991) esse risultano
così suddivise: nn. 1-13 a Guido del Palagio, uomo politico di primo piano
nella Firenze del secondo Trecento e figlio spirituale del Cellense; nn. 14-18
a conoscenti o amici di Guido (Donato Ottaviani correggiaio, Lapo Mazzei,
Guccio Gucci, Francesco Datini); nn. 19-22 a vari religiosi (una non meglio
identificata suor Domitilla, Simone da Cascia, Simone Bencini); n. 23 ai
gesuati; nn. 24-30 a vari destinatari, intorno a Caterina da Siena (sei in
difesa e una in morte); nn. 31-34 ai fraticelli, relative a questioni di
ortodossia; nell'Appendice, inoltre, compaiono tre lettere di dubbia
attribuzione e alcune risposte dei corrispondenti di Giovanni dalle Celle.
Mentre le lettere in latino (la minoranza) non
presentano spunti di originalità formale e G. rimane sostanzialmente legato
alla tradizione della scolastica, nei testi in volgare egli si esprime con una
lingua sorvegliata, aliena da marcati municipalismi e caratterizzata, sul piano
stilistico, dalla raffinatezza degli espedienti retorici, e in particolare
dalla potenza icastica delle efficaci comparationes con cui
accompagna i suoi ammaestramenti morali. Il riconoscimento dell'alto livello di
letterarietà che ben presto fu attribuito al suo volgare è testimoniato, oltre
che dal gran numero di manoscritti del XIV e del XV secolo contenenti le sue
lettere, dalle numerose citazioni che gli accademici della Crusca gli
riservarono nella II e nella III edizione del Vocabolario. Lo stile è
sostenuto da una formazione culturale e religiosa solida e approfondita, che
spazia dalla patristica occidentale e orientale fino ai mistici e ai canonisti,
e notevole appare l'influsso di s. Bernardo, del quale G. assimila soprattutto
la tendenza a fondere, "nel clima mistico, elementi ragionativi, pratici,
culturali" (G. Petrocchi, 1957, p. 215); più sporadiche invece risultano
le presenze degli autori classici (Seneca e Boezio, soprattutto) e moderni (tra
di essi, Petrarca, Jacopone da Todi, Angela da Foligno). Non si rilevano,
nonostante quanto affermato da qualche studioso (Joergensen, Sapegno, Tartaro),
tracce significative della nascente cultura umanistica nella visione del mondo
di G., che rimane improntata a un rigoroso ascetismo di marca medioevale, poco
incline a lasciare spazio a conflitti interiori (significativa, a questo
proposito, è l'assenza di riferimenti alle Confessiones di s.
Agostino) e non disposto a rischiare pericolose contaminazioni con la cultura
pagana. G. si interessa dei problemi del suo tempo, conosce e interpreta le
profezie gioachimite e pseudogioachimite, critica severamente le posizioni
eterodosse dei fraticelli e il loro progetto di povertà estrema, esorta Guido
del Palagio a difendere strenuamente la libertà di Firenze nella guerra degli
Otto santi contro il papa (mostrando una autonomia di giudizio per certi versi
sorprendente in una questione così delicata), ma poi rifiuta ogni tipo di
impegno diretto nella Chiesa e nel mondo: a Guido raccomanda: "usa questo
mondo come se tu non lo usassi" (lettera n. 4 dell'ed. Giambonini) e ai gesuati
consiglia "fuga del signoreggiare e dello onore del chericato […] amore di
servire […] dilungamento da ogni lite […] riverenza e onore de' compagni e di
tutti gli uomini, e spezialmente de' preti e de' prelati, e di tutti i
sacramenti della Chiesa e delle cose sagrate, che sono diputate al servigio di
Dio; fuga dalla dimestichezza delli eretici e de' libri de' pagani"
(lettera n. 23 dell'ed. Giambonini).
