Pope Benedict XII
- Jacques
Fournier
- Saverdun, France as Jacques Fournier
Pope Benedict XII
Sources
BENEDETTO XII
di Bernard Guillemain - Enciclopedia dei Papi (2000)
Benedetto XII
Giacomo Fournier, originario di Saverdun (dipartimento
dell'Ariège, distretto di Pamiers) nella Contea di Foix (Francia meridionale),
nacque, probabilmente tra il 1280 e il 1285, da una famiglia che non
apparteneva certamente né alla nobiltà né alla borghesia mercantile da cui
erano usciti i suoi due predecessori Clemente V e Giovanni XXII; suo padre era
forse mugnaio.
Destinato alla carriera ecclesiastica, la sua fortuna
fu rappresentata dallo zio materno, Arnaud Novel, monaco cisterciense, che
aveva ricoperto la carica di ufficiale dell'Ordine a Tolosa. Il
nipote seguì le orme dello zio, fece la professione nell'abbazia di Boulbonne,
poi passò a quella di Fontfroide, in cui Arnaud era divenuto abate. Fu allora
inviato a Parigi al
collegio S. Bernardo, appartenente all'Ordine, a seguire gli studi di teologia;
compì tutta la carriera universitaria fino al grado di "magister" e
insegnò ai pensionanti del suo collegio. Nel frattempo Arnaud Novel era
divenuto uno degli uomini di fiducia di Clemente
V; aveva ricevuto la direzione della Cancelleria e il 19 dicembre 1310 era
divenuto cardinale; domandò subito il privilegio di designare lui stesso il suo
successore a Fontfroide, approfittandone per eleggere il nipote, nel 1311.
Per alcuni anni il giovane abate si piegò alla vita
del chiostro, ma nulla ci è pervenuto di questo periodo di preghiera e di riflessione.
Egli dovette sentire quanto i compromessi avevano attenuato il rigore della
Regola cisterciense, quali ambizioni si agitavano nella mente dei monaci; forse
si formò allora quella convinzione, che espresse più tardi, che teologia e
filosofia fossero le sole materie che dovevano coltivare gli studenti
dell'Ordine. Quando Arnaud Novel stimò che il suo protetto fosse
sufficientemente maturo per iniziare una carriera più attiva gli fece affidare
dal pontefice Giovanni
XXII, il 19 marzo 1317, la sede episcopale di Pamiers. Riuscì a vederlo
ancora alla Corte di Avignone,
ma venne a morte sei giorni prima che il nuovo vescovo fosse consacrato.
Giacomo Fournier non poteva contare ormai più che sulle proprie capacità. La
sua diocesi di montagna serviva di rifugio a eretici, Valdesi o Albigesi, e il
vescovo ne iniziò la ricerca e la persecuzione, ciò che l'Inquisizione di Carcassonne non
era riuscita a ottenere. Si è calcolato che in sette anni egli presiedette il
suo tribunale per trecentosettanta giorni. Girava per la diocesi, ascoltava i
testimoni, interrogava i sospetti; i processi verbali delle sedute, che sono
arrivati a noi lo mostrano attento ai dettagli della procedura, preciso,
severo, ma pronto a esporre lungamente la dottrina cattolica per convincere gli
avversari; ottenute le confessioni, allentava il suo rigore: in novantotto
processi condannò al rogo soltanto cinque eretici recidivi. Si dedicò anche
all'istruzione dei suoi fedeli: la maggior parte dei trentuno sermoni, che si
sono tramandati in forma schematica, risalgono al periodo del suo vescovato.
Giovanni XXII apprezzò questo zelo, e chiamò il
vescovo a partecipare al processo del celebre frate minore Bernardo Délicieux;
ebbe poi da lui la giustificazione dei suoi interventi nella dibattuta
questione della povertà che divideva l'Ordine dei Minori: Giacomo Fournier
dimostrò infatti che un pontefice non era legato alle costituzioni dei suoi
predecessori in materia di disciplina. Il 3 marzo 1326 il papa lo trasferì a
Mirepoix, nella stessa regione di Pamiers, nei Pirenei,
perché riprendesse qui la lotta contro gli eretici, ma ben presto ritenne più
utile averlo stabilmente presso di lui: il 18 dicembre 1327 lo nominò cardinale
prete del titolo di S. Prisca.
