Saint
Jean de Matera
Abbé (✝ 1139)
Giovanni Scalcione, né vers 1070 à
Matera, appelé également Jean de Pulsano.
Moine qui, entre spiritualité individuelle et pratiques institutionnelles, fut fidèle à l'Ordre bénédictin. Emprisonné en Sicile, il s'échappa vers Capoue et n'abandonna pas la vie religieuse malgré les problèmes affrontés.
Après sa rencontre avec saint Guillaume de Vercelli, il fonda un monastère à Pulsano dans la région du Mont Gargan, il était réputé pour son austérité, ses prédications, ses prophéties et ses miracles. Il est souvent représenté en abbé chassant les démons avec un bâton.
Du peu qui est connu de sa vie on sait qu'il n'était pas un homme ordinaire mais un moine dévoué.
(d'après Joël Chow - Tomorrow Newspaper, Nov 2008, St Mary of the Angels - en anglais)
Au monastère de
Saint-Jacques dans les Pouilles, en 1139, saint Jean de Matera, abbé.
Remarquable par son austérité et sa prédication au peuple, il fonda, dans la
région du Mont Gargan, la Congrégation bénédictine de Pulsano.
Martyrologe romain
John of Matera, OSB
Abbot (AC)
(also known as John of Mathera or
Pulsano)
Born
at Matera in the Basilicata; died at Pulsano, Italy, 1139. Early in his life
John entered a Benedictine monastery, where he earned a reputation for
austerity. For a while he joined Saint William at Monte Vergine, but left him
to become a popular preacher at Bari. Later founded a community at Pulsano near
Monte Gargano, the first of a series of foundations that coalesced into a new
Benedictine congregation (Benedictines, Encyclopedia). In art, Saint John is an
abbot driving away the devil with a rod (Roeder).
Urna di san Giovanni da
Matera,
Saint John of Pulsano
Also
known as
- Giovanni
di Matera
- Giovanni
Scalcione
- John
of Matera
- John
of Mathera
Profile
Benedictine monk. Lived with such
austerity that it brought on the enmity of his brothers who felt he was setting
a standard that they could not meet, making them look bad, and drawing
attention to himself. Monk at Montevergine Abbey under the
spiritual direction of his friend Saint William of Vercelli, its founder.
Popular preacher in Bari, Italy. Founded the Saint Mary
of Pulsano Abbey at Pulsano, Italy where he served
as abbot, and from which grew a
new congregation.
Born
- 1139 at Pulsano, Italy of natural causes
- buried in a niche in a cave in the church at Saint
Mary of Pulsano Abbey
- relics translated to Matera Cathedral in 1830
- relics enshrined in a new sarcophagus in 1939
- abbot driving away the devil with a rod
La chiesa rupestre del
Purgatorio Vecchio, casa natale del santo
JOHN OF MATERA, ST.
Also known as John of Pulsano, Benedictine, founder
and abbot; b. Matera, Kingdom of Naples, 1070; d. Pulsano,
June 20, 1139. Following what he considered divine commands, John spent much of
his life journeying from one religious house to another seeking an environment
conducive to his severe mortifications. Having lived some years as a hermit, he
founded a small monastery at Ginosa (not far from Matera), which was dispersed
by the normans. He then joined william of vercelli, but he left that community
when fire destroyed its buildings. When preaching in Bari, he narrowly escaped
being burned as a heretic. Finally he settled at Pulsano near Monte Gargano in
Apulia (c. 1130), where he attracted a small group of followers
(the now extinct Benedictine Congregation of Pulsano), whom he governed, until
his death, according to a strict interpretation of the benedic tine rule.
Feast: June 20.
Bibliography: Acta Sanctorum June
5:33–50. gG J. Giordano, Croniche de Monte Vergine (Naples
1649) 520–527. A. F. Pecci, Vita S. Iohannis a Mathera abbatis,
Pulsanensis Congregationis fundatoris(Putineani 1938); rev. B. de Gaiffer, Analecta Bollandiana 57 (1939) 174–176.
