Bienheureux Matthieu Guimera
Évêque d'Agrigente (✝ 1451)
Compagnon de saint Bernardin de Sienne, franciscain, il fonde de nombreux monastères en Italie et en Espagne; évêque d'Agrigente, victime de médisance, il se retire au couvent de Palerme où il meurt le 7 janvier 1450.
Martyrologe romain
SOURCE : https://nominis.cef.fr/contenus/saint/11336/Bienheureux-Matthieu-Guimera.html
MATTEO GUIMERÀ DI
AGRIGENTO, vescovo francescano (1376 c.-1450), beato
07 GENNAIO
BEATO MATTEO
Frate Minore Vescovo di Agrigento
I
genitori del beato Matteo erano Oriundi dalla Spagna?
Il
Beato Matteo e l'osservanza in Sicilia
Il
Beato Matteo in Sicilia - La devozione al SS nome di Gesù
I
conventi fondati dal Beato Matteo
Convento
di S. Maria di Gesù di Messina
Convento
di S. Maria di Gesù di Palermo
Convento
di S. Nicola e S. Vito ad Agrigento
Convento
di S. Vito ad Agrigento
Convento
di S. Maria di Gesù di Cammarata
Convento
di S. Maria di Gesù di Siracusa
Convento
di S. Maria di Gesù di Caltagirone
L'apostolato
di Beato Matteo in Spagna
L'amicizia
dei sovrani del regno di Aragona verso Beato Matteo
A
Valenza predica la quaresima
La
costruzione del convento di S. Maria di Gesù a Barellona
Denunzia
al vescovo di Barcellona
La
quaresima e la fondazione del convento di S. Maria di Gesù a Valenza
Ritorno
del Beato Matteo in Spagna chiamato dalla regina
Ritorno
del Beato Matteo in Sicilia e in Italia
Matteo
commissario generale e visitatore apostolico
Fra
Matteo Vescovo di Agrigento
Programma
del vescovato di Matteo
Il P. Serafino Gozzo, nel suo volume “Studi e ricerche
sul Beato Matteo o. f. m.”, a pagina XXXI scrive: A conclusione di
questa premessa, sintesi dei lineamenti certi della figura storica del
Protagonista del libro, siamo coscienti di essere ben lontani dal presentare la
vita e tutta l’opera del B. Matteo nel profilo di una monografia
completa e perfetta sotto ogni aspetto. Non presumiamo infatti redigere la
biografia del Beato, mancando ancora molti elementi necessari allo scopo,
specialmente circa la prima parte della sua vita, ma ci limitiamo ad esporre il
materiale che ci è stato possibile raccogliere con studio e ricerche
che ci autorizzano a chiamare il risultato delle medesime col titolo
di “Studi e ricerche sul B. Matteo d’Agrigento e sulla Provincia serafica
del SS. Nome di Gesù in Sicilia…”. Se la conoscenza attuale delle fonti ma
consente di scrivere una biografia completa del beato Matteo d’Agrigento,
giustamente qualcuno potrebbe chiedersi perché si presenta questo volume con il
titolo “Beato Matteo - Frate Minore - Vescovo di Agrigento”.
Senza dubbio, per delineare la Sua figura non è indispensabile
fermarsi su tutti i dettagli della sua vita, ma è certo auspicabile che altri
ne continuino il lavoro di ricerca. L’obiettivo principale che oggi ci
proponiamo di raggiungere è di inserire il B. Matteo nel catalogo dei Santi,
insieme a S, Bernardino da Siena, suo maestro, S. Giovanni da Capestrano e S.
Giacomo delle Marche, suoi compagni, che sono venerati Santi dall’Ordine dei
Frati Minori e dal popolo cristiano. Per raggiungere questo scopo è necessario
diffondere la sua conoscenza tra i fedeli quale modello di vita santa, perché
si allarghi la schiera di coloro che ricorrano al suo patrocinio ottenendone
favori e grazie, e perché venga ripreso il processo della sua canonizzazione.
Gli studi e le ricerche del P. Serafico ci faranno da guida nella stesura di
questo lavoro. A volte ne riporteremo integralmente interi brani, ma ometteremo
le dotte disquisizioni e le dettagliate notizie storiche relative alla
Provincia dei Frati Minori di Sicilia, che interessano solo gli specialisti.
Però, non possiamo ignorare la determinante influenza personale del Beato
Matteo nella crescita e nel potenziamento del movimento della Osservanza in
Sicilia, che mette in evidenza l’ardore apostolico e il fervore di vita
francescana, di cui sono testimonianza viva i conventi da Lui fondati.
Fatta questa premessa, un accenno a brevi linee, al periodo storico che vide il Beato Matteo come protagonista della vita della Chiesa e dell’Ordine dei Frati Minori di Sicilia. La sua esistenza si svolse tra la fine del secolo XIV e la prima metà del XV. Non conosciamo con esattezza l’anno della nascita e quello della morte, ma gli studi più recenti lo stabiliscono, rispettivamente, nel 1377 e nel 1450. La Chiesa era travagliata dallo scisma d’Occidente, iniziato nel 1378 e terminato nel 1417 con il Concilio di Costanza, e l’elezione a Sommo Pontefice di Martino V. L’Ordine dei Frati Minori costituiva ancora una sola famiglia religiosa finché Leone X, nel 1517, non lo dividerà tra l’Ordine dei Frati Minori Conventuali e Frati Minori Osservanti. Anch’esso al suo interno, aveva subito le conseguenze dello scisma d’Occidente: come sulla cattedra di Pietro si susseguivano contemporaneamente diversi Sommi Pontefici così alla guida dell’Ordine Francescano erano preposti Ministri Generali dell’una o dell’altra parte. L’Ordine riacquistò l’unità di governo nel 1418, nel Capitolo Generale celebrato a Mantova, nel quale venne eletto Ministro Generale P. Antonio da Pereto. La scena politica della Sicilia era dominata dalla Spagna. Vivente il nostro Beato, regnava Alfonso V Re d’Aragona e di Sicilia, detto il Magnanimo, che gli divenne munificio benefattore e intimo amico. Un periodo storico, dunque, molto agitato, nel quale facilmente si veniva coinvolti in posizioni contrapposte. Fedele alla Chiesa e all’Ordine, Egli in ogni circostanza diede prova di una profonda formazione teologica, di una vita religiosa esemplare, di prudenza e coerenza: doti che nelle circostanze più difficili lo fecero arbitro di pace e strumento di equilibrio tra le parti. Dopo questi semplici e modesti accenni, presentiamo il volume che è diviso in tre parti: La prima, dopo i dati anagrafici essenziali e le questioni connesse, si sviluppa la trama della sua opera di riformatore nella famiglia dell’Osservanza. Anzitutto il fatto che segnò profondamente l’esistenza del nostro Beato fu l’incontro e l’amicizia con S. Bernardino da Siena, alla cui scuola imparò la devozione al SS. Nome di Gesù, che divulgò in Sicilia e in Spagna. Gli ultimi venti anni, Egli li dedicò alla espansione e all’organizzazione dell’Osservanza, della quale fu prima Vicario Provinciale e poi Commissario Generale. Per questo meritò la stima del re di Spagna ed ebbe la fiducia del papa Eugenio IV, che lo nominò Visitatore Apostolico di Monasteri e di Provincie religiose e gli affidò il compito di estirpare la piaga della simonia, allora diffusa in Sicilia. Segue la storia della sua elezione a Vescovo di Agrigento e della drammatica rinunzia appena tre anni dopo. Si chiude con gli ultimi avvenimenti della vita, con la descrizione delle sue virtù eroiche e i miracoli compiuti. Nella seconda parte sono riportati documenti, poesie e preghiere. La terza parte presenta le fonti e la bibliografia. Vogliamo augurarci che il presente lavoro venga ben accolto e trovi larga diffusione perché contribuisca ad accrescere la conoscenza e la devozione del Beato Matteo e ne prepari le tappe per la futura canonizzazione.
ANNO DI NASCITA. (tona
all'indice)
Cronologi contemporanei, come Pietro Ranzano e Mariano da Firenze, non fanno alcun cenno della data di nascita, altrettanto gli storici che sono seguiti. Un documento, che apre uno spiraglio, è il “Chartularium dello Studio del convento di S. Francesco di Bologna”, scoperto dal P. Celestino Piana o, f. m. e riportato in Analecta Franciscana t. XI, 1970, pag. 278. Esso dà una preziosa informazione: “L’anno 1394 il 30 luglio, tra i religiosi della chiesa di detto convento di S. Francesco in Bologna, si trovava anche fra Matteo de Zizilia”, senza precisare il motivo perché si trovasse nel convento di Bologna. Questa semplice notizia, che potrebbe apparire insignificante, invece dà la chiave per determinare la data di nascita del nostro beato. Nel 1394 Matteo de Zizilia era religioso francescano professo. Poiché per l’ammissione al noviziato, avvenuta nel convento di Agrigento, si richiedevano almeno 15 anni, si deve dedurre che a Bologna avesse non meno di 17 - 18 anni che, detratti dal 1394, portano l’anno di nascita tra il 1376 - 1377. Quasi a conferma di ciò, il P. Cesare Cenci o. f. m. nell’articolo “Storia della Provincia di S. Antonio” di Venezia, Archivium Franciscanum Historicum n. 55 del 1962 a pag. 170 riferendo sul Capitolo conventuale tenuto nel convento di S. Antonio a Padova il 6 febbraio 1405, scrive che fra Matteo si trovava in quel convento dove svolgeva l’ufficio di “Magister professionis”, cioè di direttore spirituale dei neo-professi, dunque era già sacerdote. Queste sue date, 1394 e 1405, ci consentono di determinare, anche se con approssimazione, l’anno di nascita, della professione religiosa e dell’ordinazione sacerdotale. All’obezione se si tratti di lui o di un altro fra Matteo, gli studiosi concordano con argomenti documentati, doversi trattare del B. Matteo d’Agrigento, anche per il fatto che in quel periodo non veniva indicato altro francescano di un certo rilievo con lo stesso nome “fra Matteo de Zezilia”. Anche se non sappiamo con certezza perché i superiori lo mandarono a Bologna nel 1394, i motivi di studio ne giustificano la presenza in quel celebre centro culturale, e l’essere stato mandato a Padova nel 1405 quale direttore spirituale dei giovani frati, testimonia la stima di cui godeva presso i superiori oltre che per la cultura anche per la bontà di vita.
COGNOME DEL BEATO. (tona
all'indice)
Non sapendo chi sono stati i genitori del nostro
Beato, logicamente ne ignoriamo il cognome. I cronologi P. Antonio Ranzano da
Palermo e fr. Mariano da Firenze, coevi del nostro Beato, si limitano a
chiamarlo “siculo di Agrigento” ma nulla dicono dei genitori. Il primo a dare
una certa indicazione, anche se generica, è il cronologo P. Antonio da
Randazzo. Nel manoscritto “Ex historicis relationibus” (Proc. F. 547), scrive
di avere appreso che “un vecchio secolare”, cento anni dopo la morte del Beato,
aveva detto a fra Bonaventura Sciascia, di Girgenti, dei Minori Osservanti, che
fr. Matteo si chiamava come suo nonno, cioè “Sciascia”. Data l’assenza di
notizie certe degli storici contemporanei, accurate ricerche sono state
compiute negli archivi. Nell’Archivio della Corona di Aragona - A. C. A.- e in
altri archivi di Spagna, si conservano numerose lettere, scritte dai reali di
Spagna al nostro Beato: in esse è sempre chiamato con l’appellativo della sua
città natale, cioè “Agrigentino” o “siculo” cioè di Sicilia.
Più precisi sono i documenti pontifici. Martino V,
con la Bolla del 23 aprile 1425, concede a fra Matteo di Sicilia “seu
de Gimara vel de Agrigento” di costruire tre conventi dell’Osservanza. Lo
stesso Sommo Pontefice nel 1428, in altro documento, lo chiama
semplicemente “Matteo d’Agrigento”. Il Papa Eugenio IV l’8 luglio 1435 dà “Al
diletto figlio Matteo di Sicilia” il compito di estirpare la simonia
dall’Isola; con Bolla del 17 settembre 1442, lo nomina Vescovo di Agrigento
chiamandolo “Matthaeus de Gimena”; così come ripete nella lettera del 23 luglio
1445 con la quale accetta la sua rinunzia al Vescovato e gli assegna una
pensione: “Matthaeus de Gimena, Ordinis Minorum”. Secondo il Waddingo, (Annales
Minorum t. XV, pag. 222, n. XXVIII) il Papa Alessandro VI in un diploma del
1499 dichiara: “I due conventi di S. Nicola di Agrigento, e di S. Anna nella
città di Giuliana, nella diocesi di Agrigento, molti anni fa erano stati
costruiti ad opera di fr. Matteo de Gallo Agrigentino, che noi dicemmo
cognominato diversamente”. Il primo storico che ci tramanda il cognome del
nostro Beato è Rocco Pirro il quale, in “Sicilia Sacra” Palermo 1638, lib. 3,
pag. 305, ed. 3°, 1733 t. I, pag. 714, afferma: “Il XXXIX Vescovo di Agrigento
è il Beato Matteo III de Gimmara”. Dopo R. Pirro, il P. Filippo Cagliola o.f.m.
Conv., in “Manifestaziones almae Siciliae Provinciae” Venezia 1644, modifica
“Gimmara” in “Matthaeo Giummarra de Agrigento”. Quattro anni dopo il P. Luca
Waddingo, in “Annales Minorum” 1468, t. V, n. X, pag. 187 introduce due forme
diverse, in un testo scrive: “fra Matteo Siculo, di gente spagnola, di famiglia
Cimarra nato ad Agrigento”; in un altro testo cioè nella Bolla di nomina a
Vescovo lo chiama semplicemente “cognomine Cimena” (Waddingo t. V. n. XV = ed.
nova t. X, n. 160 = XV pag. 193). Nel 1656 il P. Bonavwntura da faggiano,
scrive che ”Matteo, compagno di S. Bernardino, per nazione era
spagnuolo, per la famiglia Cimarra, ma nato in Sicilia ad Agrigento”. (in
Mirabila minorica Provinciae S. Nicolai etc., Bari 1656, parte 2, cap. 7, n.
13). Il Tognoletto, nel “Paradiso Serafico” Palermo 1667 (lib. I, pag. 28),
intitola il capitolo: “Vita del Beato Matteo Gallo da Giorgenti”, e riferendosi
ai genitori afferma “da parenti spagnoli della casata o prosapia detta Cimarra
o Cimena” e aggiunge altri tre cognomi, che dice di avere appreso in questa maniera:
- il primo dal laico fr.
Bonaventura di Girgenti, secondo fondatore e primo custode di questa Provincia
Riformata, il quale diceva che fr. Matteo era del suo stesso cognome:
“Sciascia”;
- il secondo dalla
tradizione dei vecchi riferita da P. Antonio da Randazzo, la quale affermava
fra Matteo si sarebbe chiamato Limbeni;
- il terzo Gallo appreso
dal Waddingo.