Giacomo Fournier divenne così il teologo della Curia
pontificia, colui che esaminava le dottrine sospette. Partecipava ai processi,
confutava gli "errori" degli Spirituali, dei Gioachimiti, di Meister
Eckhart; risalgono a questo periodo i suoi trattati che si sono conservati.
La questione principale nella quale intervenne fu
quella provocata dalle dichiarazioni di Giovanni XXII sulla visione beatifica.
L'opinione tradizionale era che le anime dei giusti, dopo la morte, godessero
della contemplazione diretta di Dio, anche prima del giudizio universale, ma il
papa, in una serie di sermoni, iniziati nel 1331, l'aveva messa in dubbio,
suscitando viva emozione; i nemici che Giovanni XXII aveva tra i Francescani
intensificarono i loro attacchi. Il pontefice si rivolse allora a tre riprese a
Giacomo Fournier, che spiegò come il capo della Chiesa avesse il
diritto di esprimersi a titolo personale e come fossero infondate le
accuse di Michele da
Cesena, Guglielmo di Occam e Bonagrazia da Bergamo; confutò le proposizioni di
Durand di St-Pourçain (Durando di S. Porciano con le Decem questiones in
Durandum, intraprese uno studio De statu animarum sanctarum ante generale
iudicium che, pur confermando le opinioni correnti, andava tuttavia incontro,
non senza coraggio, a quelle del pontefice.
La fama non aveva mutato le abitudini austere di
Giacomo Fournier, che conservò tra l'altro l'abito dei Cisterciensi, come aveva
fatto Arnaud Novel, e fu soprannominato per questo il "cardinale
bianco". Il 4 dicembre 1334 moriva Giovanni XXII. Dopo un pontificato di
diciotto anni la successione si presentava difficile per molti motivi:
conflitto con Ludovico il Bavaro, che il papa si era rifiutato di riconoscere
come re e imperatore; fallimento di una politica di potenza in Italia per
la preparazione del ritorno della Santa
Sede a Roma; progetto
di una crociata; lamentele contro la centralizzazione dell'amministrazione e la
colonizzazione della Corte pontificia da parte dei Francesi; confusione negli
Ordini religiosi, specialmente in quello dei Frati
Minori; turbamento suscitato dalle polemiche sulla visione beatifica. I
cardinali, che entrarono in conclave il 13 dicembre 1334, erano incerti e
divisi. Il 20 elessero Giacomo Fournier, che assunse il nome di Benedetto XII.
Sembra che la scelta rappresentasse una sorpresa: il
nuovo papa non aveva alcuna esperienza di questioni politiche, ma la sua competenza
teologica, la sua attività pastorale, la sua austerità erano atte a produrre un
serio sforzo di rettitudine dottrinale, morale e amministrativa. Il nome di
Benedetto mostra come l'eletto intendesse ispirarsi all'esempio del
"patriarca dei monaci d'Occidente"; fin dal suo primo Concistoro
segreto invitò i cardinali che lo avevano eletto ad aiutarlo a "rendere
produttiva la vigna del Signore".
L'incoronazione del nuovo pontefice ebbe luogo l'8
gennaio 1335 nella chiesa dei Domenicani di Avignone. B. si adoperò
immediatamente per eliminare gli abusi che erano stati introdotti nel governo
della Chiesa. Non si limitò solo a ordinare un'inchiesta sulle esazioni di
cui si rendevano colpevoli gli ufficiali, a riorganizzare la polizia curiale, a
stabilire il salario dei funzionari, ma si rifiutò anche di esaminare le
innumerevoli domande di favori che gli venivano presentate e ordinò ai prelati
e ai chierici che abitavano ad Avignone, senza tuttavia avervi un incarico, di
ritornare alle loro chiese. Successivamente revocò le commende e, alla fine del
1335, le aspettative, vale a dire le concessioni di benefici, fatte quando chi
ne godeva al momento della concessione ad altra persona era ancora in vita.