[E. J. Kealey]
SOURCE : https://www.encyclopedia.com/religion/encyclopedias-almanacs-transcripts-and-maps/john-matera-st
San Giovanni (Scalcione) da Matera Abate
Matera, 1070 (1080) - Foggia, 20 giugno 1139
Nacque nel 1070 a Matera da
una famiglia di nobili. Da giovane si trasferì a Taranto dove chiese ospitalità
e lavoro ai monaci basiliani dell'Isola di San Pietro. Ispirato da una visione
si recò in Calabria e poi in Sicilia continuando a condurre un'esistenza nel
segno della penitenza e della rinuncia. Ritornato in Puglia, a Ginosa, si fece
conoscere come predicatore nella zona e attirando l'ammirazione di molti.
Imprigionato a causa di false calunnie fu liberato miracolosamente.
Allontanatosi dalla terra natia, vi fece ritorno in seguito a una visione. Dopo
un incontro e un periodo di permanenza con l'eremita san Guglielmo da Vercelli
decise di andare in Palestina. Tuttavia passando per Bari comprese che
la sua missione doveva svolgersi in quella città. Dopo un periodo di
predicazione si fermò vicino a Pulsano, dove fondò una comunità che in sei mesi
vide l'adesione di 50 monaci. La Congregazione monastica fu detta degli
«Scalzi». Morì nel monastero di Foggia nel 1139. (Avvenire)
Patronato: Matera
Etimologia: Giovanni =
il Signore è benefico, dono del Signore, dall'ebraico
Martirologio
Romano: Nel monastero di San Giacomo di Foggia in Puglia, san Giovanni da
Matera, abate, che, insigne per austerità di vita e per la predicazione al
popolo, fondò sul Gargano la Congregazione di Pulsano di osservanza
benedettina.
E’ detto anche da Pulsano, dal luogo ove fondò la sua ultima opera
monastica. Nacque verso il 1070 in Matera da una ricca e nobile famiglia, ma
ancora giovanetto, animato da uno straordinario spirito di pietà, abbandonò la
casa paterna e si diresse a Taranto dove chiese ospitalità e lavoro ai monaci
basiliani dell’Isola di S. Pietro, qui gli fu affidata la custodia delle
pecore.
Quando aveva lasciato i fasti della sua casa, aveva scambiato i suoi lussuosi
abiti con quelli di un povero, certo il gesto di s. Francesco che si spoglia
dei suoi abiti per indossare un saio, era già stato fatto tante volte nei
secoli precedenti da questi iniziali eremiti e monaci.
Giovanni fu molto provato da questo lavoro e quando stava per cedere, sentì una
voce interna “Dio è con te” che lo rianimò; alla vista di una barca credette di
vedere un volere di Dio e quindi si fece trasportare in Calabria, dove fece una
vita di solitudine e mortificazione, da lì passò in Sicilia standoci due anni e
proseguendo la sua vita di penitente.
Ritornò in Puglia a Ginosa che era vicino Taranto e Matera e lì continuò la sua
consueta vita, ospitato dai parenti che nel frattempo si erano trasferiti per
motivi politici, ma ridotto quasi ad un scheletro, riuscì a non farsi
riconoscere.
Prese a girare fra il popolo di vari paesi predicando ed esortando ad una vita
di preghiera, attirando la benevolenza di molti ed anche l’accodarsi di alcuni
discepoli, subì anche delle calunnie per cui finì in prigione per ordine del
conte Roberto di Chiaromonte. Fu liberato
miracolosamente e dovette allontanarsi da tutti, continuando a predicare in
altre zone, giunto a Capua, sentì di nuovo la sua voce guida che gli disse di
ritornare in Puglia; sui monti dell’Irpinia a Bagnoli incontrò s. Guglielmo da
Vercelli che con alcuni discepoli conduceva vita eremitica, si fermò con loro
finché ebbe una visione che indicava per entrambi le loro strade, opposte ma
sempre nell’Italia Meridionale, infatti Giovanni operò in Puglia mentre
Guglielmo avrebbe poi fondato il monastero e santuario di Montevergine.
Decise di andare in Palestina passando per Bari, la città in quel periodo
godeva di importante vivacità, da poco erano arrivate le reliquie di s. Nicola
(1087) e celebrato un Concilio presieduto dal papa Urbano II con eminenti
vescovi cattolici, ma tutto ciò non impediva il proliferare di disordini morali
e politici, allora Giovanni comprese che la sua Palestina era lì, in
Puglia.