L'attività letteraria di G. non dovette limitarsi al
genere epistolare, considerato il numero delle opere, in latino e in volgare,
che gli antichi biografi gli hanno attribuito: tra queste, una Leggenda
de' viaggi di s. Caterina (perduta), un Liber de moribus beatissimae
Virginis, un Tractatus de poenitentia, una Vita di s. Domitilla (della
quale G. fu devoto) e diversi volgarizzamenti. La recensio dei
manoscritti consente, a oggi, di considerare di G. con un buon margine di
sicurezza solamente il volgarizzamento della Summa casuum conscientiae del
domenicano Bartolomeo da San Concordio (cfr. Th. Kaeppeli, Scriptores
Ordinis praedicatorum Medii Aevi, I, Roma 1970, p. 165; IV, Roma 1993, p. 44),
un diffusissimo manuale per i confessori. La traduzione in volgare nota con i
titoli di Pisanella, Bartolina o Maestruzza, divisa in 5
libri (nei quali la materia non rispetta l'ordine alfabetico dell'originale),
fu preparata espressamente per i numerosi chierici che non conoscevano il
latino, come afferma lo stesso autore nel prologo. Non è sicuramente di G. (o
di chiunque sia l'autore della Pisanella) il grossolano riassunto
dell'opera che circolò in numerose copie alla fine del XIV secolo, noto con il
titolo Fiori della Somma del Maestruzzo, ed è senz'altro un arbitrio del
curatore l'attribuzione a G. di alcuni volgarizzamenti di autori classici
(il Sogno di Scipione e i Paradossi di Cicerone, il Trattato
delle quattro virtù morali e il Libro dei costumi attribuiti a
Seneca, ma in realtà di Martino di Braga, autore del VI sec.) apparsi a stampa
nel 1825 (Volgarizzamento inedito di alcuni scritti di Cicerone e di Seneca
fatto per don G. dalle C. ed alcune lettere dello stesso, a cura di G.
Olivieri, Milano 1825). È probabile che G. abbia allestito alcune traduzioni di
Boezio per Guido del Palagio (cfr. lettere 1, 2, 16 dell'ed. Giambonini, nelle
quali è lo stesso G. a darne notizia), ma finora non sono state identificate
L'edizione critica delle lettere si trova in Giovanni
dalle Celle - L. Marsili, Lettere, a cura di F. Giambonini, I-II, Firenze
1991; edizioni parziali in Lettere del beato G. dalle C., a cura di B.
Sorio, Roma 1845; P. Cividali, Il beato G. dalle C., in Memorie della
R. Accademia dei Lincei, s. 5, XII (1907), pp. 426-477; Mistici del
Duecento e del Trecento (Rizzoli), a cura di A. Levasti, Milano 1935, pp.
783-816; Prosatori minori del Trecento, a cura di G. De Luca,
Milano-Napoli 1954, pp. 199-210; Scrittori religiosi del Trecento, a cura
di G. Petrocchi, Firenze 1974, pp. 95-102.
Fonti e Bibl.: B. Del Sera, Compendio degli abati
generali di Vallombrosa e di alcuni monaci conversi dello stesso Ordine,
Venezia 1510, p. 16; E. Locatelli, Vita del glorioso padre s.
Giovangualberto fondatore dell'Ordine di Vallombrosa, insieme con le vite di
tutti i generali, beati e beate che ha di tempo in tempo havuto la sua
religione, Firenze 1583, pp. 264-267; A. Wion, Lignum vitae, II, Venetiis
1595, p. 71; D. Franchi, Istoria di s. Giovangualberto, Firenze 1640, p.
80; G. Bucelin, Menologium benedectinum sanctorum, beatorum atque
illustrium eiusdem Ordinis virorum, Weldkirchii 1655, p. 187; Girolamo da
Raggiolo, De beato Ioanne eremita Cellarum, in Acta sanctorum Martii,
II, Antverpiae 1668, pp. 50 s.; G. Mannucci, Le glorie del Clusentino, I,
Firenze 1674, pp. 15 s.; II, ibid. 1687, pp. 28, 86 s.; V. Simi, Catalogus
sanctorum et plurium virorum illustrium qui… effloruerunt in Valle Umbrosa,
Romae 1693, pp. 168-171; G.A. Casari, Celebriores Vallumbrosanae
Congregationis sancti, beati ac venerabiles…, Romae 1695, ritratto n. 44;
Caterina da Siena, Opere, a cura di G. Gigli, I, Siena 1707, pp. 469 s.;
G. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 200; C.
Carnesecchi, Vita monastica del Trecento, in Rassegna nazionale, 1°
sett. 1895, pp. 31, 54 s.; Fontes vitae s. Catharinae Senensis historici.
Documenti, I, a cura di M.-H. Laurent, Siena 1936, pp. 53-55; Thomas Antonii de
Senis "Caffarini", Libellus de supplemento legende prolixe
Virginis beate Catherine de Senis, a cura di G. Cavallini - I. Foralosso, Roma
1974, pp. 335 s., 367, 387-389; S. Caterina da Siena, Lettere, a cura di
U. Meattini, Milano 1987, pp. 1448-1455; A. Marenduzzo, Le lettere di don
G. dalle C. monaco di Vallombrosa, in Rassegna pugliese, XXII (1905), pp.
82-89; P. Cividali, Il beato G. dalle C., in Memorie della R.