L’ultima novità viene proposta dal P. Vincente
Martines Colomer il quale, nell’Historia della Provincia franciscana de
Valencia a pag. 18, scrive che il cognome di questo santo religioso fra Matteo
è “Guimera”.
Cosi il nostro Beato viene chiamato con nove cognomi diversi: 1° de Gimena, 2° Gimarra, 4° Giummarra, 5° Cimena, 6° Guimera, 7° Sciascia, 8° Limbeni, 6° Gallo. Quali di questi è il vero? I primi sei, rivelano la stessa radice, anche se la loro grafia può essere stata alterata in successive trascrizioni. Gli altri tre, sono talmente diversi da non potersi trovare spiegazione, anche perché non si indica da quale fonte siano stati presi. Da notare che i documenti pontifici, molto precisi, ne indicano solo due: “de Gimena” e “Gallo”. Il P. Serafino Gozzo ritiene che “de Gimena” e tutti gli altri da esso derivati, non indichi un cognome ma un luogo. Si tratterebbe di una contrada secondaria nei pressi di Agrigento, in seguito assorbita dal capoluogo e della quale non esistono più neppure le vestigia. In essa sembra sia nato il nostro Beato. Come cognome non resta che “Gallo”, accettato da J. Rubiò e già preferito dal Waddingo e dal Tognoletto. Volendo evitare al lettore disquisizioni, che alla fine non risolvono il problema, rimandiamo a chi vuole saperne di più alla lettura del capitolo del libro “Studi e ricerche sul Beato Matteo O. F. M.” del P. Serafino Gozzo, pag. 11 e seguenti.
I
GENITORI DEL BEATO MATTEO ERANO ORIUNDI DALLA SPAGNA? (tona
all'indice)
Il primo storico, a scrivere che il B. Matteo sia di
origine spagnola, è stato nel 1648 il P. Luca Waddingo, il quale afferma che:
“B. Matthaeus est siculus, gente hispana, familia Cimarra, Agrigento natus…”
(Annales… t. 10, n. 118=XI, p. 138). Segue il P. Pietro Tognoletto da Palermo
che nel 1667, scrive: “Fu il Beato Matteo della magnifica città di Girgenti… da
parenti spagnoli della casata o prosapia Cimarra o Cinema (Paradiso Serafico…
parte I, lib. 1, pag. 18). Nel leggendario Francescano del P. Benedetto
Mazzara, 1676 parte Ia, al giorno 7 gennaio, è detto che il Beato, “sebbene
nacque nella città di Girgenti nell’isola di Sicilia, fu nondimeno il suo padre
spagnuolo della nobile famigliaCimarra o Cimena”. Anche Picone nelle sue
“Memorie storiche di Girgenti”, a pag.632 e n. 5, afferma che fr. Matteo
“girgentino…, cognominato da taluni Gimarra e da altri Limbeni, Gallo o
Sciascia, è oriundo di famiglia spagnuola”. Il documento “religiosos illustres”
dell’Archivio della Provincia serafica di Valenza, a pag. 35, tra due linee del
testo più antico, parla di fr. Matteo Gimarra, e presenta questa aggiunta: “B.
Matteo Guimerà o de Agrigento naciò en Sicilia, però de padres espafioles y
appelido Valenciano. Sospechamos lo hijo de una de las familias
valencianas que acompafiarono D. Alfonso V a Napoles. Esto nos esplicaria majos
et porquè de la venida j larga esyancia de Fr. Matteo a Valencia”. Questa
affermazione, però, non trova alcun riscontro in nessun documento spagnolo né
in quelli pontifici né tanto meno nei cronologi contemporanei del B. Matteo.
Dai documenti esistenti nell’Archivio della Corona di Aragona-Valencia risulta
che i Sovrani mai rivendicarono l’origine spagnola del Beato, né si può
sostenere la sua origine valenciana per il semplice fatto che quando Alfonso V
andò a Napoli Egli era già nato da 20 anni. Il P. Pietro Ranzano, coevo del B.
Matteo, espressamente lo dice “agrigentino” (Annales omnium temporum” Ms. del
sec. XV, voll. sette, in fol. Biblioteca Comunale di Palermo 3 Oq C 54-60;
Proc. f. 516, sum. n. 2, pag. 2).
Lo storico francescano Fra Mariano da Firenze, anche lui contemporaneo del B. Matteo, lo presenta come “de Girgento Insulae Siciliane” (Compendium Chronicarum Fratrum Minorum AFH, III, 1910, 70). Anche S. Giacomo delle Marche, che fu suo compagno di apostolato insieme a S. Bernardino da Siena, lo chiama “Macteo de Cicilia” (cfr. R. Lioi. Sermones Dominicales… vol. III, pag. 425). Le affermazioni del Waddingo, del Tognoletto e del Picone, riguardanti il B. Matteo come oriundo da genitori spagnoli, sono prive di documentazione e detti autori le riferiscono senza provarle. Tutti gli storici e i liturgisti posteriori riferiscono che il B. Matteo “siculus erat natione” cioè “era per nazionalità siculo”. Si può concludere che i critici, interessati a questo argomento, non hanno prestato fede all’affermazione che il B. Matteo fosse nato da genitori spagnoli, considerandola come priva di fondamento.
FRATE MINORE. (tona
all'indice)
Il Tognoletto, al cap. I del “Paradiso Serafico”
scrive: “ e benché non abbia potuto sin da ora avere la certezza dei suoi
genitori, dico però per la riuscita del loro figliolo che siano state persone
di buonissima condizione e timorati di Dio, poiché lo educarono con ottimi
costumi e lo esercitarono nelle virtù, mandandolo alla scuola di grammatica e
altre scienze, per cui giunto a conveniente età, fu dal Signore chiamato allo
stato di perfezione e vestì l’abito del Serafico Padre S. Francesco, nel convento
di Agrigento, sua città natale, detto di S. Francesco dei Conventuali; poiché
non vi era allora alcun convento appartenente all’”Osservanza”. Ivi finito il
noviziato, fece la professione. Dopo la quale conosciuta dai frati la sua
bontà, acutezza di ingegno e buoni costumi, lo mandarono in Spagna, dove in
quei tempi fioriva lo studio delle lettere presso i Padri Conventuali, affinché
vi studiasse. E infatti con tanto affetto e diligenza attese agli studi di
Filosofia e Teologia, che in breve fu annoverato tra i maestri.
Però non tralasciò di attendere all’acquisto della
vera e soda perfezione e alla pura osservanza della sua professata Regola.
Finalmente ordinato sacerdote, sentita la fama che correva per tutto il mondo
del glorioso Padre Bernardino da Siena, il quale andava predicando per l’Italia
con grande vantaggio delle anime, e la santità dei primi frati dell’Osservanza,
all’esempio di questi si commosse il buon maestro e santo fra Matteo da passare
in Italia e domandare di essere ricevuto fra essi, il che facilmente ottenne,
anzi il glorioso San Bernardino, conosciuta la sua dottrina e zelo delle anime,
lo prese per suo compagno e discepolo. Così avvenne il passaggio dei
Conventuali all’Osservanza del beato Matteo, la qual cosa a me sembra la più
conforme alla verità”. Però lo stesso Tognoletto alla fine del capitolo dà
un'altra versione, scrivendo: “che essendo stato mandato dai parenti a studiare
in Spagna, intesa ivi la santità dei frati Osservanti passò in Italia, dove
alla provincia di Siena, l’anno 1404, oggi detta provincia Toscana, fu vestito
dall’abito francescano dei frati Osservanti, e fatta la professione, dato che
già aveva studiato la Filosofia incominciò lo studio della teologia,
e in breve divenne bravo predicatore e si unì nell’apostolato con S.
Bernardino, separandosi solo da lui quando l’ubbidienza lo costringeva e
l’ufficio di predicatore lo richiedeva, Anche questa narrazione ha del
verosimile, ma a me sembra più vera la prima versione”. Questa duplice versione
del Tognoletto della vita religiosa del nostro Matteo ha bisogno di alcune
precisazioni. Non avendo notizie certe dei suoi genitori, non si riesce a
comprendere come si possa affermare ch’essi si siano interessati ad inviarlo in
Spagna per studiare, a meno che si voglia seguire la tesi della loro origine
spagnola: ma è stato dimostrato che Matteo era nato ad Agrigento e da genitori
agrigentini. Non si può ritenere vera l’affermazione che il Beato Matteo si sia
vestito nel 1404 dell’abito francescano dei frati Osservanti di Siena, perché
nel 1394 egli era a Bologna già religioso professo, come dimostrato dal
documento ritrovato da P. Celestino Piana. Quindi la seconda versione data dal
Tognoletto va scartata, del resto lo stesso autore la giudica “verisimile” e
accettata come vera la prima versione. Ma anche riguardo alla prima versione è
necessario fare qualche puntualizzazione.
Egli afferma: Fra Matteo entrò nel convento dei Frati Minori Conventuali di Agrigento, venne poi mandato in Spagna per completare gli studi e lì ordinato sacerdote. Raggiunto dalla fama della predicazione e della vita santa di S. Bernardino da Siena, ritornò in Italia, ne divenne discepolo, passò dai frati Conventuali ai frati dell’Osservanza. Effettivamente, ad Agrigento c’era un solo convento, quello di S. Francesco, costruito nel 1307 a seguito della donazione di una grande casa fatta da Manfredi di Chiaramente, abitato dai Frati Minori Conventuali, ma i Frati Minori Osservanti anche se non ad Agrigento erano presenti in molte località della Sicilia, nella quale il movimento dell’Osservanza era iniziato fin dal 1250, come del resto in tutta Italia. Fra Matteo prima del noviziato aveva superato i corsi di “grammatica e altre scienze”, dai Superiori, che ne apprezzavano le qualità morali e ne vedevano le capacità, venne inviato a completare gli studi in Spagna, dalla quale allora la Sicilia dipendeva. Non sappiamo a quale età era entrato nell’Ordine. Il Tognoletto dice: “per cui giunto a conveniente età, fu chiamato dal Signore allo stato di perfezione e vestì l’abito di S. Francesco nel convento di Agrigento”. L’età conveniente deve essere quella stabilita dalle leggi ecclesiastiche per l’ammissione al noviziato, dai 15 anni in su. Ch’Egli sia entrato effettivamente a 15 o 16 anni lo si deduce indirettamente, come abbiamo già visto, dal trovarsi a Bologna nel 1394, tra i frati professi. L’ordinazione sacerdotale deve averla ricevuta a 24 anni, nel 1400, in Spagna: lo si deduce da un documento dell’Archivio Municipale di Tarragona che afferma che Fra Matteo lo stesso anno 1400 vi tenne una predicazione di quattro giorni. Nel 1405 era a Padova, “Magister Professionis”, ufficio che si affida ai sacerdoti. Da queste tre date, si è cercato di risalire agli altri avvenimenti della sua vita. Ma da quanto abbiamo scritto finora, si comprende come questa prima parte della biografia del beato, nell’attesa di nuove scoperte di documenti, attraverso studi e ricerche, può determinarsi solo per approssimazione. Ma, un nuovo periodo si apre nella sua vita, ricco di fecondo apostolato e di frutti di santità. Dopo una lunga permanenza a Padova, ritorna in Spagna, dove rimane fino al 1417, anno in cui venuto a conoscenza dell’attività di S. Bernardino da Siena per riportare l’Ordine dei Frati Minori ad una più fedele osservanza della Regola, ritorna in Italia e passa dalla comunità dei Conventuali alla famiglia dell’Osservanza.
L’INCONTRO CON S. BERNARDINO: (tona
all'indice)
Il primo incontro con S. Bernardino avvenne verso la
fine del 1417 e l’inizio del 1418, non si conosce il luogo. In quell’occasione,
Matteo decise di passare all’Osservanza. La fama di santità, il programma di
vita francescana di S. Bernardino insieme al suo convinto impegno di riportare
l’Ordine allo spirito del Serafico Padre, valendosi della predicazione della
devozione al SS. Nome di Gesù,. dinanzi al quale ogni umana potenza crolla,
avevano affascinato Matteo. Negli anni seguenti dal 1418 al 1425 gli incontri
con S. Bernardino si moltiplicarono; si suppone che, almeno alcuni, siano
avvenuti a Roma. Il programma missionario di S. Bernardino si proponeva due
obiettivi: diffondere e rafforzare il movimento dell’Osservanza, predicare la
devozione al SS. Nome di Gesù per rinnovare le coscienze. Alcuni documenti
pontifici confermano che, in questo apostolato, egli ebbe come compagni due
anime grandi: S. Giovanni da Capestrano e il Beato Matteo da Agrigento. Per
tutti e tre, il problema essenziale non era tanto la questione della povertà,
ma la fedeltà alla Regola come l’aveva voluta e vissuta il Padre S. Francesco.
Di ostacoli e di contrasti n’ebbero molti, da parte di confratelli e di
avversari. Poiché per le esigenze dell’apostolato dovevano operare in luoghi e
diocesi diverse chiesero al Papa Martino V la speciale facoltà di poter
predicare e ascoltare dovunque le confessioni dei fedeli, senza dover ricorrere
ai singoli Vescovi. L’amicizia con il Conte di Urbino, Guido Antonio di
Montefeltro, nipote del papa, favorì la concessione delle facoltà, ottenuta con
breve del 18 maggio 1425. Un fatto increscioso sembrò fermare il fervore e la
fecondità dell’apostolato dei tre missionari: S. Bernardino, alla fine della
quaresima predicata a Viterbo nel 1426, venne accusato di eresia per il suo
modo di rappresentare il SS. Nome di Gesù. In sua difesa accorsero a Roma Fr. Giovanni
da Capestrano e Fr. Matteo d’Agrigento. Purtroppo, non ci sono pervenuti i
testi dei discorsi da essi pronunziati a favore del loro Maestro dinanzi al
Papa Martino V, ma conosciamo l’autodifesa pronunciata da S. Bernardino, contro
i 52 Domenicani e i 10 Eremitani di S. Agostino.
La conclusione del processo lasciò delusi gli
accusatori i quali, a parte l’evidente inconsistenza se non la falsità dei loro
argomenti, non furono neppure ascoltati tutti.
La sentenza del papa fu di assoluzione per S. Bernardino e di approvazione della devozione del SS. Nome e segnò l’inizio del trionfo del SS. Nome. Lo stesso Sommo Pontefice ordinò di celebrarlo a Roma con una sfarzosa processione guidata da S. Giovanni da Capestrano che portava lo stendardo, alla quale prese parte Lui stesso insieme alla corte pontificia. In seguito con la Bolla del 14 aprile 1447 “Universalis Ecclesia Regimini” di Nicolò V°, fu istituita la festa del SS. Nome da celebrarsi la seconda domenica dopo l’Epifania. Nel 1530 da Clemente VII, dietro istanza dell’Imperatore Carlo V°, questa festa fu estesa alla Chiesa Universale.