Riprese le sue peregrinazioni, attirando tanta ammirazione dal popolo ma anche
tanti nemici al punto che corse il pericolo di essere bruciato vivo. Visitò i
suoi discepoli a Ginosa e proseguì per il Gargano, già celebre per il santuario
dell’Arcangelo Michele e lì vicino a Pulsano si fermò in una valle solitaria
insieme a sei discepoli.
Iniziò così una nuova comunità che in capo a sei mesi raggiunse l’aggregazione
di 50 monaci e acquistando gran fama. La Congregazione monastica detta degli
“Scalzi” si ingrandì ricevendo lasciti e terreni per cui fu aperta un’altra
casa presso la chiesa di s. Giacomo a Foggia e poi un monastero a Meleda in
Dalmazia di fronte alle coste del Gargano, lì fu inviato a reggerlo il monaco
Giovanni Bono, morto in concetto di santità.
Dopo dieci anni di conduzione e dopo aver guadagnato la stima del re Ruggero II
e del papa Innocenzo II morì nel monastero di Foggia il 20 giugno 1139 e lì
sepolto.
E’ stato il precursore, insieme ad altri movimenti religiosi sorti fra il X e
l’XI secolo, della vita penitenziale, povera ed associata che porterà al
sorgere degli Ordini mendicanti più organizzati e vasti.
La Congregazione di Pulsano, nel sec. XV era quasi estinta, ma restano i molti
frutti di santità prodotti dai suoi monasteri. Il corpo di s. Giovanni, da
Foggia fu poi trasportato a Pulsano e nel 1830 traslato nella cattedrale di
Matera di cui è compatrono e la cui festa si commemora il 23 giugno.
Le sacre reliquie del Santo Abate fondatore di S. Maria di Pulsano sono
custodite nella Cattedrale di Matera in una artistica urna dal 1830.
Autore: Antonio Borrelli
GIOVANNI da Matera, santo. -
Nacque intorno al 1080 a Matera; i nomi dei genitori non sono noti: è priva di
fondamento una tradizione locale che lo vuole membro della famiglia materana De
Scalcionibus; nulla di preciso sappiamo anche riguardo la loro estrazione
sociale ("non gregalibus", Vita, p. 2). Ancora ragazzo G. si allontanò in segreto dalla
famiglia per essere ospitato in un monastero di rito greco situato su una delle
isole prospicienti Taranto (probabilmente S. Pietro de Insula, o Ss. Pietro e
Andrea), ma qui il rigore della sua vita - ispirata a una rigida ascesi
eremitica - lo portò ad avere incomprensioni con i monaci tarantini, sino alla
decisione di fuggire nuovamente. Condusse, quindi, per oltre due anni una vita
di solitudine e penitenza in alcune località isolate di Calabria e Sicilia,
delle quali però non conosciamo i nomi. Dopo questa esperienza di rigida
privazione G. tornò in Lucania, presso Ginosa, dove pure i suoi genitori si
erano trasferiti, ma senza farsi da loro riconoscere; qui portò alle estreme
conseguenze la sua ascesi penitente, privandosi per due anni e mezzo quasi
completamente del cibo, delle bevande e dell'uso della parola. Solo a partire
da questo momento (da collocare intorno al 1100-10) iniziò l'attività di
predicazione e proselitismo di G., che si protrasse sino alla sua morte.
Nell'agro
ginosino, presso una chiesa intitolata a S. Pietro, fondò infatti una comunità
di tipo monastico, di cui però non conosciamo la regola seguita. Per il
restauro della chiesetta diruta G. avrebbe fatto ricorso a un tesoro rinvenuto
nei pressi dell'edificio, stuzzicando l'avidità e le ire del conte locale, un
Roberto non meglio noto. Questi lo fece imprigionare facendo probabilmente
riferimento per le accuse anche alla legislazione in materia di ritrovamento di
tesori. Comunque G. riuscì a liberarsi miracolosamente dalle catene e ad
allontanarsi dalla cittadina lucana.
Le
notizie biografiche su G. si desumono quasi esclusivamente da un testo
agiografico redatto da un anonimo monaco della comunità di Pulsano, scritto
qualche decennio dopo la morte del santo fondatore e comunque prima del 1177
(cfr. Bibliotheca hagiographica
Latina, I, n. 4411). Le informazioni
fornite sono nel complesso molto sommarie per la nascita e l'infanzia, mentre
diventano più dettagliate per gli anni della giovinezza e della maturità.