Impose inoltre l'obbligo di un esame per i candidati ai benefici. Ma era la
Chiesa intera che egli desiderava riformare. Designò alcuni commissari per
l'accertamento dello stato del clero secolare;
limitò l'importo delle tasse che i prelati ricevevano in occasione delle visite
nelle loro circoscrizioni; e, soprattutto, formatosi lui stesso in un
monastero, volle dedicarsi alla riorganizzazione degli Ordini religiosi. In
pochi mesi si succedettero le disposizioni al riguardo: il 17 giugno 1335, con
la bolla Pastor bonus, ordinava ai monaci vaganti di entrare in qualche
convento, i cui superiori erano invitati ad accoglierli benevolmente; il 4
luglio la bolla Regolarem vitam proibiva il passaggio da un Ordine all'altro;
il 12 luglio la bolla Fulgens sicut stella imponeva ai Cisterciensi, di cui il
papa conosceva per esperienza personale il modo di vita, un ritorno alle
disposizioni disciplinari male applicate e definiva un insieme di norme sulla
gestione delle proprietà, l'ammissione dei novizi e lo studio dei monaci; il 20
giugno 1336 la bolla Summi magistri, designata spesso con il nome di
"benedettina", dava al più venerabile degli
Ordini, quello di s. Benedetto, una struttura che esso non aveva mai avuto: i
monasteri venivano suddivisi in trentadue province, gli abati dovevano riunirsi
in Capitolo ogni tre anni, un monaco su venti era autorizzato a frequentare le
Università a determinate condizioni. Il 28 novembre 1336 erano i Frati Minori a
ricevere, con la bolla Redemptor noster, una costituzione in trenta articoli:
tra le molte indicazioni, che non lasciavano in ombra né i dettagli della
disciplina, né gli obblighi dei dignitari, né l'organizzazione dei conventi, né
lo statuto proprio delle Clarisse, una parte importante riguardava gli studi,
preoccupazione dominante nel pensiero del pontefice: la principale innovazione
era costituita dalla istituzione di scuole generali aperte a studenti scelti
dai conventi vicini in cui dovevano insegnare i frati più dotati che
contemporaneamente seguivano la carriera universitaria. Un capitolo
completamente nuovo affidava alle comunità l'elezione dei custodi e dei
guardiani, che fino ad allora erano sempre stati nominati dai provinciali. È
difficile conoscere i risultati ottenuti da queste disposizioni.
Si racconta che B. avesse dichiarato che il papa,
come Melchisedec,
non conosceva parenti; è certo che i membri della sua famiglia, gli amici, i
compatrioti non ottennero quei favori che l'esempio dei precedenti pontefici
avrebbe potuto far loro sperare: egli si lamentò perfino degli onori concessi
dal re di Napoli a un suo nipote, Guglielmo Fournier. Meno severamente si
comportò con i cardinali, che continuarono a usare il sistema della commenda e
a raccomandare i loro clienti.
Eliminato qualche abuso, continuò tuttavia la
distribuzione dei benefici e delle dispense: B. nominò direttamente i titolari
di trecentoventotto vescovati o abbazie e millecinquecentocinque cariche
inferiori, in virtù delle riserve precedentemente definite, che egli confermò
nella bolla Ad regimen, promulgata fin dal 15 gennaio 1335. Dopo essersi
lasciato indurre a concedere milleduecentoquaranta aspettative durante il primo
anno del suo pontificato, egli le aveva revocate: negli anni seguenti promise
tuttavia lo stesso più di ottocento benefici. Gli si è rimproverato di
prolungare deliberatamente la vacanza delle cariche che ritornavano a lui, per
goderne più a lungo le entrate, ma questi ritardi si possono anche spiegare con
la preoccupazione della scelta dei candidati adatti. Più sensibile alle
debolezze umane di quanto non si potesse pensare, il papa concesse numerose
dispense a illegittimi e a figli di preti, perché ottenessero cariche
ecclesiastiche. La sua preoccupazione di maggior rigore e austerità nel governo
della Chiesa è in fondo dimostrata dal numero degli atti emanati dalla
Cancelleria, notevolmente minore di quello del pontificato precedente.