IL
BEATO MATTEO E L’OSSERVANZA IN SICILIA (tona
all'indice)
L’”Osservanza” era un movimento nato in seno
all’Ordine dei Frati Minori, che si proponeva di seguire fedelmente la
Regola senza dispense e secondo lo spirito del Serafico Patriarca S.
Francesco. In Italia l’Osservanza sorge in Umbria nel 1334, ma il vero sviluppo
si ebbe ad opera del nobile laico Paolo Trinci e del Papa Clemente VI, nel 1350
che mise il movimento sotto la sua diretta protezione. In Sicilia, nel 1360, il
P. Michele da Piazza Armerina, costruì nella sua città il primo “tugurio”
(=casa), così venivano chiamati i primi conventi dei frati osservanti, ad un
Kilometro dal paese.
Detto Padre era un bravo filosofo e teologo, carissimo
al Re Federico III, per ordine del quale aveva scritto le gesta dei Re di
Sicilia, dalla morte di Federico II, sino al 1362. (Amico, Dizionario
Topografico della Sicilia, alla voce Piazza).
Dopo furono costruiti altri quattro “tuguri
dell’Osservanza” uno a Ferla fondato da P. Antonio Milone, l’altro a Modica dal
B. Giovanni Schifitto, un terzo a Catania e un quarto a Nicosia. Da notare che
questi “tuguri”, erano dedicati a “S. Maria di Gesù”. Da queste notizie risulta
che l’Osservanza esisteva prima che il B. Matteo iniziasse la sua opera di
diffusione in Sicilia, e che non è stato il nostro Beato il primo a dedicare a
S. Maria di Gesù i vari conventi, ma che già, come si è detto sopra, i primi
Frati Osservanti avevano usato questo titolo per i loro “tuguri”. Quando il B.
Matteo passò dai frati Conventuali all’Osservanza era nel pieno vigore delle
sue energie, temprato nella pratica delle virtù, ricco di un patrimonio
culturale e religioso, soprattutto di una grande esperienza umana e religiosa,
per cui al seguito di Bernardino da Siena non gli fu difficile progredire.
La più antica testimonianza storica che ci porta a
tale conclusione è la lettera spedita da Castroreale di Napoli del 16 novembre
1421, con la quale il Re Alfonso V, premurosamente interessandosi degli
Osservanti di Sicilia, comanda: “volumus et jubemus ai Diletti Consiglieri e
Viceré del Regno di Sicilia di opporsi e impedire in qualunque modo chiunque
volesse ostacolare i frati dell’Ordine del beato Francesco che, mossi da zelo
di devozione ed eccitati da spirito angelico, con tutto il loro animo e la loro
mente hanno deciso, per la salvezza delle loro anime, di osservare la prima
regola del medesimo S. Francesco, e, per meglio mettere in pratica le predette
cose, vogliono e intendono scegliere un luogo abile e idoneo al loro scopo nel
Regno di Sicilia e costruire un monastero, o monasteri, e altre case per osservare
la detta regola secondo la disposizione apostolica loro concessa”.
Questo documento ci conferma che il nostro fra Matteo
sin dal 1418 viveva unicamente per l’ideale dell’Osservanza, che vuole
propagare e fare amare da tutti. Difatti è chiaro che anche il Re, dietro
suggerimento del B. Matteo, comanda e vuole di:
1) non permettere a nessuno di
ostacolare il programma di vita degli Osservanti, che erano spesso combattuti
dai Conventuali:
2) proteggere e sostenere i medesimi
frati con aiuto, consiglio e favori;
3) costruire in Sicilia per tali
frati uno o più conventi.
I suddetti elementi, insieme alla data della lettera,
16 novembre 1421, costituiscono l’irrefragabile argomento probante, con tutta
certezza, che il movimento degli Osservanti era presente in Sicilia, in numero
considerevole, da molto tempo prima del 1421. Senza alcun dubbio si può anche
affermare che l’animatore di quel numero considerevole di Osservanti in Sicilia
dopo il 1421 sia stato il nostro Beato e che il Re Alfonso V, grande amico di
fra Matteo, scrisse quella lettera. Questa convinzione è fondata dal fatto che
l’amichevole familiarità accordata da Alfonso V e dalla Regina Maria a fra
Matteo abbia la sua radice nel secondo periodo della dimora spagnola del nostro
Beato, periodo concluso dopo il 27 novembre del 1417, col suo ritorno in
patria, per incontrare S. Bernardino. Dalla lettera del Re Alfonso si deduce
anche che gli Osservanti in Sicilia dovevano soffrire una dura lotta venendo
ostacolati dai frati Conventuali, sino al punto di non poter fondare conventi
per osservare il loro sublime ideale. L’intervento del Re, sicuramente per
merito di fra Matteo, permise di fare cessare gli ostacoli contro i frati
Osservanti e potere costruire conventi.
È in questo periodo, 1418-21, che fra Matteo intraprende la campagna contro il lassismo, diventa il più fervente propagatore dell’Osservanza in Sicilia e dà inizio alla Provincia Sicula dei Frati Minori Osservanti. Una Vicaria autonoma, con il proprio Vicario Provinciale, viene intuita, difatti, tra gli anni 1415-21.
IL
BEATO MATTEO IN SICILIA – LA DEVOZIONE AL SS. NOME DI GESÙ: (tona
all'indice)
Tornato in Italia dalla Spagna, fra Matteo segue S.
Bernardino e si fa apostolo della devozione al SS. Nome di Gesù che diffonde
secondo le indicazioni del Senese e il metodo della predicazione popolare. Il
Tognoletto, ripetute volte, afferma che S. Bernardino è il maestro e compagno
di fra Matteo, con preciso riferimento alla devozione del SS. Nome di Gesù,
definendolo “una grande tromba del sacratissimo Nome di Gesù”. L’efficacia
della sua predicazione è frutto delle sue virtù eroicamente praticate, della
santità della sua vita e della sua vasta e profonda scienza sacra. Per queste
molteplici doti naturali e soprannaturali, negli elenchi dei predicatori,
compagni del Senese, egli è collocato sempre, se non al primo posto, tra i
primi dopo il Maestro. Il popolo in Italia, in Sicilia, nella Spagna, accorreva
ad ascoltarlo, attratto dalla sua fama di apostolo, di uomo santo, non meno che
dalla soavità e facondia della sua oratoria con la quale riusciva ad incantare
le folle che si sentivano fortunate di poterlo ascoltare e saziarsi della
parola di vita, profusa generosamente dal suo cuore apostolico. Commuoveva
anche i cuori più duri, inducendoli al pentimento, alla conversione e all’amore
di Dio e del prossimo. Nella predicazione il B. Matteo, con insistenza e grande
entusiasmo, si batteva per fare conoscere la virtù del SS. Nome di Gesù e la
forma della vita evangelica. Diveniva spesso oggetto d’invidia e di
persecuzione da parte di quanti che, rilassati nei costumi, volevano ad ogni
costo fermare un simile apostolato. Matteo, divulgava il monogramma “I H S”,
ornato di raggi, lo mostrava al popolo, dopo la predicazione, lo faceva
disegnare sui vestiti e scolpire sulle mura delle case. La diffusione del
monogramma, gli procurò sofferenza, calunnie e accuse in Italia, in Sicilia,
nella Spagna, la maggior parte delle quali erano identiche a quelle ch’erano
state rivolte contro S. Bernardino. Si riferivano, in particolare, ai fatti
specifici, relativi alla devozione del SS. Nome. Tra le varie accuse vi erano
le seguenti: che avesse obbligato gli “Jesuari”, così erano chiamati coloro che
diffondevano il monogramma del SS. Nome, di farlo dipingere sui vestiti o
scolpirlo sulle case, pena la derisione e anche la persecuzione se non
l’avessero fatto; che avesse fatto mettere tra le braccia della Madonna al
posto di Gesù Bambino un cerchio circondato da raggi, nel quale era scritto il
SS. Nome; ch’egli, fra Matteo, sarebbe il primo dei quattro “evangelisti”
scelti da S. Bernardino dal numero di 14 discepoli; di avere sobillato il
popolo di Napoli contro il Vescovo, che aveva proibito la processione, già
programmata; e, infine, l’accusa più pesante, avrebbe minacciato di morte chi
non avesse fatta pubblica professione di fede nel Nome di Gesù o si fosse
rifiutato di dire “Vivat bonus Jesus”.
Le accuse apparvero infondate e subito smentite. È assurdo pensare che il Beato, che sempre univa il Nome di Maria a quello di Gesù, e ne sono prova i conventi da lui fondati e denominati “Santa Maria di Gesù”, avesse voluto sostituire Gesù Bambino nella immagine della Madonna con un simbolo, quasi fosse seguace della dottrina eretica dei Manichei, che negavano la realtà fisica del Corpo di Gesù. Che S. Bernardino avesse nominato fra Matteo uno dei quattro “evangelisti” è destituito d’ogni fondamento, del resto non se ne trova traccia in alcun documento. Per la sobillazione contro il Vescovo di Napoli, non vi erano prove che il fatto fosse avvenuto e che fra Matteo fosse stato per questo motivo punito. Riguardo all’ultima accusa si può solo dire: poteva darsi il caso di qualche fanatico estremista il quale pretendesse dai non “Jesuari” che gridassero “Viva il Buon Gesù”, minacciandoli di persecuzione o addirittura di morte. Ma ciò sicuramente all’insaputa del nostro Beato. La realtà è nel fatto che avendo la fama della santità di fra Matteo conquistato il popolo e la devozione al SS. Nome di Gesù prodotto grandi frutti, gli avversari cercavano di demolire il bene fatto ripetendo le stesse infami accuse, che erano state rivolte a San Bernardino, e delle quali era stato riconosciuto innocente dal Papa.
I
CONVENTI FONDATI DAL BEATO MATTEO (tona
all'indice)
L’Ordine dei frati Minori in Sicilia nel secolo XIV
come si è detto, era diviso in Comunità dei Conventuali e in Famiglie degli
Osservanti, sotto l’unica giurisdizione dello stesso Ministro Provinciale. Quando
gli Osservanti crebbero di numero ed ebbero diversi conventi, furono costituiti
in Vicaria, la quale, pur facendo parte della stessa Provincia e alle
dipendenze dell’unico Ministro Provinciale, aveva tuttavia, un Vicario
Provinciale dal quale dipendeva e al quale gli Osservanti dovevano ubbidire. Il
primo Vicario Provinciale fu fra Giovanni da Messina, ma non si sa quando sia
stato nominato e per quanto tempo sia rimasto in carica. Si può affermare con
certezza che molto prima della venuta del B. Matteo, in Sicilia esisteva la
famiglia degli Osservanti, in continua crescita e con il proprio Vicario
Provinciale. È in questa fase che s’inserisce il B. Matteo, il cui intervento
fu provvidenziale sia per affrontare e risolvere la crisi dei conventi, pochi e
non rispondenti alla grande affluenza di vocazioni, sia per sostenere la
famiglia degli Osservanti, alla quale la Comunità dei Conventuali
rendevano la vita particolarmente difficile. Con l’eroica pazienza e con la
fermezza che lo distinguevano, valendosi anche, insieme alle doti naturali e religiose,
dell’amicizia con il Re Alfonso V di Spagna, trovò facilmente la via per
edificare nuovi conventi, per rafforzare la promettente Vicaria, per
organizzare la formazione delle numerose vocazioni, per rendere gli Osservanti
sempre più liberi e più autonomi dalle esigenze dei Conventuali. Gli anni tra
il 1421 e il 1442 segnano una vera rifioritura per l’Osservanza in Sicilia. Il
Beato Matteo, ch’era successo a fra Giovanni da Messina quale Vicario
provinciale dell’Osservanza, se prima come semplice religioso ne aveva
sostenuto e propagandato il movimento, ora nella qualità di Vicario poté
interessarsene più fattivamente ed efficacemente. Il problema più serio si
rivelò quello della mancanza di conventi. Grazie alla benevolenza del Papa
Martino V, all’intervento del Re Alfonso e della Regina Maria e all’aiuto di
tanti benefattori, nel giro di un decennio riuscì a dare sviluppo e a
consolidare la Vicaria.
Determinante in tal senso fu, soprattutto,
l’intervento del Papa Martino V. II 23 aprile 1425 con bolla pontificia,
autorizzava fra Matteo ad accettare tre luoghi, ad uso dei Frati Minori
Osservanti.
In essa il Papa, oltre alla fondazione dei tre
conventi e alla estensione dei privilegi ai conventi degli Osservanti già
esistenti, concede per tutti l’esenzione dai Vescovi.
Con una seconda lettera del 7 maggio 1425, appena
quindici giorni dopo la precedente concessione, accoglieva la supplica
presentatagli da fra Matteo, il quale aveva chiesto:
- di predicare
ovunque la Parola di Dio, nonostante le disposizioni in contrario;
- per se e per i
confratelli, di ascoltare le confessioni e di assolvere i fedeli anche dai
peccati riservati ai Vescovi, senza licenza dei medesimi;
- di fondare tre
conventi, in qualsiasi parte del mondo.
Egli dà subito attuazione al decreto Pontificio con la
fondazione dei conventi di Messina, Palermo e Agrigento.
Successivamente, nel 1427, per interessamento del Re
di Spagna, dal Cardinale Pietro de Fusco o de Foix, ottenne licenza di
costruire altri cinque conventi.
I conventi in ordine di tempo, fondati dal B. Matteo
sono:
1. Convento S. Maria di Gesù, a
Messina nel 1425;
2. Convento S. Maria di Gesù, a
Palermo nel 1426;
3. Convento S. Nicola ad Agrigento
nel 1426;
4. Convento S. Maria di Gesù, a
Cammarata nel 1428;
5. Convento S. Maria di Gesù, a
Siracusa nel 1429-31;
6. Convento S. Vito ad Agrigento nel
1432;
7. Convento S. Maria di Gesù, a
Caltagirone nel 1432;
Oltre a questi conventi fondati ex novo, furono
ristrutturati dal B. Matteo vecchi conventi costruiti dai primi frati che
aderirono al movimento dell’Osservanza. Quanti e quali siano tali conventi
ristrutturati non si hanno notizie.
Solo da un documento del 18 ottobre 1432, si viene a
conoscenza che il Re Alfonso V° ordina agli amministratori della “Terra di
Sciacca” di non ostacolare fra Matteo nell’opera di ristrutturazione del
convento di Sciacca, fondato nel 1224, vivente ancora S. Francesco.
Alcuni storici deducono che la Provincia dei
Frati Minori di Sicilia abbia assunto il titolo del SS Nome di Gesù,
fondamentalmente per la devozione del B. Matteo al SS. Nome e alla Madonna, ma
non vi è alcun documento che lo confermi. Probabilmente fu determinante la
predicazione della devozione del SS. Nome da parte di S. Bernardino e, ancora
di più, in Sicilia, dal B. Matteo.
Dei sette conventi, sicuramente fondati dal Beato Matteo, si fa una breve descrizione, soffermandoci solo sull’occasione, sui motivi e sui mezzi con cui sono stati fondati.
