Serafino
Morazzone
1747-1822
Né
à Milan le 1er février 1747, dans une famille aussi
pauvre que nombreuse, Serafino fut accueilli gratuitement par les Jésuites de
Brera pour ses études.
Il
reçut l’habit clérical à treize ans, la tonsure à quatorze, les ordres mineurs
de Portier et Lecteur à seize ans. C’est un peu précoce et rapide, mais c’était
admis à cette époque.
A
dix-huit ans, pour se payer les études, il est servant de messe (sacristain) à
la cathédrale : le matin, il est dans le sanctuaire, l’après-midi il étudie la
théologie. Ce sera son horaire pendant huit années, durant lesquelles on le
verra toujours souriant, fidèle, exact, toujours poli.
A
vingt-quatre ans, il reçoit les deux autres ordres mineurs d’Exorciste et
d’Acolyte, et on lui propose la paroisse de Chiuso, dont personne ne veut. Mais
comme il n’est pas encore prêtre, vite on lui administre le sous-diaconat, le
diaconat et le sacerdoce en un mois, et le voilà curé à vingt-six ans. Il le
restera quarante-neuf ans, jusqu’à la mort, car il n’acceptera jamais d’autres
postes plus «dignes».
Les
témoins pourront parler des longues heures qu’il passa à genoux par-terre dans
l’église, et surtout de celles passées à entendre les confessions, car les
pénitents viennent très nombreux se confesser au «bienheureux Séraphin».
Don
Serafino donne tout son temps aux pénitents, aux malades qu’il va visiter
chaque jour, aux enfants, à qui il enseigne le catéchisme mais aussi les
rudiments scolaires.
Il
est si détaché qu’il ne voit même pas que ses prières obtiennent des miracles.
Quand
il meurt, le 13 avril 1822, on s’aperçoit peu après son enterrement… que son
corps n’est pas dans la tombe. C’est que de nuit, affrontant toutes les
dispositions légales, les paroissiens sont venus l’exhumer pour l’inhumer sous
le pavement de l’église paroissiale.
Le
curé de Chiuso fut longtemps le confesseur d’Alessandro Manzoni, qui en parla
explicitement dans Fermo e Lucia.
Don
Serafino mourut le 13 avril 1822, et fut béatifié en 2011.
Beato Serafino Morazzone Sacerdote
Milano, 1 febbraio 1747 – Lecco, 13 aprile 1822
Parroco
di Chiuso dal 1773 al 1822, fu confessore di Alessandro Manzoni, probabilmente
fino al 1818, anno in cui la famiglia di Manzoni vendette la villa del
Caleotto, ove soggiornava. Manzoni ne scrisse un vero panegirico in Fermo e
Lucia, ove lo nominò esplicitamente, creando un anacronismo rispetto
all'ambientazione seicentesca della storia narrata, interpretato dai
commentatori come dovuto all'affetto e all'ammirazione dello scrittore verso
questo religioso. Ne I promessi sposi il Manzoni toglierà l'accenno esplicito
del nome. Morazzone fu sepolto a Lecco, nella chiesa dedicata a San Giovanni
del rione di Chiuso di cui fu parroco. È stato dichiarato Venerabile il 17
dicembre 2007 e poi beatificato il 26 giugno 2011. In passato la sua
canonizzazione era stata sollecitata dal cardinale Schuster, che lo aveva
definito "novello curato d'Ars".
“Prete Serafino
Morazzone” diventa beato a quasi due secoli dalla morte. Un altro “Curato
d’Ars”, è stato detto di lui; con la differenza che, questo, è italianissimo e
meno noto dell’altro, anche se tra i due c’è una straordinaria sintonia
spirituale e umana. A cominciare dalle umilissime origini, perché Serafino
arriva da una famiglia povera e numerosa. Suo padre ha una minuscola rivendita
di granaglie e vive in un modesto alloggio di Milano, dalle parti di Brera: qui
nasce Serafino, il 1° febbraio 1747. Dato che vuole farsi prete e che mancano i soldi per
farlo studiare, i gesuiti lo accolgono a titolo gratuito nel collegio di Brera.