Parallelamente le entrate, basate soprattutto sullo sfruttamento dei benefici,
diminuirono, abbassandosi dalla media annua di 228.000 fiorini di Firenze a
166.000. Ma le spese, più che dimezzate, non oltrepassarono i 100.000 fiorini,
tanto che nel 1342 il Tesoro pontificio ammontava a 1.117.000 fiorini.
L'amministrazione di B. si dimostrò dunque prospera.
Presso i Regolari l'azione del papa non poteva
esercitarsi in maniera così diretta come sulla Curia: bisognava fare i conti
con la buona volontà dei superiori e l'attaccamento di ciascun Ordine ai propri
usi. B. ebbe l'accortezza di chiedere consigli e di inserire nella sua
legislazione molte delle antiche norme, ottenendo così dei risultati che la
malafede dei suoi avversari è riuscita a nascondere anche agli occhi degli
storici moderni. I Benedettini e i Canonici Regolari di S. Agostino accettarono
durevolmente l'istituzione dei Capitoli; i Frati Minori, nonostante alcune
reticenze e nonostante le dispense da loro richieste dopo la morte del papa
riformatore, applicarono la maggior parte delle norme della bolla Redemptor
noster, che si ritrovano infatti nelle loro successive costituzioni. Con i
Cisterciensi il papa fu costretto a imporre la propria autorità su qualche
abate ribelle. Presso i Domenicani, invece, incontrò tanti ostacoli che
rinunciò a dar loro un regolamento che aveva poca probabilità di essere
rispettato. Lasciò semplicemente che adottassero alcune delle norme della bolla
da lui diretta ai Francescani. Non si può dunque fare un bilancio negativo
della riforma degli Ordini religiosi che rappresentò la sua più notevole iniziativa,
anche se la minuziosità e la secchezza dei testi non erano certo adatte a un
rinnovamento profondo di queste istituzioni.
La Chiesa che B. voleva più austera non era però
diversa, fondamentalmente, da quella che si era andata configurando dall'inizio
del XIV secolo. La dominano i Francesi e tra questi quelli della Francia
meridionale che parlavano la lingua d'oc: nel 1342 essi contano quindici
cardinali di fronte a tre italiani e a un castigliano, e hanno la maggioranza
delle cariche nell'amministrazione centrale. Per converso, il Regno di Francia
ha il 60% dei benefici e versa le imposte corrispondenti: in sette anni una
diocesi francese ricorre in media ventiquattro volte, contro nove per una
diocesi del Regno di Arles,
sei per una diocesi della penisola iberica, cinque per una diocesi tedesca o
inglese; all'Italia sono state inviate soltanto cinquecento lettere riguardanti
i benefici sulle quattromiladue del registro. Furono perfezionati i metodi di
governo instaurati da Giovanni XXII, particolarmente attento ai problemi
organizzativi della Chiesa. La Penitenzieria fu regolata dalla bolla In agro
dominico dell'8 aprile 1338; nel 1340 si precisò il funzionamento del Tribunale
della Sacra Rota; dal 1341 tre scribi, presi dalla Camera
apostolica e chiamati "secretarii", furono incaricati della
redazione dei documenti più importanti. La rettitudine amministrativa fu un
riflesso della rettitudine personale del papa, che si manifestò ancor meglio
nel campo in cui Giacomo Fournier aveva dimostrato la sua particolare
competenza: la teologia. Pose fine alla controversia sulla visione beatifica;
richiesti molti pareri, il 29 gennaio 1336 promulgò la costituzione Benedictus
Deus: dopo il giudizio, a cui ciascun'anima è sottoposta dopo la morte, le
anime dei dannati vanno all'Inferno, quelle dei giusti salgono al Cielo, vivono
con il Cristo, contemplano l'Essenza divina con una visione intuitiva e
diretta; questa beatitudine continuerà eternamente dopo il giudizio universale.