CONVENTO
DI S. MARIA DI GESÙ DI MESSINA (tona
all'indice)
L’occasione, CHE MOSSE I Messinesi alla donazione di
un convento al B. Matteo, fu la gratitudine per la predicazione della quaresima
tenuta nella loro città, durante l’anno 1424, con grande bene delle anime.
A Messina fin dal 1418 esisteva un convento dei Frati
Minori, la cui fondazione alcuni storici avevano attribuito al B. Matteo, ma un
confronto con le date della sua vita, fa ritenere ciò impossibile in quanto in
quell’anno egli non era in Sicilia.
I Messinesi, invece, avevano offerto nel 1418 ai Frati
Minori un vecchio monastero costruito dai Carmelitani e da costoro
successivamente dato alle Monache Cistercensi, le quali, a loro volta, lo
cedettero ai Frati Minori. Si trovava nel canale S. Michele, a un silometro
dalla città, dedicato alla Madonna del Monte Carmelo; dai Frati Minori fu
chiamato “S. Maria di Gesù”.
I Messinesi, poiché desideravano che i frati fossero
più vicini all’abitato, donarono al B. Matteo un luogo più vicino alla città e,
a spese dei fedeli, fu costruito un nuovo convento, dedicato a S. Maria di Gesù
detto inferiore, per distinguerlo dall’altro fuori la città in alto, chiamato
S. Maria di Gesù superiore.
Il convento, dopo la morte del Beato, fu ingrandito e
poteva ospitare sino a 50 frati.
La chiesa fu rifatta a tre navate con 20 altari e
lunga circa 50 metri. Entrambi, dal terremoto del 28 dicembre 1908, furono
distrutti e non furono più ricostruiti.
L’attuale convento e la chiesa, col titolo di S. Maria di Gesù, furono costruiti nel 1929, in un posto diverso da quello dove erano i precedenti.
CONVENTO
DI S. MARIA DI GESÙ DI PALERMO (tona
all'indice)
I palermitani nel 1426 avevano invitato il B. Matteo a
predicare la quaresima nella loro città.
I fedeli, rimasti edificati e ammirati per la santità
di vita di fra Matteo e infervorati dalla sua predicazione, gli espressero il
desiderio di volere fondare a loro spese un convento per i Frati Minori
Osservanti.
Il Beato accettò l’offerta, ma non voleva che fosse
edificato dentro la città, ma fuori le mura “per la quiete dei frati e la
comodità di attendere alla santa orazione e contemplazione”.
Dopo una notte di preghiera, fra Matteo propose ai
palermitani di scegliere il luogo “là dove andasse il suo asinello a riposare”.
Il Gonzaga e altri storici, riferiscono che nel giorno
stabilito, “l’asinello, seguito da molti palermitani e da fra Matteo, tirò
diritto fuori della città per fermarsi al “secondo lapide”, cioè a circa due
chilometri dalla città, alle falde del monte Grifone”. Ivi, nel terreno di
proprietà “del buon uomo chiamato Antonio e di sua moglie Betta di cognome
Mirabili”, con atto redatto il 2 aprile 1426 presso il Notaio Antonio Candela,
si stabilì la fondazione del nuovo convento.
I lavori per la costruzione, tutti a spese pubbliche
per disposizione del Senato, iniziarono immediatamente, ma furono completati in
varie riprese: una prima parte, completata verso l’anno 1427, è costituita dal
pian terreno, con i quattro lati del chiostro, con le colonne tozze, ma
suggestive per la loro veneranda età; la seconda parte riguarda il secondo
piano costruito nel 1587 da S. Benedetto da S. Fratello.
La chiesa, costruita piccola di dimensione, ebbe un
notevole ingrandimento, con l’aggiunta della cappella funeraria di Gaspare
Bonetti, che aveva un muro in comune con la chiesa.
Altri lavori nei secoli successivi hanno prodotto diverse modifiche, qui non riportate in quanto non furono eseguite durante la vita del nostro Beato.
CONVENTO
DI S. NICOLA E S. VITO AD AGRIGENTO (tona
all'indice)
Agrigento, città natale del B. Matteo, ha avuto il privilegio di avere due conventi fondati dal nostro Beato. Quello di S. Nicola fuori la città, fondato nel 1426, e l’altro quello di S. Vito poco distante dall’abitato, fondato nel 1432.
CONVENTO DI S.
NICOLA (tona
all'indice)
Gli agrigentini, appresa la grande fama del loro
concittadino, mossi da viva emulazione per quanto era avvenuto a Messina e a
Palermo, decisero di edificare a proprie spese un convento a fra Matteo, per i
frati dell’Osservanza.
In effetti, più che di una fondazione, si trattò della donazione delle rovine di un monastero, dedicato a S. Nicola, costruito nel sec. XII dai Cistercensi, poi da costoro abbandonato. Il nostro Beato, con l’offerta dei generosi agrigentini e di 400 fiorini d’oro ricevuti dal Re Alfonso V di Spagna, portò a buon punto i lavori di ricostruzione. Il Tognoletto nel Paradiso Serafico, lib. I, c. VIII, pag. 41, scrive che il Beato completò il restauro fino “alla volta della Lamia, o dammuso come volgarmente si dice, e vi fece scrivere ovvero intagliare in una pietra queste parole: che appresso di Lui sarebbe venuto altro frate dell’istessa città di Giorgenti a finirlo”. Anche Rocco Pirro, in Sicilia Sacra, t. I, pag. 713, scrive che fra Matteo “iniziò il terzo convento ad Agrigento dedicato a S. Nicola, nell’anno 1426, sostenendo le spese il Re, che era assai legato a fra Matteo e lo completò nel 1430”. La volta della chiesa fu costruita tra gli anni 1569 e 1570 da fra Bonaventura Sciascia da Agrigento, dando così compimento alla profezia del Beato, il quale aveva fatto scrivere in una pietra che il restauro sarebbe stato completato da un altro frate di Agrigento. Purtroppo di tutta questa costruzione oggi si vedono solo dei ruderi.
CONVENTO
DI S. VITO IN AGRIGENTO (tona
all'indice)
Non dopo molti anni dalla costruzione di S. Nicola, gli agrigentini, lamentandosi di non potervi facilmente accedere per la lontananza dalla città, proposero al B. Matteo la costruzione, a spese del comune, di un nuovo convento, presso le mura , dedicandolo a S. Vito. L’inizio dei lavori cominciarono al ritorno del B. Matteo dalla Spagna nel 1432 e fu completato in breve tempo. Nel 1866, per le famose leggi di soppressione degli istituti religiosi, entrambi i conventi di Agrigento furono incamerati dal Demanio dello Stato.
CONVENTO
DI SANTA MARIA DI GESÙ DI CAMMARATA (tona
all'indice)
Ritornato dalla Spagna in Sicilia, nella seconda metà del 1428, il B. Matteo fu pregato incessantemente dal Conte di Cammarata di accettare un convento in quel villaggio, alle falde dell’alto monte, da cui prende il nome. Il conte Abbatelli, allora Signore del feudo, era stato indotto a questa offerta dalla fama di santità che godeva fra Matteo. Egli lo costruì, in contrada S. Lucia, su di un alto colle, ricco di acque correnti e di boschi, in luogo ameno e panoramico, dedicandolo a S. Maria di Gesù. Il conte, finché visse, provvide di tutto il necessario ai 10 frati che l’abitavano, ponendoli sotto la sua personale protezione e arricchendoli di favori e benefici. Gli storici convengono nell’affermare che questo è il quarto convento accettato da fra Matteo. Ciò è confermato dall’atto notorio conservato nell’Archivio conventuale. Nel 1700 fu distrutto dalle continue frane. Nel 1710 il P. Biagio da Cammarata, Ministro Provinciale, lo ricostruì con una nuova chiesa e in un luogo più vicino alla città. Incamerato nel 1866 dal Demanio dello Stato, nel 1870 fu riscattato dai frati Minori fr. Francesco e fra Pasquale Mangiapane. Fin dalla fondazione venne abitato da religiosi illustri per cultura, santità di vita, le cui ossa riposano nella chiesa.
CONVENTO
DI SANTA MARIA DI GESÙ DI SIRACUSA (tona
all'indice)
Il B. Matteo fu a Siracusa tra il settembre e l’aprile
del 1428. La sua presenza, preceduta dalla fama di profeta e di taumaturgo,
come avveniva dovunque egli andasse, non sfuggì alle autorità cittadine, le
quali, subito e volentieri, iniziarono con lui le trattative per la costruzione
di un nuovo convento, in un luogo salubre, in quanto i Frati Minori ne avevano
già uno, ma si trovava in un luogo poco salutare. Data la notorietà della
persona e forse anche per gli amichevoli rapporti con i sovrani d’Aragona, le
autorità siracusane dimostrarono di essere ben disposte a concludere
favorevolmente e subito le trattative ma non mancarono difficoltà. Tre lettere
inviate dalla regina Maria d’Aragona, una a fra Matteo e due a gentiluomini di
Siracusa, confermano questi avvenimenti. Fra Matteo non ha conservato la
lettera, come del resto faceva sempre, ma se ne conosce il contenuto dalle
altre due e confermato dall’invio da parte della Regina di altre tre lettere
inviate nei giorni 6, 8, 15 gennaio 1432: la prima alle autorità cittadine, la
seconda a chi aveva insinuato del male contro fra Matteo, la terza
all’ambasciatore di Spagna a Siracusa, rimproverandolo per le calunnie lanciate
contro fra Matteo. In tutte e tre queste lettere si parla di un convento
costruito ex novo e di recente. Di esso si indica l’ubicazione solo
genericamente, ma con tali avverbi locali e temporali, che servono da buoni
indizi per individuarlo, senza pericolo di confusione. Grazie quindi a queste
indicazioni, usate dalla Regina nel gennaio del 1432, siamo certi che in quello
stesso anno erano già iniziati i lavori e che l’intervento della Regina aveva
avuto lo scopo d’indurre le autorità cittadine a portare a compimento l’opera
sospesa a causa di calunnie e malintesi malignamente interpretati.
Quale sia stata l’entità della fabbrica alla fine del 1431, cioè prima che intervenisse la Regina, non si può stabilire. Vi sono documenti i quali confermano che dal 23 ottobre era già abitato dagli Osservanti. Infatti i frati precedentemente, cioè il 13 luglio 1443, avevano pregato la Sovrana di provvederli di un Messale, di panno per abiti e di acqua dell’acquedotto di Galermi. L’intervento opportuno ed efficace della Regina mise a posto le cose. Fu il secondo costruito a Siracusa, come detto sopra, in quanto ve ne era uno in un luogo insalubre e non lontano dalla città, chiamato di SW. Croce, dal quale i frati si trasferirono nel nuovo. Questo convento nuovo chiamato S. Maria di Gesù non doveva essere grande, ma piuttosto di limitate proporzioni, come uno dei soliti primitivi eremi tanto cari al B. Matteo. Esso oggi non esiste più, in quanto il terremoto del 9 gennaio 1693, che sconvolse tutta la Sicilia, lo ridusse in un mucchio di macerie. Dieci anni dopo, ne fu costruito un altro più grande e più bello, che fu incamerato dal Demanio con la soppressione del 1866, dopo fu ceduto al Vescovo che, per la maggior parte, lo diede alle Suore del Sacro Cuore. Il rimanente, dopo la seconda guerra mondiale, fu dato prima ai Maristi e poi ai Padri del Terz’Ordine Regolare.
CONVENTO
SANTA MARIA DI GESÙ DI CALTAGIRONE (tona
all'indice)
Il convento di S. Maria di Gesù a Caltagirone e quello
di S. Maria di Gesù a Palermo, sono gli unici fondati dal nostro Beato e sino
ad oggi abitati dai frati. Gli altri o sono andati distrutti o sono stati
incamerati dal Demanio.
Questo di Caltagirone fu edificato nel 1432, dopo
quello di Cammarata, e per la sua costruzione occorsero due anni.
Si trova in un luogo aperto e panoramico, distante
dalla città due silometri, è costituito da un grandioso e imponente edificio,
comprendente tre grandi chiostri.
La bella chiesa, dedicata a S. Maria di Gesù, è
chiamata anche dei “Nobili”, perché fu costruita a spese delle generose
famiglie nobili della città, le quali la dotarono di un pregiato soffitto
ligneo a cassettoni e l’arricchirono di interessanti opere d’arte, come la
statua della Madonna della Catena, di Antonio Gagini, quella di S. Antonio di
Giovanni Portatone e di un ciborio ligneo intarsiato.
Essendo costruito su basi solide, resistette ai
terribili terremoti del 1542 e del 1693, i quali devastarono la città, e anche
la chiesa rimase integra.
Quello che non fecero i terremoti lo fecero gli uomini
con la legge di soppressione del 1866. Fu interamente incamerato dal Demanio e
trasformato in ricovero per invalidi.
Solo nel 1939 si riuscì ad ottenere la restituzione di una parte con uno dei tre chiostri insieme alla chiesa.
L’APOSTOLATO
DEL B. MATTEO IN SPAGNA (tona
all'indice)
Dai documenti ritrovati si desume che il nostro Beato
si sia recato in Spagna almeno quattro volte, precisamente due volte prima del
suo passaggio dai Conventuali all’Osservanza, e due volte dopo.
Cronologicamente i primi due viaggi furono compiuti
tra gli anni 1394-1417, gli altri due, uno tra il febbraio del 1427 e il giugno
1428, l’altro tra il gennaio e il giugno del 1430.
Il primo avvenne per motivi di studio, dietro ordine
dei superiori. Nella permanenza in Spagna dal 1394 al 1404 completò la sua
formazione religiosa-culturale, e venne ordinato sacerdote. Secondo il
Tognoletto e il Cagliola fra Matteo conseguì in Spagna anche il titolo di
“Sacre Theologiae Magister”, ma ciò nessun documento lo comprova. La tradizione
tramanda solo che sia stato un “Dottore e Predicatore dottissimo”.
Non si conoscono i motivi del secondo viaggio, sembra sia avvenuto qualche tempo dopo il 16 febbraio del 1405, in quanto fino a questa data egli si trovava a Padova dove esercitava l’ufficio di “Magister perfectionis”. Dalla Spagna ritornò nel 1417 per incontrare S. Bernardino da Siene. Questa data trova conferma in una lettera del Re Alfonso V, del 28 novembre 1417, nella quale si legge che il Re oltre a disporre che gli vengano pagate le spese di viaggio, gli assegnava un vitalizio di 12 once a carico dell’erario siciliano. Il terzo, nel 1427, quando invitato dai Sovrani di Spagna predicò a Valenza, a Barcellona a Vich e in altre città. Il B. Matteo si recò una quarta volta in Spagna, per una missione particolare e altre predicazioni.