A tamburo battente, come si usava allora, le
varie tappe verso il sacerdozio di un ragazzo umile e fedelissimo ai suoi impegni:
a 13 anni riceve la talare, a 14 la tonsura, a 16 i primi due ordini minori. A 18 anni, per potersi
pagare gli studi, va a fare l’accolito in Duomo: per dieci lire al mese, al
mattino presta servizio all’altare e al pomeriggio studia teologia. Così per
otto anni, fedelissimo e puntuale, cortese e sorridente. A 24 anni riceve gli
altri ordini minori e due anni dopo, a sorpresa, gli fanno fare concorso per
Chiuso, nel lecchese: una piccola parrocchia che all’epoca conta 185 abitanti
ed alla quale nessun altro aspira. Vince il concorso, ma non è ancora prete;
così, nel giro di un mese, riceve il suddiaconato, il diaconato e l’ordinazione
sacerdotale e il giorno dopo è già insediato a Chiuso: vi resterà per 49 anni,
cioè fino alla morte. Per scelta, perché anche
quando gli offriranno parrocchie più importanti o incarichi più onorifici
sceglierà di essere sempre e soltanto il “buon curato di Chiuso”, da cui non si
allontanerà mai. Testimoni oculari hanno attestato le lunghe ore trascorse in ginocchio
nella chiesa parrocchiale e quelle, interminabili, trascorse in confessionale
ad accogliere i penitenti. Ovviamente non
soltanto i suoi, ma pure quelli che arrivano da Lecco e dai paesi vicini.
Perché a Chiuso, come ad Ars, si fa la fila per andarsi a confessare dal “beato
Serafino”, come lo chiamano i contemporanei, mentre lui si considera solo un
povero peccatore, infinitamente bisognoso della misericordia di Dio e delle
preghiere del prossimo. Le sue ottengono miracoli, ma lui non se ne accorge,
impegnato com’è a non trascurare neppure uno dei suoi parrocchiani: raccontano
che i malati li va a trovare anche di sera o di notte, se non è riuscito a
farlo di giorno, e così tutti i giorni, fino a quando si ristabiliscono o
chiudono gli occhi per sempre. E non solo per portare loro i conforti della
religione: dicono che i bocconi migliori e tutto quello che gli viene regalato
siano per i suoi poveri, per i suoi malati. Ad uno, piuttosto male in
arnese, finisce per regalare anche il suo materasso, di cui per un bel
po’ deve fare a meno, perché nessuno si è accorto del suo gesto di carità. Ai
ragazzi,oltre al catechismo, insegna a leggere e a contare, in una specie di
scuola che ha aperto in canonica, forse ricordando quanto anche lui ha faticato
a studiare. Muore il 13 aprile 1822 e un
piccolo giallo avvolge la sua sepoltura, quando ci si accorge che di lui non
c’è traccia nella fossa che dovrebbe essere la sua. Il giallo si risolve grazie
alla testimonianza di un anziano: i parrocchiani, che non si rassegnavano a
saperlo nella nuda terra del cimitero, lo avevano esumato la notte stessa del
funerale, adagiandolo sotto il pavimento della chiesa, in barba a tutte le
disposizioni di legge. Tra i suoi penitenti famosi c’è anche Alessandro
Manzoni, che è talmente convinto della santità di quel prete da tracciare di
lui una testimonianza toccante nel suo “Fermo e Lucia”,cioè la prima versione
de “I promessi sposi”, di cui diventa addirittura personaggio chiave con una
trasposizione storica un po’ ardita che l’autore sarà costretto ad eliminare
nell’edizione definitiva. “Beato” per i contemporanei, tarda ad essere
riconosciuto tale dalla Chiesa. La “causa”,
iniziata nel 1854, si arena quasi subito. A fine ‘800 il cardinal Ferrari
ordina di rimuovere la montagna di ex voto e di stampelle deposte accanto alla
tomba, perché potrebbero pregiudicarne la prosecuzione. Riavviata nel 1964, la
Causa giunge a buon fine domenica 26 giugno con la beatificazione: interamente
postulata dai suoi parrocchiani, sempre più convinti di aver avuto un “curato
santo”.
Nella diocesi di Milano la sua memoria si celebra il 9 maggio.
Autore: Gianpiero Pettiti