Era un articolo di fede. Quando gli segnalarono che gli Armeni, ai quali egli
aveva inviato aiuti, professavano dottrine erronee, B. ne fece redigere un
elenco comprendente centodiciassette punti e ne reclamò la ritrattazione. La
minaccia dei Turchi ottomani indusse gli imperatori d'Oriente a lasciar sperare
una riunione delle Chiese in cambio degli aiuti di uomini e di denaro
dall'Occidente; ma, avendo il monaco greco Barlaam enumerato le questioni che
avrebbero dovuto essere discusse in un concilio generale, B. rispose che i
Bizantini dovevano solo tornare all'ortodossia romana senza discutere.
Parallelamente il papa cercava di espandere
l'influenza della Chiesa di Roma. Fin dall'inizio del sec. XIV gli immensi
territori dell'Impero mongolo, che si stendevano dalla Russia meridionale
alla Cina, parevano sempre offrire un campo per l'evangelizzazione. In Persia e in Cina era stata costituita una gerarchia
cattolica. In risposta a un'ambasceria del Gran khan, B. nel 1338 inviò una
delegazione di religiosi guidata dal frate minore Nicola Bonet, e in seguito
dal suo compagno Giovanni Marignolli di Firenze; il gruppo, al quale il papa
aveva affidato numerose lettere contenenti tra l'altro un'esposizione della
dottrina cristiana, fu accolto benevolmente da Özbek, khan di Qinciāq, e
attraverso le piste dell'Asia centrale giunse a Pechino nel 1342; il suo capo
tornò dalla missione soltanto nel 1352, quando cioè cominciava a sfasciarsi
l'Impero mongolo e con esso il sogno della conversione dell'Asia.
A queste linee di politica organizzativa interna e di
presenza presso popoli non cristiani faceva riscontro una politica temporale
che ricercava le vie dell'accordo e della pacificazione. A tal fine B. destinò
il 5-6% delle spese a interventi che avevano assorbito oltre i due terzi del
bilancio di Giovanni XXII. Il ritorno del papa a Roma non doveva né poteva
essere per B. quello di un sovrano vittorioso, ma quello di un messaggero
pacifico. Nel 1335 egli dichiarò davanti ad ambasciatori romani l'intenzione di
ritornare nei suoi Stati: pensava di stabilirsi dapprima a Bologna.
Il giovane Petrarca,
preoccupato, gli indirizzò allora un'epistola in latino in cui Roma,
rappresentata da una vecchia signora, gloriosa ma addolorata, supplicava il suo
sposo pontificio di aver pietà della sua miseria. Al papa vennero confermate la
carica di senatore e la nomina dei principali ufficiali municipali.
Ma ormai da più di trent'anni risultava ben chiaro che
il pontefice non poteva tornare in Italia se non fossero maturate certe
condizioni di ordine e di sicurezza, dapprima all'interno degli Stati della
Chiesa, quindi all'esterno. Il 6 maggio 1335 fu inviato nel Patrimonio
l'arcivescovo d'Embrun, Bertrando di Déaulx; egli esaminò l'amministrazione dei
rettori, cambiò il personale, promulgò due costituzioni per eliminare gli
abusi. Ma i baroni, feudatari della Chiesa romana, non furono domati. Essi
dominavano in pratica la Romagna e
la Marca Anconetana. Mentre nel Sud della penisola il papa cercava di
convincere il re Roberto di Napoli, suo vassallo, ad adattarsi alla vicinanza
del re di Trinacria, invincibile nell'isola di Sicilia, cercò
- dal momento che ai suoi occhi l'Impero era vacante e che Ludovico il Bavaro
era in quel momento impotente a far sentire il suo peso nel Nord d'Italia - di
fare dei signori italiani degli alleati del papato: i Della Scala furono
riconosciuti vicari per Verona e Vicenza,
i Gonzaga per Mantova, gli
Este per Modena, i
Visconti per Milano,
in cambio del versamento di sussidi o del rifornimento di truppe. Le tracce
dello scisma nel quale le città erano state trascinate da Ludovico il Bavaro
furono cancellate. Ma questa riconciliazione, ottenuta spesso faticosamente,
dato che l'accordo con i Visconti fu concluso solo il 15 maggio 1341, portò al
riconoscimento e al consolidamento delle Signorie. Lo stesso riconoscimento del
fatto compiuto assunse significato più grave a Bologna: la città, che si era
data alla Chiesa nel 1327, nel 1334 aveva cacciato il legato di Giovanni XXII;
mentre B. aspettava che essa implorasse perdono, il 28 agosto 1337 Bologna si
affidava proprio a uno degli istigatori della ribellione, Taddeo Pepoli.