L’AMICIZIA
DEI SOVRANI DEL REGNO DI ARAGONA VERSO IL B. MATTEO (tona
all'indice)
Dall’episodio della lettera del Re Alfonso V che paga
il viaggio al nostro Beato e gli assegna un vitalizio si deve dedurre che il Re
e fra Matteo vi era una intesa amicizia. Da altri episodi si viene a conoscenza
che anche la Regina Maria, moglie di Alfonso V, nutre una profonda
stima verso il nostro Beato. Si deve ricordare che nel 1415, con il concilio di
Costanza, era cessato il grande scisma d’occidente della Chiesa Cattolica e vi
era stata l’elezione del Sommo Pontefice Martino V. Il Re Alfonso V, detto il
Magnanimo, in quel tempo, aspirava alla corona del Regno di Napoli. Il Papa
Martino V per la successione del trono di Napoli appoggiava gli Angioini. Re
Alfonso V, sentendosi avversato dal Papa, non volle riconoscere la sua elezione
e continuò lo scisma della Chiesa Cattolica nel suo regno facendo eleggere tre
antipapi. È in questo frangente che interviene il nostro Beato che riesce a
pacificare il Re Alfonso V e il Papa Martino V.
Da questa pacificazione operata da nostro Beato si
intuisce da un brano dei “Sermones” di S. Bernardino da Siena dove, facendo
l’elogio dei suoi compagni, dice: “fra i quali vi è uno frate Matteo di
Cecilia, il quale ha ridotto un Re alla fede cristiana con tutto quel paese”.
Senza dubbio, come affermano i ricercatori, si tratta della pacificazione di Re Alfonso V e il Papa Martino V per la cessazione dello scisma in Spagna. Non si hanno altri documenti che comprovino questo avvenimento, ma le circostanze di tempo e di luogo fanno pervenire alla logica conclusione che fu fra Matteo a pacificare il Re con il Papa e, per questo motivo, Re Alfonso V, in seguito, aiutò, difese, e protesse il nostro Beato, sino a portarlo al Vescovato di Agrigento. Anche la Regina Maria, si servì dei buoni uffici del nostro Beato, per vedere pacificati il Re di Pastiglia, suo fratello, con suo marito, Re Alfonso V, che contro di lui si trovava in guerra. Quindi il nostro fra Matteo, oltre per la santità della vita, la dottrina profonda e il carisma apostolico, fu amato dai Sovrani di Spagna per queste pacificazioni. Non è scopo del presente lavoro approfondire questo argomento, ma solo dedurre una possibile ragione dell’amicizia che legava i Sovrani di Spagna con il nostro Beato.
A
VALENZA PREDICA LA QUARESIMA (tona
all'indice)
Il nostro Beato, dopo avere fondato alcuni conventi
dell’Osservanza in Sicilia, nel 1427 parte per la Spagna.
Non si conoscono il mese e il giorno, ma si è sicuri
che la prima città dove si reca è Valenza perché vi deve predicare la
quaresima, dietro invito della Regina. Questa notizia la si apprende da una
lettera inviata dalla Regina a Mossen Borra e da un’altra inviata il 30
aprile 1427 a Brinda de Bardaxi. In queste lettere, oltre ad
accennare alla “grande fama” di fra Matteo, si parla delle devote prediche, del
grande frutto prodotto dalla santa vita del predicatore, del carisma taumaturgo
col quale operava dei grandi miracoli, tra i quali guarigioni di ciechi, sordi,
muti e molti altri ammalati. Di tale virtù taumaturgica del Beato nella Spagna
se ne occupò la “Cronaca di Madrid”, come riferisce il Russò in “El b. Matheu
d’Agrigento… pag. 114”. La Sovrana rimase tanto colpita dalla
fervida predicazione del nostro beato che, senza perder tempo, immediatamente
dalle parole passò ai fatti in modo dimostrativo, tagliando i lunghi e costosi
strascichi delle sue vesti, offensivi alla povertà dei bisognosi; e, inducendo
con il fascino del suo regale esempio, più che con le parole, le Dame di corte
e della nobiltà a fare altrettanto per moderare il lusso. La Regina fa
capire chiaramente di non essere insensibile e indifferente alle prediche di
fra Matteo e le mette in pratica.
Oltre che dalla santità e dai molti miracoli di fra Matteo, la Regina è colpita dalla novità della predicazione con la quale egli diffonde la devozione del SS Nome di Gesù. Questa devozione s’impresse così profondamente e fervorosamente nell’anima della Regina da diventare oggetto primario della sua pietà, per cui si fece zelante collaboratrice di fra Matteo nel propagare numerose copie del monogramma del SS. Nome, inducendo con il suo ardente zelo e buon esempio anche gli altri a fare altrettanto, come attesta la lettera inviata a Brinda de Bardaxi. Durante la predicazione della quaresima, nella Catalogna, e in particolare modo a Barcellona, un terribile sisma, con frequenti scosse, fece tremare la terra sconvolgendo uomini e cose.
IL B. MATTEO A
BARCELLONA (tona
all'indice)
La Regina Maria, appresa la notizia del disastroso terremoto avvertì la necessità di inviare ai sinistrati, oltre gli aiuti materiali, anche una assistenza spirituale. Il Re ed Ella, convinti che nessuno, se non fra Matteo avrebbe potuto compiere il nobile e cristiano ministero di confortare gli afflitti, rivolsero un invito al grande loro amico, pregandolo di recarsi a Barcellona. La Regina comunica con una lettera la sovrana decisione ai giurati di Barcellona, presentando fra Matteo come un primo conforto morale per alleviare la desolazione nella quale la città versa. In questo modo i Sovrani manifestano stima e devozione verso fra Matteo e nutrono piena fiducia per il bene che avrebbe sicuramente compiuto a Barcellona. Il Re, da parte sua, ordina al Vescovo di Barcellona, Pietro di S. Clemente, di provvedere alle spese per il vitto di fra Matteo e dei suoi compagni, durante il corso delle loro attività. La missione di Barcellona dovette iniziare negli ultimi giorni del mese di aprile del 1427 e protrarsi per i mesi di maggio e giugno. Gli informatori della Regina, nelle loro dettagliate relazioni, fanno sapere che la missione di fra Matteo aveva pienamente soddisfatto il desiderio della regina la quale, nelle lettere di risposta, esprime gratitudine per le liete e gradite notizie. Durante i due mesi di permanenza a Barcellona avvengono due grandi fatti che illustrano l’opera del nostro Beato: l’erezione di un convento per i frati dell’Osservanza, decretato dal Senato di Barcellona; la denunzia al Vescovo di Barcellona contro fra Matteo, a causa della devozione del SS. Nome di Gesù da lui predicata e diffusa con grande fervore.
LA COSTRUZIONE DEL CONVENTO DI S. MARIA DI
GESÙ A BARCELLONA (tona
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La costruzione del convento di Barcellona, oltre che come effetto della presenza del B. Matteo, deve essere vista come un contributo all’incremento del movimento dell’Osservanza in Spagna, particolarmente, in relazione alla situazione vigente nel Regno d’Aragona, dove i frati Conventuali ostacolavano il diffondersi dell’Osservanza. Il Senato di Barcellona, dopo l’effetto meraviglioso dell’apostolica azione missionaria di fra Matteo, gli offrì la possibilità di costruire un convento. Fra Matteo, rifacendosi al Breve con il quale Papa Martino V, il 26 luglio 1426, concedeva a fra Filippo Berbegal e agli altri frati dell’Osservanza di Spagna “unum locum pro domo huismodi costruendo et aedificanda”, pensò di accettare l’offerta. Decisa, per volontà del popolo, dopo approvazione del Sovrano e del Senato di Barcellona, anche il Ministro Provinciale dei Frati Minori d’Aragona, prima contrario alla costruzione, nel maggio 1427 dava il suo assenso. Secondo il “Dietario”, il Re, nel pomeriggio di lunedì 2 giugno 1427, era arrivato per via mare, da Valenza a Barcellona, per presenziare alla cerimonia della posa delle prime cinque pietre fondamentali del convento. La cerimonia avvenne il martedì 10 giugno 1427, alla presenza del Sovrano, del vescovo di Barcellona, di fra Matteo, dei Consiglieri municipali, del clero e di molti fedeli. Avendo il Senato assunto l’impegno della spesa per la costruzione, i lavori procedettero tanto alacremente e con ritmo accelerato, tanto che, nel 1429, furono terminati i principali lavori in rustico e, in seguito, quelli del completamento. Dal progetto del tutto entro il 1450, risultò che il convento era uno dei più grandi dell’Osservanza nella Spagna, potendo ospitare da 70 a 80 religiosi. Di questo monumento della benemerita operosità apostolica di fra Matteo, oggi non resta neppure un rudere. Distrutto, una prima volta durante la guerra di secessione spagnola nel 1714 e ricostruito in minori proporzioni nel 1722, fu ridotto a rovine per la furia dei francesi nel 1813. Ricostruito, di nuovo nel 1817, un po’ distante dal precedente, fu demolito per effetto delle leggi di soppressione del 1823. Ricostruito, ancora una volta nel 1825, fu definitivamente soppresso e distrutto nel 1835.
DENUNZIA
AL VESCOVO DI BARCELLONA (tona
all'indice)
Il secondo fatto, che ha interessato fra Matteo,
durante il suo apostolato a Barcellona, è costituito dalla persecuzione contro
di lui per la predicazione della devozione verso il SS. Nome di Gesù. Le accuse
erano le stesse che erano state rivolte in Italia, sia a lui che a s.
Bernardino. I discepoli o gli amici degli stessi accusatori di s. Bernardino,
che si trovavano in Spagna, lo deferirono al Vescovo di Barcellona. Per
mancanza di documenti, non si è in grado sapere, se il processo sia stato
celebrato.
Ma si sa che la Regina, venuta a conoscenza, ne
informò il Vescovo di Barcellona, quale competente a giudicare in merito. Però
le circostanze inducono a credere che, se contro fra Matteo fu celebrato un
processo o si tenne una pubblica discussione circa i suoi presunti errori,
l’esito dovettero essere a lui favorevole, tanto che potè continuare
indisturbato la sua attività in altre città della Catalogna e di nuovo a
Valenza.
Inoltre, i suoi buoni rapporti, con il Vescovo di Barcellona sono confermati dalla presenza del Vescovo e di fra Matteo alla posa delle pietre di fondazione del convento di S. Maria di Gesù, avvenuta il 10 giugno 1427.
LA PREDICAZIONE
A VICH (tona
all'indice)
La terza città della Spagna a usufruire
dell’apostolato di fra Matteo fu Vich, l’antica Ausonia dei romani, capoluogo
dell’omonima diocesi, nella Provincia di Barcellona.
La città a causa di opposte fazioni era travagliata da
discordie e lotte intestine che spesso sfociavano in atti di crudele vendetta.
Il Consiglio Comunale di Vich il 12 giugno 1427 inviò
ambasciatori a fra Matteo per indurlo a compiervi una missione.
L’ambasciata riuscì allo scopo, fra Matteo accettò
l’invito di predicare a Vich.
La missione, iniziata nella seconda metà di agosto del
1427, durò fino al 3 settembre.
I suoi frutti non vanno misurati secondo la sua
durata, ma alla efficacia della grazia divina che, illuminando le anime al
pentimento e alla conversione, permise a fra Matteo di alleviare le piaghe
morali che affliggevano la città e a disporre i cuori al perdono e alla pace.
Tre documenti permettono di sintetizzare i risultati
conseguiti dalla sua predicazione.
Il primo, redatto il 30 agosto 1427, di distingue
dagli altri due, non tanto perché riguarda solo un tale Giovanni Goeli, quanto
perché tace i nomi degli uccisori del padre dello stesso, e fa risalire
l’azione della grazia divina, che in lui opera con la carità del perdono.
Il più interessante è il secondo, redatto il 31 agosto.
Inizia con il monogramma del SS. Nome di Gesù “IHS” e da una dettagliata
relazione del B. Matteo.
Durante la Messa solenne egli aveva
predicato a circa 8.000 persone. Dopo la Messa, dieci persone, o famiglie,
che avevano ascoltato la predica, perdonano i colpevoli, non nominati, della
morte di 13 uomini, rinunziando ad ogni azione civile e penale verso i medesimi
e redigono quindi l’atto di pace dinanzi al Notaio e ai pubblici testimoni.
Il terzo del 3 settembre 1427, riporta l’atto di pace tra due parti o gruppi di persone. Si trascrivono le testuali parole: “sono disposte, come lo sono, con animo buono e spontanea volontà per ispirazione dello Spirito Santo e per effetto della predicazione di fra Matteo di Girgenti dell’Ordine dei Frati Minori, che attualmente predica in modo mirabile nella città di Vich, affermano di volere iniziare una buona e perpetua pace da durare tra loro in perpetuo”. In altri documenti si elencano non meno di 85 omicidi, che furono perdonati, in pochi giorni, dai parenti degli uccisi, sempre per effetto della predicazione di fra Matteo. Se la breve missione di Vich aveva prodotto tali frutti oltre ogni previsione, secondo il Vangelo dai frutti si conosce l’albero, non si può non ammettere che in fra Matteo agiva lo Spirito Santo.
LA
QUARESIMA E LA FONDAZIONE DEL CONVENTO S. MARIA DI GEÙ A
VALENZA (tona
all'indice)
Nel 1428 il nostro fra Matteo ritorna a Valenza per
predicare un’altra volta la Quaresima. Per la verità storica si
deve dire che vi era ritornato già il 27 ottobre 1427, ma non si conosce il
motivo perché vi sia andato. Si è sicuri che la predicazione si svolse
nel 1428, in quanto da tre lettere della Regina si apprende
che la Sovrana si sia tenuta, direttamente o indirettamente, in
relazione con fra Matteo e che l’aveva provvisto in tutti i bisogni, non solo
alle cose necessarie, ma anche a tutto ciò che desiderava. Fra Matteo
rassicurava la Regina per mezzo di messaggi orali, o più
probabilmente con lettere, che però non sono a noi pervenute, che sarebbe
rimasto a Valenza sino a Pasqua, secondo l’invito da essa rivoltogli. Fra
Matteo, durante la predicazione fu colpito da malattia, di cui non si conosce
la natura, ma si sa quanta sia stato l’interessamento della Regina, e da alcune
lettere si deduce che sia durata 15 giorni. Ristabilitosi in salute, fra Matteo
concluse, con grande frutto, il quaresimale sino a Pasqua, che in quell’anno
cadde il 4 aprile. Completata la missione egli desiderava ritornare in Sicilia,
perché dall’Isola aveva ricevuto notizie poco rassicuranti, ma fu trattenuto
dalla Regina, la quale scrisse una lettera al Vicario Provinciale dell’Osservanza,
fra Giacomo Domingo, pregandolo di non partire dall’isola fino a quando non
fosse ritornato fra Matteo. E ciò per non lasciare senza guida i frati
dell’Osservanza, ed evitare il pericolo di perdere quanto si era realizzato.
