Bienheureux Frano Gjini
Évêque et martyr en Albanie
(*Shkodër, 20 février 1886 † 11 mars 1948)
Frano Gjini, inséré dans le groupe de 38 martyrs tués en Albanie sous le régime
communiste, a été béatifiée à Shkodër (Albanie) le 5 novembre 2016 (>>> BBx Vinçens (Kolë) Prennushi et 37 compagnons, martyrs), sur la place St Etienne de la cathédrale.
Le card. Angelo Amato s.d.b., Préfet de la Congrégation pour les Causes des
Saints, représentant le Pape François, a présidé la Messe de béatification en
présence de dix mille fidèles, beaucoup arrivés de l’étranger. Parmi les
participants figuraient le Chef de l’État, Bujar Nichani, le Président du
Parlement, plusieurs ministres et représentants d’autres religions.
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2001-2017
Beato Francesco Gjini Vescovo
e martire
Scutari, Albania, 20
settembre 1886 – 11 marzo 1948
Monsignor Frano Gjini, vescovo-abate di Sant’Alessandro a Orosh, nel
distretto di Mirdita, esercitò il ministero episcopale impegnandosi a
correggere le antiche usanze popolari che confliggevano con l’insegnamento
della Chiesa. Convocato dal dittatore Enver Hoxha, rifiutò di essere a capo di
un’ipotetica Chiesa di Stato, affermando con coraggio che mai avrebbe separato
il suo gregge dalla Santa Sede. Fu condannato a morte l’8 gennaio 1948 e
fucilato l’11 marzo seguente insieme ai padri francescani Cyprian Nika e Mati
Prennushi. Inseriti tutti e tre nel gruppo dei 38 martiri uccisi in Albania
durante il regime comunista, sono stati beatificati a Scutari il 5 novembre
2016.
Vescovo-abate
della Mirdita
Frano Gjini nacque a Scutari in Albania il 20 settembre 1886. Compì i suoi
studi nel Collegio San Francesco Saverio, tenuto dai Gesuiti nella sua città, e
presso la Congregazione di Propaganda Fide a Roma.
Ordinato sacerdote, fu parroco a Laç, Vlora e Durazzo, città dove venne
consacrato vescovo. In seguito venne nominato vescovo-abate di Sant’Alessandro
a Orosh (Shën Llezhri-Oroshit), nel distretto della Mirdita.
L’antica abbazia, risalente almeno al XII secolo, era all’epoca abbandonata,
come tutta la zona, dopo la morte dell’abate precedente, Preng Doçi, avvenuta
nel 1917. La popolazione, quindi, era trascurata dal punto di vista spirituale,
fatta eccezione per qualche visita da parte dei Gesuiti impegnati nella
cosiddetta “missione volante”, ossia un’attività di apostolato dedicata
specialmente all’istruzione religiosa e alla riconciliazione tra i clan
familiari nei paesi di montagna.
Servitore di Cristo e dei poveri
L’ingresso di monsignor Gjini nella sua sede episcopale avvenne d’autunno, un
sabato pomeriggio, in un clima festoso: le campane delle chiese delle montagne
suonavano a distesa, mentre i montanari sparavano in aria. A notte fonda, di
villaggio in villaggio e davanti all’abbazia, si accesero grandi falò, per
segnalare l’arrivo del nuovo abate.
Il giorno dopo, domenica, il vescovo rimase colpito dalla vista di tutti i suoi
nuovi fedeli, che accorrevano, in lacrime di gioia, per baciargli l’anello.
Durante la Messa, nella sua omelia, ricordò loro che lui era anzitutto un
servitore di Cristo e dei poveri, quindi dovevano esserne consapevoli. Il tono
modesto delle sue parole, tuttavia, non convinse la totalità di quegli uomini,
d’indole fiera e intimamente diffidenti.
In ogni caso, per quindici anni, monsignor Gjini continuò l’operato del suo
predecessore, correggendo le antiche usanze che confliggevano con gli
insegnamenti della Chiesa e invitando al perdono, contrariamente a quanto
prescriveva il diritto consuetudinario del Kanun.
Nel rischio della persecuzione
Intanto l’Albania stava per entrare nell’orbita comunista, i cui partigiani
attaccarono la Mirdita nel 1944. I montanari non accettavano le loro leggi, ma
qualcuno scese a patti con i capi politici. Quanto al vescovo-abate, pur non
incitando alla violenza, denunciava inequivocabilmente quell’ideologia.
Nel 1945, il nunzio apostolico in Albania, monsignor Leone Giovanni Battista
Nigris, cercò di presentare la situazione del Paese a papa Pio XII. Tuttavia, sul punto di rientrare, si vide impedito dal governo, in un
esilio di fatto. Monsignor
Gjini, quindi, divenne suo sostituto e dovette partire per Scutari.
Opposto al regime, per il bene del suo gregge
Non molto tempo dopo, venne convocato da Enver Hoxha in persona. Il capo di
Stato voleva chiedergli di prendere il comando di una Chiesa nazionale,
separata da Roma, proprio come aveva o avrebbe domandato ad altri due vescovi,
i monsignori Gaspër Thaçi e Vinçenc Prennushi, i quali si mostrarono contrari.