Il papa lanciò allora la scomunica e l'interdetto, accettando tuttavia in
seguito una conciliazione: nel 1340 i Bolognesi prestarono il giuramento di
fedeltà al rappresentante del papa, impegnandosi a pagare un censo, e Taddeo
Pepoli si tramutò in amministratore dei diritti e dei beni della Chiesa a
Bologna. Quanto al viaggio in Italia non se ne cominciarono nemmeno i
preparativi. B. sapeva che Roma era agitata dalle lotte tra le famiglie
dell'aristocrazia, e si limitò a testimoniare il suo interesse ordinando il
rifacimento della copertura della basilica di S. Pietro, opera molto costosa, ricordata
da un'iscrizione. Convinto che non era ancora giunto il momento del ritorno a
Roma, nell'aprile del 1335 cominciò i lavori agli edifici in cui aveva abitato
Giovanni XXII e nel giugno del 1336 manifestò il suo proposito di costruire ad
Avignone "un palazzo speciale in cui il pontefice romano potrà abitare
quando e per quanto tempo riterrà necessario". Il suo predecessore si era
riservato la casa del vescovo; B. diede a quest'ultimo una nuova residenza e,
completamente libero, affidò al suo compatriota Pierre Poisson l'incarico di
sostituire il vecchio edificio con un castello più vasto e meglio difeso,
chiamato ora "Palazzo vecchio" per distinguerlo dal "Palazzo
nuovo", costruito sotto Clemente
VI.
La pianta fu tracciata intorno a un cortile,
circondato da una galleria; solamente l'ala orientale si prolungava verso sud
fino a una grande torre dove si trovava l'appartamento privato del pontefice.
All'esterno l'aspetto dell'edificio era quello di una fortezza, all'interno
quello di un monastero. La decorazione, riservata solo ad alcuni ambienti, fu
ridotta a tralci di vite o di quercia, con piccoli animali, su fondo
unito. Simone
Martini, giunto ad Avignone nel 1340 con numerosi artisti toscani, non
lavorò al palazzo del pontefice: era stato infatti invitato dai cardinali
italiani, meno attivi dei loro colleghi nelle faccende amministrative e più di
loro amanti dell'arte.
Le incertezze della politica italiana non furono i
soli motivi del prolungarsi del soggiorno di B. sulle rive del Rodano. La
situazione dell'Occidente richiedeva tutta l'attenzione del pontefice procurandogli
tuttavia preoccupazioni e dispiaceri. La sua elezione aveva indotto Ludovico il
Bavaro a tentare un riavvicinamento: giunsero ad Avignone ambasciatori
tedeschi, ma le rimostranze del re di Francia e del re di Napoli
impressionarono B. che pose condizioni inaccettabili. Nel 1338, alla presenza
dei principi
elettori, dei nobili e dei rappresentanti delle città, fu proclamata a
Rhens e a Francoforte l'indipendenza del potere imperiale dal papato. Marsilio
da Padova e Guglielmo da Occam fornirono le giustificazioni teoriche del nuovo
diritto; i dissidenti francescani, rifugiatisi a Monaco, denunciarono
l'indegnità del papa, facendo appello a un concilio generale, e l'alto clero,
colpito dall'interdetto che pesava sulla Chiesa tedesca, sostenne Ludovico.