Fra Matteo, tranquillizzato dalla Regina e dal Re che desideravano anche
affidargli la costruzione di un convento dell’Osservanza a Valenza, rimase in
Spagna. In una lettera, del 7 maggio 1428, la regina comunicava al Ministro
Provinciale di Aragona, fra Francesco Alagon, la decisione della fondazione del
convento e che il “religioso e nostro predicatore sinceramente amato fra Matteo
di Agrigento dell’Ordine dei Frati Minori il quale, avendo ricevuto ampia
potestà dalla Sede Apostolica, oltre al consenso dell’Illustrissimo Signore Re
e dei Giurati di questa città, intende e propone di fare costruire de novo ed
edificare nei confini della stessa città un certo luogo (=casa) devoto per i
frati dell’Osservanza del Beato Francesco…”. Nel regio decreto del mese di
maggio 1428, si stabilisce e dichiara apertamente che “il convento, è sorto per
devozione verso il Beato Francesco e i suoi frati che vivevano
completamente la Regola dell’Osservanza, e viene chiamato S. Maria di
Gesù”
Era un luogo ameno e ricco d’acqua, a un chilometro a
sud est della città di Valenza, nell’orto di un certo Berenguer Minguet, dove
esisteva già un oratorio dedicato al glorioso martire S. Cristoforo.
Nel decreto, inoltre, si afferma che “i frati che vi
dimorano sono posti sotto la speciale protezione e salvaguardia del Re, e,
pertanto, tutti gli amministratori, dipendenti del Sovrano, sono tenuti a
osservare e a fare osservare tutto quanto stabiliti nello stesso decreto”.
Alle spese per la costruzione contribuirono parecchie
persone ed enti: per primi il Re e la Regina Maria, quindi la città
di Valenza, la quale donò la considerevole somma di 200 fiorni d’oro; il
Consiglio della città che, oltre alle elemosine, offrì il vasto campo chiamato
di Berenguer Minguet, per ricreazione e utilità dei frati.
L’Arcivescovo di Tarragona concesse l’indulgenza di 40
giorni a chi, in qualunque modo, avesse concorso all’edificazione.
I lavori iniziarono il 10 maggio 1428, ma le pratiche
per la costruzione andarono per le lunghe, e non mancarono difficoltà.
Una commissione eliminò i vari ostacoli, ma per
svolgere le varie pratiche trascorsero cinque settimane, durante le quali il
nostro Beato si occupò ad illustrare al popolo i motivi e le gravi
incomprensioni che ostacolavano la convivenza degli Osservanti con i Conventuali.
Dopo la morte di fra Giacomo Domingo, Vicario
Provinciale dell’Osservanza di Sicilia, fra Matteo parte per l’Isola e i lavori
per vari motivi subirono un rallentamento.
Alla fine fu realizzato, secondo le direttive di fra
Matteo e con l’assenso del Re e della Regina.
Era un modello di austerità, come nelle “Notes
historicas de las Seraficas Provincia de Valencia pag. 306” il P.
Conrado Angel o.f.m. lo descrive: “i suoi plaustri erano stretti e bassi, le
sue celle anguste e povere, la sua chiesa, sebbene limpida, era di dimensioni
molto ridotte, bassa di tetto e sobriamente ornata. Nell’angolo dell’orto, per
raccoglimento spirituale dei religiosi, erano stati edificati alcuni eremi dove
i frati, dopo aver compiuto le proprie quotidiane obbligazioni, si potevano
ritirare liberamente per pratiche di pietà e mortificazioni”.
Nel corso dei tempi subì diverse e importanti riparazioni e ampliamenti e, per eventi storici-politici, fu venduto a Don Gaspare Dotres, il quale vi stabilì una fabbrica per la filatura della seta e, nel 1866, abbandonata quell’impresa, lo vendette alla deputazione della Provincia che lo utilizzò per il manicomio.
RITORNO
DEL BEATO MATTEO IN SPAGNA CHIAMATO DALLA REGINA (tona
all'indice)
Nel 1429, la Regina spinta da gravi e
impellenti motivi, con pressanti preghiere invitò fra Matteo a tornare nella
Spagna.
Aveva già sperimentato ch’egli, con la santa vita e
l’efficacia della predicazione, era provvidenziale strumento di pacificazione,
e ora che lei stessa era oppressa da una profonda angustia, sentì il bisogno di
averlo vicino con il suo prudente consiglio. Così l’8 gennaio 1430, egli sbarcò
a Tortosa, dopo 18 mesi di assenza dalla Spagna.
G. Zurita negli annali (Annales de la
Corona de Argon, III, Zaragoza, 1669, pag. 186 ss.), c’informa su questi
motivi.
A causa di vecchi rancori, nel giugno del 1429 Re
Alfonso di Aragona con il fratello Giovanni, Re di Navarra, avevano
invaso la Pastiglia, dove regnava il fratello della Regina Maria di
Aragona, moglie di Re Alfonso: una guerra fratricida.
La Regina, nonostante la mediazione del Cardinale
Pietro de Foix, non era riuscita a portare la pace fra i due, per questo aveva
pensato di rivolgersi a fra Matteo.
Il Re Alfonso però, sempre secondo lo Zurita, le aveva
proibito d’intromettersi nella questione, essa però lo mandò ugualmente dal Re
di Pastiglia, insieme al cappellano di Corte, il sacerdote Garcia de Riaça.
Per scarsezza di documenti non è possibile stabilire
quale sia stato l’esito della missione e se fu portata a termine, come non
sappiamo quando fra Matteo decise di tornarsene definitivamente in Sicilia.
È certo soltanto che nell’aprile 1430 tenne una predicazione a Tarragona: concluse così la sua attività apostolica nella Spagna.
RITORNO DEL BEATO MATTEO IN SICILIA E IN ITALIA (tona all'indice)
Dopo il ritorno
dalla Spagna, nella seconda metà del 1430, non si hanno notizie che il nostro
Beato abbia fatto altri viaggi fuori dalla Sicilia prima di essere stato eletto
Vescovo.
Senza dubbio la sua attività dovette essere intesa non
solo in Sicilia, ma anche in Italia.
Non si hanno documenti che comprovino con certezza in
quali luoghi sia andato a predicare durante questi due anni; è certo che per il
periodo antecedente al 1430, a cominciare dal 1417, dopo il suo
ritorno dalla Spagna, per incontrare san Bernardino, profuse la ricchezza dei
suoi tesori spirituali nella sua diletta terra di Sicilia e in Italia.
Se non si hanno documenti dell’attività svolta dal
1430, cioè da quando ritornò definitivamente in Sicilia, fino al 1432, anno in
cui verrà eletto Commissario Generale, vi sono alcuni scarsi accenni nei
suoi “Sermones” che ci indicano diversi luoghi in cui era stato a
predicare.
Nel suo Sermo XXXVI - De nomine Jesu – (inedito) della
Biblioteca di Nocera Umbra, al foglio 907, lo stesso Beato scrive “predicante
me in Urceis Novis (=Orzi Nuovi) in territorio Brixiensi”, così venivamo a
sapere che predicò nel territorio di Brescia, ad Orzinuovi.
Nello stesso sermone racconta di avere sentito ad
Urbino, da uomini degni di fede, di tre individui che truffavano il nome di
Gesù; due di essi si ammalarono e il terzo, dopo tre giorni, morì.
A proposito delle calunniose accuse lanciate a causa
del nome di Gesù, il cod. 878 di Praga c’informa di episodi devozionali
avvenuti a Napoli, e precisamente di avere guidato una grande processione senza
la croce.
Il Waddingo,
all’anno 1429 t. X., n. 142 riferisce che il Beato Matteo ha predicato a
Cosenza.
Fra Mariano da
Firenze, dopo avere presentato fra Matteo come “Vir doctissimus, atque
declamator egregius”, riferisce che egli “totam Italiam suis sermonibus et
doctrinis, necon miraculis, perlustravit”, cioè: “con i suoi discorsi e
con la sua dottrina oltre con miracoli ha perlustrato tutta l’Italia”.
Del resto, da
quanto detto, nei capitoli precedenti, risulta che egli certamente ha
attraversato l’Italia nelle seguenti circostanze: una prima volta nel 1394, per
recarsi a Bologna nel convento S. Francesco; una seconda, nel 1404, per recarsi
a Padova nel convento S. Antonio in qualità di magister professionis; una
terza, nel 1417, quanto ritornando dalla Spagna, s’incontrò con fra Bernardino
da Siena; una quarta, nel 1425, quando insieme a fra Bernardino e fra Giovanni
da Capestrano, ottenne da Papa Martino V speciali facoltà spirituali e
l’autorizzazione per costruire tre conventi; una quinta, nel 1426, quando si
recò a Roma per la difesa di S. Bernardino.
Tanto basta per confermare la veracità
dell’espressione di fra Mariano da Firenze: “perlustravit totam Italiam”.
Poi se mancano prove documentarie riguardanti altri viaggi del nostro Beato non autorizza a pensare che non ne abbia compiuti,
MATTEO COMMISSARIO GENERALE E VISITATORE APOSTOLICO (tona all'indice)
Lo storico P. D
Sparacio, nella sua "Siciliensis Provincia", a pag. 45, riferisce che
nell'anno 1432, mentre era Ministro Provinciale P. Luca Sarzana d'Agrigento,
venne in Sicilia, con tutta la Curia dell'Ordine, il Ministro
Generale fra Guglielmo da Casale.
Non si conosce il
motivo specifico di questa visita, ma senza dubbio doveva trattarsi di cose
importanti, tanto da nominare il nostro fra Matteo Commissario Generale, per
portare a compimento la missione iniziata dallo stesso Ministro Generale.
Il documento scritto, con il quale si nominava fra
Matteo d'Agrigento Commissario Generale per la Provincia serafica
della Sicilia, non è stato rinvenuto, ma è stata trovata una lettera circolare
del Re Alfonso V del 27 ottobre 1432 con la quale comunicava alle autorità del
Regno di Sicilia l'avvenuta nomina di fra Matteo a Commissario Generale da
parte di fra Guglielmo da Casale, Ministro Generale dell'Ordine.
Il Re, oltre a comunicare la nomina, ordinava di
sovvenire fra Matteo con aiuti, consigli, favori, ogni qualvolta, dal medesimo
fossero richiesti per l'esercizio della sua missione, pena una multa di
1000 fiorni d'oro.
Dalla stessa lettera si apprende quali facoltà il
Ministro Generale conferiva: "Piena potestà e autorità su tutta la
provincia di Sicilia... su tutti i religiosi, sia frati che suore".
Quindi non si trattava solo di dirigere e organizzare,
correggere e ammonire i soli Osservanti, come era stato da Vicario Provinciale,
tra gli anni 1425-1427, ma di avere pieni poteri e autorità sull'intera
Provincia serafica, sia sui frati della "Famiglia" dell'Osservanza,
che sui frati della "Comunità" dei Conventuali.
Sebbene detta lettera parli diffusamente del mandato
affidato a fra Matteo, tuttavia non offre indizio alcuno su una particolare
missione da compiere.
Il motivo della venuta in Sicilia del Ministro
Generale, con tutta la Curia, si può dedurre considerando gli avvenimenti
accaduti in quel tempo.
Nel Capitolo Generale svoltosi ad Assisi nel 1430, era
stato proposto da S. Giovanni da Capestrano un nuovo testo delle Costituzioni
che, approvate dal Papa Martino V, per questo, presero il nome di
"Costituzioni Martiniane".
Esse segnavano il limite di demarcazione tra
Osservanti e Conventuali.
Ai Conventuali si concedeva ampia facoltà di disporre
dei beni immobili e il diritto di riscuotere le rendite; invece agli
Osservanti, i quali volevano vivere conforme allo spirito evangelico della regola,
non veniva concesso il possesso dei beni.
Si suppone che il Ministro Generale volendo dare
pratica attuazione a queste Costituzioni, venne in Sicilia e per superare le
difficoltà trovate, conoscendo la virtù e Io zelo del nostro fra Matteo, lo
nominò Commissario Generale, per l'applicazione di quanto da lui iniziato per
l'attuazione completa delle Costituzioni Martiniane.
E vero che il Ministro Generale, dopo pochi mesi dal
Capitolo Generale di Assisi, dove aveva prestato giuramento che avrebbe fatto
osservare dette costituzioni, in seguito ebbe un pentimento e si propose di non
attuarle.
Però da vari episodi si deduce che riguardo alla
Sicilia mantenne la promessa di farle osservare, per particolari ragioni di
ordine ambientale.
Non dovette essere facile a fra Matteo l'espletamento
di questa missione a causa di alcuni frati attaccati alle inveterate
consuetudini.
L'episodio del convento di Sciacca ne da una conferma.
Alcuni frati del convento di Sciacca, per i quali
doveva essere duro rinunziare ai molti beni e rendite godute da tempo, opposero
resistenza alle disposizioni riformatorie, sino al punto di fare ricorso alle
autorità civili.
Questo ricorso, avendo provocato scandalo, pervenne a
conoscenza del Re Alfonso il quale, con una lettera inviata al
Governatore, al Capitano della terra di Sciacca, ordina di indurre i frati
disobbedienti ad attuare le norme prescritte per la vendita dei beni
appartenenti al convento, e ciò "sotto minaccia di incorrere nella nostra
indignazione e ira, oltre che alla pena di once 100 in moneta del
detto Regno di Sicilia...".
Da questo episodio risalta evidente che lo scopo della
nomina di fra Matteo a Commissario Generale, come pure della venuta in Sicilia
del Ministro Generale, con tutta la sua Curia, si ravvisa nelle difficoltà
dell'applicazione delle Costituzioni Martiniane in terra di Sicilia.
Dopo questo intervento del Re, non si hanno altri casi
di ribellione dei frati, perciò si può quindi, supporre che fra Matteo sia
riuscito nel suo mandato di fare osservare le suddette Costituzioni
Martiniane.
Certamente il mandato di Commissario Generale di fra
Matteo non si limitò alla sola attuazione delle Costituzioni, ma riguardò anche
altri avvenimenti e questioni religiose.
A tale proposito va ricordato il mandato di Visitatore
Apostolico ricevuto dal Sommo Pontefice Eugenio IV, per curare la riforma
dei monasteri in Sicilia e in Italia e debellare il vizio della simonia,
il quale era allora molto diffuso in Sicilia.
Indicativo anche l'incarico di intervenire nella causa
dell'Abate fra Placido Campolo del monastero di Messina, perseguitato
dagli altri monaci.
Il Papa, dopo un tentativo non riuscito di altri due
Commissari, affidò a fra Matteo il delicato incarico di visitare, riformare e
castigare i colpevoli.
Mandato che fra Matteo con la sua prudenza portò a
termine.
Non si deve dimenticare che durante il suo mandato di
Commissario Generale furono fondati i conventi di S. Vito di Agrigento, di S.
Maria di Gesù di Cammarata e quello di S. Maria di Gesù di Siracusa, oltre la
ristrutturazione di altri conventi come quello di Sciacca.
In questo stesso periodo il nostro Beato fu nominato
visitatore di diverse Provincie d'Italia.