L'intera narrazione non sfugge comunque a una precisa organizzazione e
selezione del materiale narrato, secondo un intento celebrativo del modello di
vita monastico imposto da G. ai suoi monaci. Di qui anche il peso preponderante
che hanno nella economia del racconto i numerosi miracoli compiuti da G. dopo
la fondazione di Pulsano, nonché l'aggiunta di notizie preziose riguardanti le
vicende della comunità sotto l'abbaziato dei due primi successori, Giordano e
Gioele.
Oltre
qualche rada e sintetica menzione in fonti commemorative e liturgiche, alcuni
precisi riferimenti alla figura di G. si rinvengono comunque in un altro testo
agiografico, la Legenda s. Guillelmi (cfr. Bibliotheca
hagiographica Latina. Novum supplementum,
n. 8924) relativa a Guglielmo da Vercelli (m. 1142), il fondatore di S. Maria
di Montevergine e S. Salvatore al Goleto. Questo testo risulta composito e
opera di diversi autori, ma la sezione in cui compare G. venne redatta nel
decennio successivo alla morte di Guglielmo, nel monastero di S. Salvatore al
Goleto e quindi in tempi ancora molto vicini agli avvenimenti narrati e
riguardanti anche Giovanni da Matera. Sostanzialmente comunque questa fonte
conferma e arricchisce, senza contraddirlo, il quadro desumibile
dall'anonima Vita.
Solo
la Legenda parla di una apposita deviazione da parte di
Guglielmo da Vercelli, in transito alla volta di Gerusalemme, verso Ginosa per
conoscere G.; sarebbe stato lo stesso G. a invitare poi Guglielmo a fermarsi
stabilmente nel Mezzogiorno, senza insistere nei piani di pellegrinaggio
Oltremare. Il tono della narrazione lascia intendere un rapporto quasi da
discepolo di Guglielmo nei confronti di G. (definito "magni meriti
magnique nominis vir" nella Legenda, p. 89), che si mantenne saldo anche negli anni
seguenti.
Non
bisogna però dimenticare che, da parte sua, G. subiva il fascino della
itineranza eremitica, tanto che anche lui si allontanò da Ginosa e dai suoi
primi discepoli e per un anno ancora vagò nel Mezzogiorno, giungendo sino a
Capua; qui una rivelazione divina lo indusse a tornare in Puglia perché suo
compito era quello di guidare sulla retta via "multum populum utriusque
sexus" (Vita, p. 11). La prima tappa in questo ritrovato percorso fu
sul monte Laceno, presso Bagnoli Irpino e Nusco, dove G. incontrò ancora una
volta Guglielmo da Vercelli. Qui vi fu la tentazione manifesta di insediarsi
stabilmente, ma in entrambe le fonti agiografiche si pone in risalto
l'intervento di G. per convincere il gruppetto di eremiti ad abbandonare quel
luogo e volgersi verso terre più densamente abitate. In questa prospettiva non
poteva essere soddisfacente per G. il nuovo sito prescelto, sul massiccio della
Serra Cognata nei pressi di Tricarico, nel versante nord della valle del
Basento; infatti qui G. si fermò solo il tempo necessario per aiutare Guglielmo
e i suoi compagni a costruirsi un primo ricetto, optando subito dopo per una attività
di predicazione che avesse un pubblico più ampio rispetto a quello delle
sparute comunità montane.
La meta
di G. fu la città di Bari, già capoluogo del Catapanato bizantino e ancora il
centro urbano più importante della Puglia normanna; qui fu attivo intorno al
1127-28.
Sebbene
la sua predicazione pare aver avuto solo carattere parenetico, con l'invito
alla sobrietà, alla castità e alla carità, in realtà essa dovette toccare
qualche nervo scoperto nel clero barese, che si sentì direttamente attaccato.
Pare piuttosto improbabile che G. abbia ricevuto una qualche licenza di
predicazione, sul modello di contemporanei predicatori itineranti attivi
Oltralpe; a ogni modo l'agiografo riporta con certezza la notizia di un
processo intentato contro di lui dai chierici baresi per blasfemia e sospetto
di eresia, senza fare riferimento alla liceità della sua predicazione. Il
processo venne alla fine presieduto però da un laico, il principe Grimoaldo
Alfaranite, che in quegli anni (1119-30) stava cercando di imporre la sua
autorità all'interno del gruppo dirigente barese al fine di liberarsi del
residuo controllo dei duchi normanni di Salerno. L'esito del processo fu
favorevole, con la prevedibile e piena assoluzione di G., che preferì tuttavia
allontanarsi prudentemente dalla città.