L'ostilità del monarca francese accelerò il
riavvicinamento di Ludovico il Bavaro e di Edoardo III d'Inghilterra: nel 1337
fu conclusa un'alleanza segreta; nel 1338 l'imperatore concesse al suo alleato
le prerogative di vicario imperiale. Edoardo III poteva così intraprendere la
guerra contro la Francia con il pretesto della confisca del suo feudo di Guienna e
della rivendicazione della Corona di Francia assunta dai Valois.
B. aveva sentito approssimarsi la tempesta: aveva
cercato di placare Edoardo, favorendo la tregua tra Inglesi e Scozzesi, e
facendo poi ritardare l'occupazione della Guienna da parte di Filippo VI. Una
volta iniziate le ostilità, non cessò di mandare ambasciatori ai belligeranti,
per proporre tregue d'armi: nel 1338 e nel 1339 ottenne che fosse differita la
prima spedizione inglese, e preparò poi la tregua di Esplechin del 1340. Ma
frattanto Edoardo III era sbarcato; la flotta francese fu distrutta all'Ecluse
presso Bruges e
i Fiamminghi si schierarono con gli Inglesi.
Gli storici hanno spesso giudicato severamente
l'azione di B. che avrebbe paralizzato il re di Francia, suo alleato, senza
danneggiare seriamente i suoi nemici. In effetti, il papa non aveva i mezzi per
imporre la pace; intuiva, non senza ragione, la debolezza della casa di Valois;
si cullava in vane speranze, e fu crudelmente deluso. Il tragico sviluppo del
contrasto anglo-francese, che portò alla guerra dei Cento anni, impedì
l'organizzazione di quella crociata che Filippo VI aveva accettato di guidare e
dal cui impegno, nel 1336, B. aveva dovuto liberarlo. Questi insuccessi furono
solo in piccola parte ricompensati dalla riconciliazione della Castiglia, del
Portogallo e della Navarra, e
dal pagamento del censo feudale, dovuto alla Santa Sede, da parte dell'Aragona
per la Corsica e
la Sardegna.
Si è rimproverato a B. di essere stato uno sciocco, di
parlare volgarmente, di ubriacarsi: profilo tracciato da cronisti italiani,
come il Villani, e da Francescani ribelli. Egli ci appare semplice, senza
pretese, lavoratore, dedito alle abitudini della vita monastica. Compose un
ampio commentario del vangelo di s.
Matteo ed ebbe rispetto per la cultura: a lui si deve la fondazione delle
Università di Verona e di Grenoble. Il
suo buon senso gli dava una visione esatta delle cose, per cui riuscì, per
esempio, a districarsi dall'infelice discussione sulla visione beatifica tanto
che nessuno vi tornò più su. Trasformò la residenza di fortuna di cui Giovanni
XXII si era contentato in una sede più comoda, adatta a un'amministrazione
sempre più oculata, e capì che la centralizzazione era intollerabile se
investita dagli scandali. Ma gli mancarono l'ampiezza di vedute, lo stile del
capo, lo splendore, e, in realtà, la sua opera non modificò né lo Stato della
Chiesa né il corso della politica europea.
Per una bibliografia completa si rinvia a G.
Mollat, Les papes d'Avignon (1305-1378), Paris 196510, ad indicem.
Gli studi dedicati al periodo del papato avignonese
chiariscono l'originalità del pontificato di B.: E. Déprez, Les
préliminaires de la guerre des Cent Ans. La Papauté, la France et l'Angleterre
(1328-1342), ivi 1902, passim; L.H. Labande, Le palais des papes et les
monuments d'Avignon au XIVe siècle, Aix-Marseille 1925, passim; E.
Stengel, Avignon und Rhens, Weimar 1930,
passim; E. Dupré-Theseider, I papi di Avignone e la questione romana,
Firenze 1939, pp. 76-81 e passim; Y. Renonard, Les relations des papes
d'Avignon et des compagnies commerciales et bancaires de 1316 à 1378, Paris
1941, ad indicem; Y. Renouard, La Papauté à Avignon, ivi 1954; B.