La nomina di Commissario Generale, ricevuta nel settembre del 1432, fu confermata nel 1440 e la mantenne fino alla sua elezione a Vescovo.
IL PREDICATORE (tona
all'indice)
Del nostro Beato Matteo la tradizione ha tramandato la
sua fama di predicatore egregio, esimio e dottissimo, ma nessun lineamento
del suo aspetto fisico. Solo attraverso le relazioni dei periti medici, che
eseguirono la ricognizione del suo corpo nel 1763 e alcuni immagini
dell'arte pittorica, si è riusciti a dedurre che il Beato Matteo doveva essere
di corporatura aitante, un pò più alta della statura ordinaria, di ossatura
robusta, di lineamenti regolari, di bello aspetto e di comportamento
distinto. Tali doti fisiche gli conferivano prestigio e dignità, ma sarebbero
state vane senza quelle morali e spirituali. Egli aveva intelletto aperto e
penetrante, volontà forte e soave insieme, memoria ferrea, fantasia
fervida e disciplinata, ed era intuitivo e riflessivo. Su queste
qualità naturali si innestava la grazia soprannaturale con i doni dello
Spirito Santo che contribuivano sia alla formazione dell'uomo spirituale,
religioso, apostolico, che alla sua libera disponibilità di umile strumento
della potente mano di Dio, per compiere i prodigi del divino amore. L'attività
apostolica del nostro Beato è appunto il frutto di questa misteriosa,
libera e totale collaborazione dell'uomo che vuole la salvezza di tutti.
Educato alla scuola di S. Francesco, la sua predicazione era semplice annunzio
del vangelo, presentato con l'affascinante arte oratoria di cui era
sicuramente dotato. Con la sua vita permeata di profonda fede vive per Dio e a
Lui vuole riportare gli uomini.
Offrendo questa testimonianza, si è presentato ai
fedeli d'Italia, di Spagna e di Sicilia, attraendoli, conquistandoli e
riconciliandoli tra di loro e con Dio. Frate Matteo possedeva una profonda e
vasta cultura della Sacra Scrittura e predicava “non con le parole
insegnate dall'umana sapienza, ma con la dottrina insegnata dallo Spirito,
adattando ad uomini spirituali un linguaggio spirituale” (Cor. 2, 13),
trascurando, e qualche volta disprezzando, la scienza fatua dei filosofi e
dei letterati umanisti del suo tempo. Purtroppo il nostro predicatore non
ha avuto la fortuna, come l'ebbe S. Bernardino da Siena, il quale aveva a
disposizione un certo Benedetto Di Bartolomeo che trascriveva le prediche
dell'Albizzeschi mentre predicava con un particolare sistema che oggi si può
paragonare alla stenografia. I "Sermones" preparati dal nostro
Predicatore sono schemi scheletrici, riportati dal codice XXXII di Capestrano o
trasmessi non sempre fedelmente dall'ammanuense Ulrico Lauf, suo contemporaneo.
Tuttavia dalla lettura dei "Sermones" si ammira la religiosità dei
temi, l'impostazione degli argomenti, trattati quasi sempre col medesimo ordine
e metodo che favorisce l'attenta lettura delle parti e l'approfondimento della
dottrina, derivata sempre dalla Sacra Scrittura, dai Santi Padri e dagli
Scrittori Ecclesiastici.
Lo svolgimento di detti "Sermones" è
proposto con chiarezza e illustrato da esempi che, dilettando il lettore, lo
aiutano ad imprimerli nell'animo, nonostante le imperfezioni dello stile della
lingua corrente. I giudizi, dati dai cronisti, storici e scrittori di
questo insigne araldo del Signore, sono espressi con i seguenti aggettivi
che lo definiscono: “predicatore insigne, egregio, eccellente, dottissimo,
teologo dotto, concionatore sublime, famosissimo”. Inoltre è detto fondatore di
conventi, restauratore e propagatore dell'Osservanza in Sicilia e nella Spagna,
che ha illuminato tutta l'Italia, in modo particolare con la propagazione della
devozione del SS. Nome di Gesù.
Queste affermazioni su fra Matteo predicatore,
descritte in una breve e scultorea scheda, sono riferite dal domenicano suo
coevo Ranzano da Palermo, il quale dopo avere riferito che “Matteo d'Agrigento
fu predicatore egregio dell'Ordine dei Frati Minori della disciplina di S.
Bernardino da Siena, esaltandolo al di sopra dei famosi predicatori delle cose
divine proprio in quel tempo, illustre tra tutti è stimato Matteo d'Agrigento”.
Quindi accennando con classica pennellata alle doti oratorie dell'agrigentino,
scrive che: “la sua soavità e facondia fu tanta da attrarre l'ammirazione e la
lode di molti popoli non solo in Italia e in Sicilia, ma anche nella
Catalogna. Di tale fascino fu conquistato pure Re Alfonso V, il quale lo
amò per la sua dottrina e integrità della vita, e lo volle promosso al
Vescovato agrigentino”.
Infine il Ranzano, riferendosi ai salutari effetti
della predicazione di fra Matteo, pone l'accento che egli con le sue
prediche seppe talmente conquistare gli animi dei fedeli che per avere i
Frati Minori dell'Osservanza nelle loro città costruirono chiese e conventi.
Oltre al Ranzano, il contemporaneo fra Mariano da Firenze si occupa due volte
di fra Matteo predicatore. La prima nel "Compendium Chronicarum
Fratrum Minorum (A.F.M. 2 (1910) pag. 710) scrive: “Matteo di Agrigento
dottissimo e declamatore egregio, con i suoi sermoni e miracoli illuminò tutta
l'Italia”, e la seconda: “fra Matteo di Agrigento, dell'isola di Sicilia, uomo
dottissimo e declamatore egregio, con i suoi sermoni e dottrina, nonché con i
suoi miracoli illustrò tutta l'Italia, per la qual cosa fu tenuto in gran conto
presso tutti, infatti fu compagno di S. Bernardino". Ai due succitati
cronologi seguono gli storici, quali il Waddingo e il Tognoletto, i cui
giudizi non fanno che ripetere quanto già si conosce.
Ma la più autorevole prova dell'efficacia della
predicazione di fra Matteo è riportata dalle descrizioni che ne fa la
Regina Maria: “fra Matteo, frate minore, oriundo del Regno di Sicilia, è
persona di grande rinomanza, ma più di buone opere”. Di tali “buone opere”, di
cui è ricco fra Matteo, parla la Regina in un documento (B: 14-11-4)
scritto in lingua latina, e che per il suo particolare interesse, si riporta in
traduzione italiana: “Il Reverendo religioso e diletto nostro fratello Matteo
d'Agrigento dell'Ordine dei Frati Minori, qual raggio di sole in queste parti,
infonde luce di dottrina negli animi dei fedeli, durante l'ultima quaresima, in
questa città (Valenza) con salutari ammonimenti e con l'esempio delle virtù. In
seguito a preghiere e comandi del Signor Re e nostre si è portato in Catalogna,
sconvolta da un terribile sisma, per sradicare, edificare, piantare e
comunicare scienza salutare al suo popolo, e per dare al Signore un popolo
accettabile affinché la terra, che ha tremato per giudizio divino, abbia pace
per grazia divina”.
La Regina Maria d'Aragona, animata da profondo
spirito religioso, ha avuto modo di constatare e ammirare l'apostolato di fra
Matteo. Proprio per la personale esperienza dei frutti della predicazione
del nostro Beato, scrive ai giurati di Barcellona e, informandoli
dell'imminente arrivo nella loro città, li prega di accoglierlo con
deferenza. La Regina è sicura che fra Matteo, “con le sue prediche e
la sua santa vita, sarà per loro tutti di grande consolazione e
rimedio”. La Sovrana, spirituale ammiratrice del Predicatore, per averlo
ascoltato ne parla con i suoi ministri, i dipendenti, e con tutta la nobiltà di
Spagna, e lo raccomanda a quanti possono contribuire a facilitargli
l'apostolato. Al di sopra di ogni ammirazione per le doti esteriori
dell'oratore, e per la di lui cultura ed eloquenza, lei guarda all'esempio
della vita santa che, praticando ciò che predica, induce efficacemente a
compiere quanto insegna. Della perfezione e santità di fra Matteo i Sovrani
sono talmente affascinati e convinti che entrambi vorrebbero che egli restasse
il più a lungo possibile nella Spagna, e fanno di tutto per trattenerlo e
continuare così il fecondo apostolato.
La Regina, parlando di fra Matteo al Vescovo di
Barcellona, Francesco Clemente Capera, ricorda: “Vi abbiamo comunicato come il
Signor Re e Noi abbiamo conosciuto della perfezione e santità del detto fra
Matteo, perché rimanga da questi per consolazione, istruzione e perseveranza
nelle buone opere dei nostri sudditi”.
Per la Regina fra
Matteo è l'uomo nato per fare del bene predicando. Pertanto, considerati i
frutti che la sua predicazione ha prodotto, sia in Italia, che in non
poche Province del Regno di Aragona, lei suggerisce al Ministro Generale che
sarebbe giusto lasciarlo libero dal governo dei conventi e farlo dedicare
esclusivamente alla predicazione della parola di Dio. (Doc.
B. 73-1-88, Valenza Aprile 1429). Ai Sovrani d'Aragona certamente non sfuggiva
l'influsso sociale dell'opera di pacificazione dal medesimo compiuta, conforme
al costume dei grandi predicatori dell'Osservanza, nel conciliare
individui e famiglie, estinguendo liti e odi, inducendo al perdono delle
offese e all'impegno di mantenere la pace con la carità. Come a S.
Bernardino, così al B. Matteo non fu risparmiata l'accusa dai denigratori
proprio per la predicazione della devozione del SS. Nome, sia in Italia
che in Spagna. Si deve notare che nè dai "Sermones", neppure dalle
testimonianze, appare che il B. Matteo abbia reagito direttamente contro i suoi
avversari, dei quali nei medesimi "Sermones" non fa alcun esplicito
accenno, anche se non manca qualche implicita allusione. I "Sermones"
testimoniano eloquentemente la loro caratteristica espositiva dottrinale,
rispondente all'unico scopo di annunziare e illustrare il Vangelo.
In tal modo fra Matteo dimostra, non solo di essersi liberato dalla rete artificiosa della predicazione dei cianciatori contemporanei, ma di saper navigare nelle acque serene dell'apostolato. I "Sermones", impostati sull'attualità del tempo, sono viva espressione dell'anima che vibrando muove, scuote, scandaglia nell'intimo delle coscienze, inducendo all'effetto voluto, sia sull'individuo, che sulla collettività. Alla luce di quanto è stato esposto, emerge chiaramente la ragione per cui il nostro Beato, tra i discepoli del grande Senese, è considerato uno dei maggiori predicatori ed è collocato nei primi posti dopo il Maestro.
FRA MATTEO VESCOVO DI AGRIGENTO (tona all'indice)
Eugenio IV, con Bolla del 18 settembre 1442, datata da Firenze, indirizzata "Al Diletto Figlio Matteo de Gimena" lo elesse Vescovo di Agrigento, in successione al Vescovo Lorenzo da Napoli, monaco cistercense, deceduto nel 1440. La Bolla è datata da Firenze perché il Papa, a seguito della famosa sommossa del 29 maggio 1434 aveva dovuto lasciare Roma, dove era stata proclamata la Repubblica. Data la particolare situazione in cui si trovava, con lettera "Cum nos nuper Ecclesiae Agrigentinae", dava a fra Matteo la facoltà di scegliere il Vescovo che avrebbe dovuto conferirgli la consacrazione episcopale e che questa avvenisse a Sciacca: ordinariamente ciò avveniva a Roma, per le mani stesse del Papa. La cerimonia si effettuò quasi 10 mesi dopo la elezione, la domenica 30 giugno, nella Chiesa Madre di Sciacca, consacranti fuorno Giovanni, Vescovo di Mazara del Vallo e Nicola vicegerente dell'Arcivescovo di Palermo. Il rinvio di 10 mesi si spiega con la resistenza opposta dal Beato, per profonda e convinta umiltà, alla nomina, che accettò solo per l'insistenza del Papa e come atto di obbedienza. L'elezione episcopale fu la logica conseguenza della stima che fra Matteo godeva presso il popolo agrigentino, del riconoscimento delle sue virtù e i meriti acquisiti in quasi 50 anni di vita religiosa e di indefesso apostolato mediante la predicazione della parola di Dio, la prova di saper assolvere incarichi di grande responsabilità con prudenza e zelo, la testimonianza chiara di carità verso i poveri e i bisognosi nel corpo e nello spirito. Anche l'intervento di Re Alfonso V, Re di Spagna dovette influire, come accenna Pietro Ranzano: "fra Matteo fu amato dal Re per la sua dottrina e integrità di vita, per cui volle che fosse promosso a Vescovo di Agrigento". Anche il Papa Eugenio IV, prima di ascendere al Sommo Pontificato, deve aver avuto modo di apprezzare le doti per la fama che godeva in Italia e in Spagna come grande predicatore e forse anche per il ruolo che aveva svolto per indurre Alfonso V a desistere dal sostenere lo scisma d'Occidente. Stima ben meritata, del resto, secondo la concorde testimonianza di tutti gli storici, che fra Mariano da Firenze riassume in queste parole: "pater pietatis et compassionis" et "Abbissus humilitatis". Sulle circostanze che determinano la sua elezione a Vescovo, la testimonianza del P. Antonio da Randazzo precisa: che "il Beato Matteo avendo fondato il luogo di San Nicolò di Girgenti, e avendosi ritratto in quello con fama di gran santità, successe che passò da questa vita il Vescovo, e il clero, a cui apparteneva l'elezione, fecero elezione di fra Matteo per la sua santità, e lo fecero confirmare dal Sommo Pontefice". Elezione plebiscitaria, dunque, richiesta dal clero, a conferma della fama di santità ch'egli godeva presso il popolo. Fra Matteo nella cronologia dei Vescovi agrigentini tiene il 39mo posto, e viene indicato col nome di Matteo III per distinguerlo dai precedenti Vescovi dallo stesso nome, e cioè Matteo I (1327-1429) frate dell'Ordine dei predicatori e della famiglia Orsini, poi nominato Cardinale e oggi venerato come Beato; Matteo II (1363-1390) palermitano, della famiglia Fugardo.
PROGRAMMA DEL VESCOVATO DI MATTEO (tona all'indice)
Dopo avere
conosciuto il modo dell'avvenuta elezione episcopale del nostro Beato, è bene
accennare al programma che egli si propose di attuare.
Certamente non ignorava che, in quel tempo, la
condotta del Clero lasciava a desiderare, e che dovunque la rilassatezza era
molto diffusa.
Per questo, si mise all'opera per riportare
l'osservanza dei sacri Canoni, per richiamare tutti ad una maggiore coerenza
con la professione di vita cristiana.
Per giungere ad una profonda e proficua riforma dei
costumi e per il rinnovamento della fede tra i fedeli egli si propose anzitutto
una incisiva azione nel clero.