In un
primo momento egli si recò a far visita ai suoi primi discepoli che erano
rimasti nella comunità di S. Pietro di Ginosa, ma poi si fermò nei pressi di
Monte Sant'Angelo, scegliendo ancora una volta un centro urbano ad alta
frequentazione; la cittadina garganica infatti si sviluppava in funzione della
celebre grotta micaelica, uno dei santuari più frequentati in Europa, che
proprio in quei decenni cominciava a subire, in terra di Puglia, la concorrenza
di S. Nicola di Bari, dove già G. si era pure fermato. Anche a Monte
Sant'Angelo il comportamento di G. non pare essere stato molto difforme
rispetto a quello tenuto a Bari, in quanto egli si dedicò alla predicazione,
sino al compimento del suo primo miracolo: riunita una larga parte della
popolazione fuori della città, tenne una predica in cui spiegò che la siccità
che stava affliggendo la regione era causata dal peccato commesso da un
canonico impenitente. Dietro la minaccia di G. di procedere egli stesso alla
punizione, il canonico avrebbe fatto pubblica penitenza abbandonando la città.
Ma anche G., che pure aveva miracolosamente risolto il problema della siccità,
preferì allontanarsi dal Gargano, facendovi ritorno solo dopo un anno, per
fondarvi la sua nuova e più importante comunità monastica.
La
scelta del sito per la fondazione venne indicato da due figure soprannaturali
apparse a G. e nelle quali è facile riconoscere la Vergine e s. Michele,
elevati quindi a santi patroni del nuovo insediamento. Il luogo prescelto,
denominato Pulsano, era un piccolo pianoro terminante a strapiombo sul golfo di
Manfredonia; al suo limite vi era una grotta, che forse già ospitava una
piccola chiesa rupestre dedicata a Maria, trasformata da G. nella prima chiesa
della nuova comunità.
È priva
di fondamento la notizia riguardante l'esistenza nello stesso luogo nei secoli
precedenti di altre comunità monastiche, di cui una risalirebbe all'epoca e
alla cerchia di papa Gregorio I, e l'altra dipendenza cluniacense. Tutto lascia
invece supporre che fu G. a introdurre per primo la vita monastica intorno alla
grotta di Pulsano.
La
fondazione di G. incontrò gli immediati favori della popolazione locale, nonché
di coloro che erano desiderosi di condurre vita monastica: nel giro di sei mesi
i suoi compagni crebbero dagli originari sei fino a cinquanta. Oltre alla fama
di santità che circondava la figura del fondatore, anche la vicinanza del
santuario micaelico ebbe sicuramente un suo rilievo nel determinare il rapido
accrescersi della notorietà della nuova fondazione. Molti sono i miracoli
compiuti da G., e riportati nella Vita, che hanno come destinatari in primo luogo i suoi
discepoli. G. guarì un giovane colpito da macerie durante la costruzione degli
edifici monastici, e convinse i genitori di un altro a non opporsi alla
vocazione monastica del loro figlio; molto probabilmente quest'ultimo è il
Gioele più tardi attestato come terzo abate di Pulsano.
Sin
dagli esordi G. scelse per i monaci di Pulsano la regola benedettina, ma
insistette soprattutto nel restituire valore al lavoro manuale, alla stretta
osservanza della povertà individuale, alla necessità di prestare obbedienza
assoluta all'abate. Certamente G. dovette mantenere viva una preferenza per la
vita eremitica, sia pure inquadrata all'interno di un cammino di formazione e
perfezione che nella vita cenobitica trovava il suo solido fondamento. In
questo recupero della vocazione eremitica ebbe probabilmente un certo influsso
anche l'esperienza fatta in gioventù in comunità monastiche greche e in
territori calabro-siculi di netta tradizione greca; l'anonimo agiografo - fonte
pressoché unica sugli esordi della comunità di Pulsano - tende a tacere, se non
sminuire, questi possibili rapporti. Non abbiamo comunque frammenti di
"consuetudini" monastiche fatte redigere da G. per i suoi monaci,
anche se nella documentazione posteriore si fa allusione a una loro esistenza.