Guillemain, La Cour pontificale d'Avignon (1309-1376). Étude d'une société, ivi
1962, ad indicem; F. Giunta, Benedetto XII e la crociata, "Anuario de
Estudios Medievales", 3, 1966, pp. 215-34; P. Amargier, Nullus in
jureperitus in utroque: Benoît XII-Urbain V. Aux origines de l'État moderne. Le
fonctionnement de la papauté d'Avignon, Roma 1990, pp. 33-9; B.
Guillemain, Les papes d'Avignon 1359-1376, Paris 1998.
Su B. in partic. v. ancora le seguenti opere: Benoît
XII. Lettres closes, patentes et curiales se rapportant à la France, a cura di
G. Daumet, Paris 1899-1920; Benoît XII. Lettres communes, a cura di J.M. Vidal,
ivi 1903-11; J.M. Vidal, Bullaire de l'Inquisition française au XIVe
siècle [...], ivi 1913, pp. 209-78; Benoît XII. Lettres closes, patentes et
curiales intéressant les pays autres que la France, a cura di J.M. Vidal-G.
Mollat, ivi 1913-52; Die Ausgaben der apostolischen Kammer unter Benedikt XII.,
Klemens VI. und Innocenz VI. (1335-1362), a cura di K.H. Schäfer, Paderborn 1914,
pp. 1-170; É. Baluze, Vitae paparum Avenionensium [...], a cura di G.
Mollat, I-IV, Paris 1914-28, ad indices; Die Einnahmen der Apostolischen Kammer
unter Benedikt XII., a cura di E. Göller, Paderborn 1920; Le registre
d'inquisition de Jacques
Fournier, a cura di J. Duvernoy, Toulouse 1965; B.
Schimmelpfenning, Zisterzensierideal und Kirchenreform-Benedikt XII. (1334-42)
als Reformpapst, Berlin 1976, pp. 11-43; L. Boehm, Papst Benedikt XII.
(1334-1342) als Förderer der Ordensstudien. Restaurator - Reformator - oder Deformator
regulärer Lebensform?, in Secundum regulam vivere. Festschrift für P. Norbert
Backmund O. Praem., a cura di G. Melville, Windberg 1978, pp. 281-310.
V. fra le biografie: L.
Jadin, Benoît XII, in D.H.G.E., VIII, coll. 116 ss.; Dictionnaire de
théologie catholique, II, Paris 1910, s.v., coll. 653-704; P.
Fournier, in Histoire littéraire de la France, XXXVII, Paris 1938, pp.
174-209; E. Sabbadini, Un pontefice avignonese riformatore della Chiesa:
Benedetto XII (Cistercense), "Rivista Cistercense", 2, 1985, pp.
19-30; Benedictus XII, "Medioevo Latino. Bollettino Bibliografico",
13, 1992, pp. 66-7.
Su aspetti particolari della vita di B., v.: J.M.
Vidal, Notice sur les oeuvres de Benoît XII, "Revue d'Histoire
Ecclésiastique", 6, 1905, pp. 556 ss., 785 ss.; K. Jacob, Studien
über Papst Benedikt XII., Berlin 1910; J.B. Mahn, Le pape Benoît XII et
les Cisterciens, Paris 1949; B. Guillemain, La politique bénéficiale du
pape Benoît XII, ivi 1952; C.
Schmitt, Un pape réformateur et un défenseur de l'unité de l'Église.
Benoît XII et l'ordre des frères Mineurs, Quaracchi 1959; E. Castelnuovo, Un
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ad indicem; F.J. Felten, Die Ordensreformen Benedikts XII. unter
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G.
Falco, Benedetto XII, in Enciclopedia Italiana, VI, Roma 1930, pp. 611
s.; New Catholic Encyclopaedia, II, Washington 1967,
s.v., pp. 275-76; Lexikon für Theologie und Kirche, II, Freiburg 1994³, s.v.,
coll. 207-08; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano
1996, s.v., pp. 162-63.
SOURCE : http://www.treccani.it/enciclopedia/benedetto-xii_%28Enciclopedia-dei-Papi%29/
Voir aussi : http://www.vatican.va/content/benedictus-xii/it.html