Secondo Mariano da Firenze, il novello Vescovo chiese
al suo clero: l'osservanza dei doveri sacerdotali; un uso moderato dei propri
redditi; una testimonianza effettiva di vita povera; ogni sacerdote doveva
trattenere per se solo quanto era necessario per il proprio decoroso
mantenimento, consegnando il superfluo al Vescovo, che l'avrebbe dispensato ai
poveri.
Il pensiero del Vescovo era chiaro: equilibrare
giustizia e carità con prudenza e moderazione, un anticipo della dottrina
sociale della Chiesa, che è la dottrina del Vangelo.
Senza doversi ridurre in miseria, il Clero avrebbe
dovuto dare il superfluo, proveniente dai beni ecclesiastici, ai poveri i
quali, su quel superfluo, vantavano diritti, trattandosi di proventi della Chiesa.
Il Vescovo non intendeva fare torto ad alcuno: mirava solo ad estirpare abusi e vizi, ovunque si annidassero, nei laici non meno che nel clero.
REAZIONE DEL CLERO (tona all'indice)
Il Clero, che l'aveva eletto, credeva che il nuovo
Vescovo fosse di indole condiscendente, si illudeva di essere lasciato
libero come nel passato.
Tale condotta si comprende meglio alla luce della
miserabile condizione morale nella quale era caduto il clero, a causa della
simonia, che in quel tempo infestava tutta la Sicilia, non esclusa la
diocesi agrigentina.
Questo vizio, figlio dell'avida avarizia, era
praticato in misura così vasta e profonda nell'Isola, che lo stesso Papa
Eugenio IV, per estirparlo, nel 1435, aveva incaricato, con le più ampie
facoltà, proprio Matteo d'Agrigento.
Quando il Clero apprese il programma del Vescovo di
restaurare la disciplina ecclesiastica, di richiamare ognuno ai propri
doveri religiosi e sacerdotali e di correggere la rilassatezza con l'osservanza
dei sacri canoni, ebbe un senso di delusione, perché non si aspettava
tanto rigore e severità.
Ma ciò che maggiormente suscitò un'aperta ribellione
contro il Vescovo fu l'obbligo di dover rinunziare alle rendite, di cui sino
allora avevano usufruito, e contentarsi di trattenere solo il necessario per la
vita.
Questa disposizione della distribuzione dei beni della
Chiesa ai poveri fu il movente di un odio crudele.
Su questo punto il Pastore, animato da zelo di
giustizia sociale e cosciente della propria personale responsabilità, si era
mostrato luminoso esempio di carità e di misericordia, avendo riservato per sè
e la famiglia episcopale una scarsa mensa.
Aveva dispensato tutto il resto dei beni ai poveri, agli orfani, alle vedove, alle ragazze bisognose che andavano a nozze, perché per tutti egli era come padre. Per questo motivo nasce un odio violento e insidioso, con un piano che aveva del diabolico, come dimostreranno i fatti.
Gli storici, che in genere concordano per quanto riguarda
l'odio del clero contro il Vescovo, non sono unanimi nel trattare i motivi
particolari che lo suscitarono e lo alimentarono.
Mariano da Firenze, parlando di insidie tese contro il
Vescovo, con discrezione veramente ammirevole, ma senza nuocere alla
conoscenza delle cose, non allude alla loro natura, limitandosi a dire soltanto
che "l'accusarono al Sommo Pontefice di delitto di eresia", senza
specificare contro quali dommi della fede cattolica il Beato avesse mancato.
Secondo Marco da Lisbona le opere di misericordia
compiute dal Vescovo furono i motivi dell'odio del clero, e, perciò, fu
accusato come dissipatore dei beni della chiesa.
L'umanista Poggio Bracciolini, nel suo "Contra
Hipocritas" composto nel 1449, cioè vivente ancora il Beato, lo accusa di
ipocrita avarizia, di falsa povertà e allude al piccante episodio della
presunta relazione carnale di fra Matteo con una ignota donna, così scrivendo:
"Tempo dopo, quando fu chiamato alla Curia, lo si accusava di moltissime
colpe orribili, dato che aveva gettato alle ortiche ogni ritegno".
L'accusa del Bracciolini è grave, ma gli altri
storici, a lui vicini, dicono trattarsi solo di accusa generica e non
particolareggiata.
Il cronologo P. Antonio da Randazzo, che ha raccolto
la testimonianza dalla viva voce di fra Antonio da Nicosia, il quale aveva
conosciuto religiosi vissuti al tempo del Beato, scrive che contro fra Matteo
fecero una persecuzione con un processo infame e che lo accusarono di relazioni
carnali con una donna.
Da notare che di tale capo d'accusa mentre non si
trova cenno alcuno nè presso Mariano da Firenze, nè presso Marco da
Lisbona, i due storici più antichi, ne fanno largo uso gli storici
posteriori.
Per meglio illuminare questo punto così delicato per
la verità delle cose, riferiamo anzitutto i testi del P. Antonio da Randazzo e
del Tognoletto, quindi, cercheremo di appurare gli elementi validi per un
giudizio oggettivo.
P. Antonio da Randazzo ha scritto: "...perché era
solito il Vescovo la notte andare al mattutino con alcuni suoi preti in chiesa,
gli fu fatto un tradimento con cambiargli le vesti, che teneva al capizzo, con
una veste di donna. La notte andato in chiesa da tutti fu veduto con detta
veste e testificarono, che il Vescovo teneva commercio di donne, e mandarono il
processo a Roma al Papa, il quale mandò a chiamarlo".
Più dettagliata è la narrazione del Tognoletto, il
quale riferisce genericamente che "alcuni" della città, senza
specificare se laici o chierici, pentiti di averlo chiesto per Vescovo, mossi
da invidia o da interesse "...cercavano in ogni modo e maniera di far sì,
che fosse dalla sedia deposto. Finalmente mossi dall'inimico comune scrissero al
Pontefice Eugenio IV, accusandolo di molti delitti inventati dalla loro
perversa volontà, informandolo gravissimamente appresso la Santa e
Apostolica Sede, e fra le molte cose una fu, che si godeva carnalmente una
donna, e per dare qualche apparenza di verità a questa inventata e diabolica
infamia, che fecero alcuni più degli altri astuti, sapendo che il Santo ogni
notte andava al coro il primo degli altri al mattutino, coprendosi con certe
vesti dal gran freddo, levò (quel che cura aveva nella sua camera) le solite
vesti una notte, e li pose in luogo di quelle solite certa robba, o veste di
donna, di colore bene conforme al solito, il Vescovo non avvedutosi
dell'inganno, si vestì di quella femminile già posta da quello, entrò in
chiesa, e sino al coro con detta vesta, il che veduto dal clero, fecero segno
agli altri preti dicendo, che era la verità, che il Vescovo si godeva
carnalmente una donna, poiché dicevano, certo per la fretta ha errato, e preso
la veste di quella in cambio della sua. (Oh' gran bontà dell'Altissimo che
tante miserie, e iniquità sopporta, ma il tutto acciò non lasci i suoi servi
senza la Croce per raffinarli con le persecuzioni come oro al foco).
Scrissero questo, e molte altre cose diaboliche, e
particolarmente come dissipatore degli beni Ecclesiastici, contro del Santo
Vescovo al Pontefice. Per il che mandò a chiamarlo che si conferisse in Roma
per difendersi la sua causa".
Le due soprarriferite relazioni danno luce, sia sulla
natura delle "insidie", sia sulla falsità; sia lo scopo della calunniosa
accusa.
Rocco Pirro (in Sicilia Sacra, 1638, lib. 3, pag. 8)
non accenna alla "veste di donna", ma specifica che il Beato incorse
nelle offese degli avversari, sia perché correggeva i costumi del clero e la
vita licenziosa dei nobili, sia perché rinunziò a quasi tutti i suoi proventi a
favore dei poveri, determinando che gli avversari erano "suoi
canonici" e "molti altri", i quali lo accusarono al Papa
"come dissipatore dei beni della Chiesa".
Anche il P. Filippo Cagliola o.f.m.
(Manifestaziones...pag. 147) riporta la stessa accusa di "dissipatore dei
beni", senza accenno ad altri delitti.
Il Waddingo (Annales.. t. XII, pag. 121, n. 104)
enumera tre motivi per i quali, dal suo clero, che insistentemente cercava di
riformare, fu accusato al Papa Eugenio IV di "profusa prodigalità dei beni
ecclesiastici, di imperizia nel governare, di altri finti delitti
innominati", può darsi che tra i finti delitti intendesse inclusa la
calunnia dei rapporti con la donna.
Lo stesso Waddingo, in altro luogo della sua opera (t.
V, n. XV) scrive che il Beato fu accusato al Papa "come dissipatore dei
beni della chiesa", senza aggiungere altro capo d'accusa, ma specificando
che "volendo riformare i costumi del clero incorse nell'odio e
nell'invidia di molti".
Nella "Informatio" del Processo, (pag. 6, n.
11), sono elencati tre capi d'accusa, due specifici e uno globale: rapporti con
una donna, triste dilapidazione dei beni ecclesiastici e altri falsi crimini
variamente colorati.
Lo scopo di tutte queste accuse, promosse dai chierici scandalosi e ribelli, tendeva alla deposizione del Pastore dalla Sede Vescovile per liberarsi di un Capo che, secondo il loro errato modo di giudicare, era abietto e fastidioso oltre che ingrato per la liberalità con la quale lo avevano eletto, poiché li voleva privare dal diritto di godersi tranquillamente, come nel passato, i beni ecclesiastici.
Quante volte il Vescovo fra Matteo è stato denunziato
al Sommo Pontefice? Quanti processi ha subito: uno o due? Solo il sacerdote Don
Francesco Trapanesi, testimone al Processo (Proc. f. 200 n. 2 pag. 49-50)
afferma: "...egli ebbe a soffrire delle contraddizioni e delle accuse da
alcuni malevoli, ai quali non piaceva il rigore della disciplina, e
l'osservanza della divina legge, che dal Beato Vescovo a tutto potere si
promuoveva, e dopo essere stato la prima volta dal Sommo Pontefice e
dichiarato innocente, e restituito alla sua chiesa, ove accolse i suoi
persecutori con ammirevole mansuetudine, tornarono essi ad ordirgli nuove
calunnie, accusandolo come la prima volta avevano fatto, qual dissipatore dei
beni della chiesa, senza ché esso beato avesse con la sua condotta dato alcun
motivo a tali accuse, tramate per sola malignità dagli uomini perversi, e
sebbene anche questa volta fosse stata conosciuta dal Sommo Pontefice la di lui
innocenza egli non mostrò mai alcun disgusto, ma...". Questa testimonianza
è l'unica a dire esplicitamente che il Beato fu deferito al Sommo Pontefice due
volte, senza però riferire altre accuse che quella della disposizione dei beni
ecclesiastici, nonostante che "tornarono ad ordirgli nuove calunnie".
Nessuno degli storici e dei testimoni parla di due
processi intentati contro il Beato Vescovo davanti alla Sede Apostolica.
Invece, sia gli altri storici, sia molti testimoni
insistono nell'illustrare gli atteggiamenti tenuti dagli avversari prima che il
Vescovo si recò a Roma per difendersi e dopo che ritornò ad Agrigento.
Il processo, come lo stesso Don Francesco Trapanesi
afferma, si concluse molto favorevolmente per il Vescovo, tanto che il Sommo
Pontefice, compiaciuto per la sua innocenza, lo rimandò a continuare a
reggere la Diocesi.
La presunzione dei due processi potrebbe suggerire, o,
almeno, fare credere che il Beato abbia subito due volte le calunniose accuse
e, quindi, anche due processi presso la S. Sede.
Invece, la realtà è che la persecuzione, dopo il
processo, durante il quale il Papa riconobbe l'innocenza di fra Matteo, non
cessò e i suoi avversari erano talmente ostinati nell'iniqua mira di
sbarazzarsi del loro Pastore, da continuare a diffondere calunniose accuse.
Di fronte a tale ostinazione il Beato, come ha scritto
fra Mariano da Firenze, "vedendo di non potere fare progressi, restando
Vescovo, pensò di rendere al Signore un frutto maggiore vivendo disprezzato
nella casa del Signore, che abitare con amore nelle tende dei peccatori".
Solo per questo motivo, quindi, e non perché di nuovo
deferito al tribunale del Papa, per giustificarsi una seconda volta, decise di
propria iniziativa e, dopo essersi consigliato, di non resistere agli
oppositori del bene, di rinunziare al vescovato, presentando le sue dimissioni
nelle mani del Sommo Pontefice.
Tale decisione, presa dopo maturo esame e saggio
consiglio, non si giustifica se non si ammette che veramente il Vescovo ancora
una volta fu gravemente offeso dai suoi avversari, i quali non rinunziarono
alla calunniosa campagna, nonostante fossero stati condannati, implicitamente,
da quella stessa sentenza che aveva fatto trionfare l'innocenza del Beato.
Fra Mariano non spende una sola parola circa la
presunta denunzia. Il silenzio, in questo caso, non si spiega se non col fatto
che realmente essa non ebbe mai luogo. Se così non fosse stato e Mariano fosse
venuto a conoscenza della nuova denunzia, data la sua obiettività storica,
certamente, non l'avrebbe taciuta.
Si ignora la data del processo al Vescovo, denunziato
"per molti delitti". Gli storici, cominciando da fra Mariano, con
unanime concordia, tramandano che Eugenio IV, riconosciutolo innocente, lo
rimandò alla sua Agrigento a continuare il governo della Diocesi.
Inoltre gli stessi storici sono d'accordo nel
descrivere l'umile e caritatevole atteggiamento del Vescovo verso i suoi
ostinati avversari. Su di loro non cantò vittoria, ma con magnanimità di
Pastore li trattò da padre misericordioso, li perdonò e li amò come figli
e fratelli.
La sua condotta di Vescovo vigilante e premuroso,
disposto a sacrificare la propria vita per la salvezza del suo gregge, rimase
immutata anche dopo la riconosciuta innocenza. Continuò ad incoraggiare i
buoni, ad ammonire e a richiamare gli erranti, a condannare vizi e scandali,
ad esortare alla virtù, nella speranza di indurre a penitenza e
conversione, per riunire tutti al Supremo Pastore delle anime.
Ciononostante, gli avversari risposero con insolente ingratitudine, continuando a calunniarlo, tirando fuori e divulgando le più abiette e false dicerie al punto che, come si esprime il P. Antonio da Randazzo, "crescendo la rabbia contro il Prelato, e lo poco frutto che faceva", il Pastore, vista l'impossibilità di potere giovare alle anime dei suoi fedeli e alla propria, decise di andare dal Papa e rimettere nelle stesse mani che gliel'avevano affidata la cura della Diocesi, per ritornare alla serena vita del chiostro.
Padre Ludovico Maria Mariani O. F. M..
SOURCE : http://www.confraternitasbenedettoilmoro.diocesipa.it/Beato%20Matteo.htm