La
comunità di discepoli - maschi e femmine - si allargò molto rapidamente e per
questo G. fondò ben presto delle comunità separate da quella centrale di
Pulsano. Si crearono così i primi priorati dipendenti dalla casa madre di
Pulsano, con la quale intrattenevano uno stretto rapporto di dipendenza,
secondo un modello di congregazione a forte impronta centralizzante di tipo
cluniacense-cavense. L'urgenza di dare un qualche sbocco alla crescente ondata
di vocazioni femminili era particolarmente sentita dai riformatori monastici
dell'XI-XII secolo e G., come pure il suo compagno Guglielmo da Vercelli, si
mossero in questa direzione, provvedendo entrambi a fondare monasteri
femminili. In particolare G. fondò una prima comunità sul Gargano, presso una
chiesa precedentemente tenuta da un laico che vi conviveva con una monaca; è
probabile che qui fosse ospitata la comunità di S. Barnaba, attestata come
ancora fiorente nella Vita, ma non documentata altrimenti. Altre comunità femminili
dipendenti da Pulsano - la più importante è quella di S. Cecilia presso Foggia
- sono attestate in fonti posteriori alla morte di Giovanni da Matera.
Non ci
sono giunti documenti riguardanti i rapporti del nuovo monastero con
l'arcivescovo di Siponto, dalla cui diocesi il monastero dipendeva, anche se
ben presto le comunità pulsanesi ottennero l'esenzione. Un primo privilegio
pontificio, perduto, venne concesso da Innocenzo II alla comunità, ma non
sappiamo se direttamente allo stesso Giovanni. Nuovi privilegi vennero in
seguito concessi da Eugenio III e da Alessandro III; solo quest'ultimo
privilegio, datato al 9 febbr. 1177, ci è giunto e fornisce alcuni elementi per
conoscere indirettamente i rapporti intercorsi all'epoca di Giovanni. Nel
privilegio il papa - sull'esempio dei predecessori - prende sotto la sua
protezione la comunità di Pulsano, elencandone le dipendenze e confermando il
diritto di correzione da parte dell'abate di Pulsano nei confronti di tutte le
altre comunità elencate; stabilisce inoltre la libertà di scelta del vescovo
per consacrazione e olio santo, nonché l'esenzione dal pagamento della decima
per i proventi del lavoro diretto dei monaci; in riconoscimento della protezione
della Sede apostolica Pulsano si impegna al versamento del censo di due
bisanti.
Più
ambigue sono le notizie riguardanti i rapporti con la monarchia normanna. Non è
infatti chiaro se vi fossero rapporti di dipendenza determinati da una
originaria proprietà demaniale dell'area su cui sorse il monastero, né se il re
Ruggero II avesse operato cospicue donazioni in favore della comunità. Da
alcuni episodi narrati nella sezione finale della Vita si desume che
vi fu un tentativo da parte di Ruggero II di estendere il proprio controllo
anche su questo monastero, a partire dal controllo delle elezioni abbaziali,
secondo una prassi ben attestata per altri istituti ecclesiastici del Regno.
Anche se la Vitasostiene che il re rinunciò alle sue pretese, sappiamo
che comunque Pulsano, insieme con l'Honor
Montis Sancti Angeli, entrò a far parte
del dovario delle consorti regie a partire dal 1177, con Giovanna d'Inghilterra
moglie di Guglielmo II.
Nel suo
ruolo di abate di tutte le comunità pulsanesi G. dovette spesso spostarsi nei
diversi priorati per esercitare concretamente le sue funzioni; proprio durante
uno di questi spostamenti lo colse la morte il 20 giugno 1139 presso la
dipendenza di S. Giacomo nei pressi di Foggia.
Questo
priorato era situato fuori dell'abitato di Foggia, lungo la strada che portava
verso Siponto e San Michele al Gargano, tanto che da fonti posteriori sappiamo
che esso comprendeva anche un ospizio per pellegrini. Proprio in virtù di
questa fortunata dislocazione sulla via di San Michele si preferì forse
lasciare che il corpo di G. restasse in questo priorato, invece di essere
subito traslato nella più decentrata e non ancora famosa casa madre di Pulsano.