Accademia dei Lincei, s. 5, XII (1907), pp. 354-457 (si vedano anche, a
parziale correzione e integrazione dello studio della Cividali, le recensioni
di C. Di Pierro in Giorn. stor. della letteratura italiana, LI [1908], pp.
358-360, di G. Volpi in Rass. bibliografica della letteratura italiana,
XVI [1908], pp. 79 s., e di C. Frati in La Bibliofilia, XV [1913-14], p.
97); D.F. Tarani, L'Ordine vallombrosano. Note storico-cronologiche,
Firenze 1920, p. 113; G. Joergensen, S. Caterina da Siena, Torino s.d.
[nulla osta 1921], pp. 298 s.; H. Grundmann, Die Papstprophetien des
Mittelalters, in Archiv für Kulturgeschichte, XIX (1929), pp. 109,
114-123; T. Sala, Diz. storico-biografico di scrittori, letterati ed
artisti dell'Ordine di Vallombrosa, I, Firenze 1929, pp. 131-138; S. Ekwall, Quando
morì il beato G. dalle C., in Rivista di storia della Chiesa in Italia, V
(1951), pp. 371-374; I. Hijmans-Tromp, Vita e opere di Agnolo Torini,
Leiden 1957, pp. 18 s., 35, 39, 225 e n., 226 e n.; G. Petrocchi, Il
problema ascetico di G. dalle C., in Id., Ascesi e mistica trecentesca,
Firenze 1957, pp. 201-231; E. Lucchesi, Le due lettere di s. Caterina al
beato G. dalle C. di Vallombrosa, Siena s.d. [1958?]; G. Petrocchi, Cultura
e poesia del Trecento. La letteratura religiosa, in Storia della letteratura
italiana (Garzanti), a cura di E. Cecchi - N. Sapegno, II, Milano 1965,
pp. 669-671; C. Bec, Les marchands écrivains. Affaires et humanisme à
Florence (1375-1434), Paris 1967, pp. 117 s., 120 s., 128; M. Petrocchi, Scrittori
di pietà nella spiritualità toscana e italiana del Trecento, in Arch.
stor. italiano, CXXV (1967), pp. 26 s.; A. Tartaro, Scrittori devoti,
in Letteratura italiana. Storia e testi, a cura di C. Muscetta, II, 2,
Bari 1972, pp. 473-476; G. Petrocchi, Letteratura religiosa, in Diz.
critico della letteratura italiana (UTET), a cura di V. Branca, III,
Torino 1973, p. 173; R.N. Vasaturo, Notizie storiche, in Vallombrosa
nel IX centenario della morte del fondatore Giovanni Gualberto (12 luglio 1073),
Firenze 1973, p. 87; G. Miccoli, La vita religiosa, in Storia
d'Italia, I, Dalla caduta dell'Impero romano al secolo XVIII, 1, Torino
1974, pp. 925-929, e ad ind.; E. Dupré Theseider, Mondo cittadino e
movimenti ereticali nel Medio Evo, Bologna 1978, pp. 381, 389; R.
Rusconi, L'attesa della fine. Crisi della società, profezia ed Apocalisse
in Italia al tempo del grande scisma d'Occidente (1378-1417), Roma 1979, pp.
57-71, e ad ind.; N. Sapegno, Storia letteraria d'Italia. Il Trecento (Vallardi),
a cura di A. Balduino, Milano 1981, p. 507 e ad ind.; F. Giambonini, Per
G. dalle C. Ascesi, notariato e mercatura di fine Trecento a Firenze, in Rinascimento,
XXXI (1991), pp. 133-154; S. Brambilla, Un codice ricostruito e una
silloge volgare nell'epistolario di G. dalle C., in Italia medioevale e
umanistica, XXXIX (1996), pp. 397-402; Bibliotheca hagiographica Latina
Antiquae et Mediae Aetatis, I, p. 647; … Novum Supplementum, p. 486; Bibliotheca
sanctorum, VI, coll. 657-660; P.O. Kristeller, Iter Italicum. A cumulative
index to volumes I-VI, s.v. Celle, Giovanni dalle; Rep. font. hist.
Medii Aevi, V, pp. 137 s.; Letteratura italiana (Einaudi), Gli
autori, Diz. bio-bibliografico, a cura di A. Asor Rosa, I, p. 908; Dict.
d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XXVI, col. 1391.
SOURCE : https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-dalle-celle_(Dizionario-Biografico)