Anche monsignor Gjini fu dello stesso parere: «Io non mi separerò mai dal mio
gregge», gli replicò perentoriamente.
Rientrato a Orosh, il vescovo pensò anzitutto al bene dei suoi fedeli, prima
che alla propria salvezza personale. Scrisse dunque una lettera aperta a Hoxha, nella
quale gli proponeva una collaborazione da parte della Chiesa cattolica, ma solo
«per la ricostruzione della nazione curando le ferite e sormontando le
difficoltà esistenti». Mentre protestava per i disagi, per non dire le
persecuzioni, subiti da sacerdoti, religiosi e laici, auspicava «di arrivare
non solo a dei vantaggi materiali ma anche a dei profitti spirituali per tutti
gli albanesi».
La prigionia e le torture
Fu proprio quella missiva ad offrire l’occasione per arrestarlo, ma né le
pressioni fisiche, né quelle psicologiche riuscirono a fargli cambiare idea.
Relegato in una cella di un metro quadrato di ampiezza, incatenato mani e
piedi, ne veniva tratto fuori solo per venire torturato. Ad esempio, veniva
buttato in una vasca di acqua gelata, oppure subiva scosse elettriche, o ancora
gli venivano messi granelli di sale su ferite appena aperte, o punte di legno
sotto le unghie.
Una notte del dicembre 1946, mentre era legato a uno degli alberi nel cortile
del convento francescano di Scutari, trasformato in prigione, insieme ai padri
francescani Cyprian Nika e Bernardin Palaj, ebbe la forza d’impartire un’ultima
benedizione a un altro condannato moribondo, legato alla stessa maniera: era
bloccato con le mani, ma tracciò il segno della Croce alzando la testa, poi
abbassandola e muovendola da sinistra verso destra.
Il martirio e la beatificazione
Alla fine, un tribunale popolare, a porte chiuse, lo condannò a morte l’8
gennaio 1948. Insieme a diciassette altri tra preti e laici, inclusi padre
Cyprian Nika e padre Mati Prennushi, venne quindi fucilato l’11 marzo 1948, in
un fosso vicino a una vigna. Sua sorella Tina seguì il corteo dei condannati,
ma venne riconosciuta dai soldati e arrestata a sua volta.
Monsignor Frano Gjini, compreso con i suoi compagni di martirio e un altro
francescano, padre Bernardin Palaj, nell’elenco dei 38 martiri albanesi
capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, è stato beatificato a Scutari il 5
novembre 2016.
Autore: Emilia
Flocchini
Ipeshkëv
I lindur
në Shkodër, më 20.02.1886. U shugurua meshtar më 28.06.1908. Në vitin 1918 u
emërua Vikar i Përgjithshëm i Arqidioqezës së Durrësit. Tre herë qe famullitar
i Durrësit, pastaj në Derven të Fushë Krujës, Kurbin dhe Perlat të Kthellës. U
shugurua Ipeshkëv më 28.10.1930 për Abacinë Nullius të Shën Llezhdrit të
Oroshit në Mirditë. Më 11.11.1945 iu besua përkohësisht regjenca e Delegacionit
Apostolik të Shqipërisë me të gjitha kompetencat e Delegatit Apostolik, duke
zëvendësuar Imzot Nigris-in që, pasi ishte nisur për Romë në fund të marsit të
vitit 1945, regjimi nuk e lejoi të hynte më në Shqipëri. Më 04.01.1946 u
transferua në selinë e Lezhës, me banim në Kallmet, duke vazhduar të jetë
Administrator Apostolik i Abacisë Nullius të Oroshit. U arrestua në Shkodër më
15.11.1946, u dënua me vdekje më 08.01.1948 dhe u pushkatua më 11.03.1948.
It.
Vescovo
Nacque a
Scutari il 20.02.1886. Fu ordinato sacerdote il 28.06.1908. Nel 1918 fu fatto
Vicario Generale dell’Archidiocesi di Durazzo. Per tre volte parroco fu di
Durazzo, parroco anche a Derven di Fushë Kruja, a Kurbin e a Perlat di Kthella.
Fu consacrato vescovo il 28.10.1930 per l’Abbazia Nullius di S. Alessandro di
Orosh in Mirdita. L’11.11.1945 gli fu affidata la temporanea reggenza della
Delegazione Apostolica dell’Albania con tutte le facoltà del Delegato
Apostolico, in sostituzione del Delegato Apostolico Mons. Nigris che, partito
per Roma alla fine di marzo del 1945, il regime non fece rientrare più in
Albania. Il 04.01.1946 fu trasferito alla sede di Alessio, attuale Lezha, con
residenza a Kallmet, restando Amministratore Apostolico dell’Abbazia Nullius di
Orosh. Fu arrestato a Scutari il 15.11.1946, condannato a morte l’8.01.1948 e
fucilato l’11.03.1948.