Una tradizione di età moderna vuole che il corpo sia stato infine trasportato a
Pulsano nel gennaio del 1177, in occasione del passaggio per le terre
garganiche di papa Alessandro III. I resti di G. restarono dunque dopo il XIII
secolo nel monastero di Pulsano, anche se qualche particola del corpo venne
ceduta ad altri istituti ecclesiastici. Solo il 28 ott. 1830 i canonici
materani riuscirono a ottenere il consenso per la traslazione del corpo di G.
dall'ormai abbandonato monastero di Pulsano nella cattedrale di Matera, dove
tuttora le reliquie sono sistemate sotto l'altare a lui dedicato.
Lo
sviluppo della famiglia monastica pulsanese venne coordinato dai due successori
di Giovanni. Il primo, Giordano (1139-45), nativo di Monteverde (nell'attuale
provincia di Avellino), era entrato sin da ragazzo tra i discepoli di G. e si
collocava quindi in linea di stretta continuità con il fondatore. Alla sua
iniziativa si devono gli insediamenti in Dalmazia e a Piacenza, con
l'assunzione di precisi riferimenti al sistema organizzativo proprio
dell'Ordine cistercense. Più lungo e intenso fu l'abbaziato del suo successore,
Gioele (1145-77), anch'egli legato da rapporti di discepolato diretto con G.,
secondo quanto affermato dalla Vita, di cui peraltro fu verosimilmente il committente. Al
momento della morte di Gioele Pulsano contava dodici dipendenze nell'area
pugliese, insieme con altre due dipendenze più lontane, S. Pietro di Cellaria a
Calvello e S. Pietro di Vallebona presso Manoppello in Abruzzo. Fuori dei
confini del Regno di Sicilia vi erano altre sei dipendenze, tutte con il rango
di abbazie: S. Maria nell'isola di Meleta presso Dubrovnik, S. Salvatore sulla
Trebbia presso Piacenza, S. Michele degli Scalzi presso Pisa, S. Michele a
Guamo presso Lucca, S. Maria di Fabroro presso Firenze, S. Pancrazio sulla via
Aurelia. Dopo il 1177 e per gran parte del XIII secolo scarseggiano le notizie
relative alle comunità meridionali pulsanesi; mentre dalla fine del secolo
emerse un ruolo più decisamente predominante delle comunità toscane, specie
quella di Pisa, che divenne una sorta di centro alternativo per la congregazione.
Nel XIV secolo la crisi divenne comune a tutti gli insediamenti, sino a che
pressoché tutte le comunità furono cedute in commenda o comunque abbandonate
dai monaci.
Fonti e Bibl.: Acta sanctorumIunii,
V, Parisiis-Romae 1867, pp. 33-50; Vita
s. Ioannis a Mathera abbatis Pulsanensis Congregationis fundatoris ex
perantiquo ms. codice Matherano, a cura
di A. Pecci - L. Mattei Cerasoli, Putignano 1938; Legenda de vita et obitu s. Guilielmi confessoris et heremite, a cura di G. Mongelli, Montevergine 1979, pp. 89,
96-98; M. Villani, Il Necrologio e il Libro
del capitolo di S. Cecilia di Foggia (erroneamente attribuiti a S. Lorenzo di
Benevento), in La Specola, 1992-93, pp.
9-84; P. Sarnelli, Cronologia de' vescovi e
arcivescovi sipontini, Manfredonia
1680, pp. 75, 100, 214; F.P. Volpe, Memorie
storiche, profane e religiose su la città di Matera, Napoli 1818, pp. 42-45; Id., Vita di s. G. da M.,
Potenza 1831; L. Mattei Cerasoli, La
Congregazione benedettina degli eremiti pulsanesi, Badia di Cava 1939; B. Vetere, Il filone monastico eremitico e l'Ordine pulsanese, in L'esperienza
monastica benedettina e la Puglia, I,
Galatina 1983, pp. 197-244; A. Vuolo, Monachesimo
riformato e predicazione: la "Vita di s. G. da M." (sec. XII), in Studi medievali, XXVII (1986), pp.
69-121; D. Osheim, A Tuscan monastery and its social world, Roma 1989, ad indicem; F. Panarelli, Dal Gargano alla Toscana:
il monachesimo riformato latino dei pulsanesi (secoli XII-XIV), Roma 1997; Bibliotheca hagiographica
Latina,
I, nn. 4411 s.; Bibliotheca hagiographica Latina. Novum supplementum, p.
489; Bibliotheca sanctorum, VI, coll. 825-828.