mardi 29 août 2017

Vénérables DOLORES OLLER ANGELATS, JOSEFA MONRABAL MONTANET et CATALINA MARGENTA ROURA, religieuses et martyres



Vénérables Dolores Oller Angelats et ses 2 compagnes

Religieuses espagnoles ( 1936)

Le 23 janvier 2015, le Pape a ordonné la promulgation des décrets relatifs au martyre de la servante de Dieu Fidelia (Dolores Oller Angelats) et de ses deux compagnes, religieuses espagnoles (Sœurs de St. Joseph de Girona), tuées en haine de la foi le 26 et le 29 août 1936 pendant la guerre civle espagnole.

María Dolores Oller Anglats (Fidela), Josefa Monrabal Montaner et Catalina Margenta Roura (Facunda) ont été tuées le 30 août 1936 dans la ville de Valence de Xeresa.

Mère Fidelia Oller a exercé son apostolat auprès des malades; en 1927, elle a fondé à Gandía une maison de l'institut des Sœurs de Saint Joseph de Gérone et a été supérieure de la communauté.

Mère Josefa Monrabal après ses vœux en 1931 travaillait à Villareal auprès des malades.

Mère Facunda Margenat, née à Gérone en 1876 exerçait également auprès des malades pour lesquels elle avait une immense compassion, depuis 1929, elle était à Barcelone.


En espagnol:





SOURCE : http://nominis.cef.fr/contenus/saint/12966/Venerables-Dolores-Oller-Angelats-et-ses-2-compagnes.html

BBses Fidela Oller Angelats (1869-1936)

Josefa Monrabal Montaner (1901-1936)

Facunda Margenat Roura (1876-1936)

Religieuses et martyres de la Congrégation 
“Hermanas de San José de Gerona”
Sœurs de San José de Gerona”



Martyrologe Romain : dans diverses villes d’Espagne, les Bienheureuses Fidela (au siècle Dolores Oller Angelats) et deux compagnes, Josefa Monrabal Montaner et Facunda Margenat Roura, religieuses de l’Institut des Sœurs de San José de Gerona, tués en haine de la foi, entre le 26 et le 29 août 1936, pendant la guerre civile espagnole.

Mère Fidela Oller Angelats, née le 17 septembre 1869 a Bañolas (Gerona, Espagne) a exercé son apostolat auprès des malades; en 1927, elle a fondé à Gandía une maison de l'institut des Sœurs de San José de Gerona et a été supérieure de la communauté.

Sœur  Josefa Monrabal Montaner naît à Gandía (Valencia, Espagne) le 3 juillet 1901. Après ses vœux en 1931 travaillait à Villareal auprès des malades.

Sœur Facunda Margenat Roura, née à Gerona le 9 septembre 1876, exerçait également auprès des malades pour lesquels elle avait une immense compassion ; depuis 1929, elle était à Barcelone.

Trois infirmières innocentes qui se consacraient entièrement aux malades ou à des projets sociaux sans aucune connotation politique. Des femmes simples, issues du peuple. Alors qu’elles ne menaçaient personne, les trois moniales furent parmi les premières victimes des persécutions religieuses de l’été 1936.

Le 23 janvier 2015, le Pape François a ordonné la promulgation des décrets relatifs au martyre des trois religieuses de l’Institut de Saint-Joseph de Gerona, tuées pour leur fidélité au Christ et à l’Église en août 1936.

Fidela Oller Angelats, Josefa Monrabal Montaner et Facunda Margenat Roura ont été béatifiées le 5 septembre 2015 dans la Cathédrale Sainte-Marie de Gerona (Espagne). La cérémonie a été présidée, au nom du pape François (Jorge Mario Bergoglio, 2013-), par le cardinal Angelo Amato, préfet de la Congrégation pour la cause des saints.


Sources principales: beatificacionmartiresirsjg.org; news.va/fr/news/ (“RIV./gpm”).

©Evangelizo.org 2001-2017


Blessed Maria Dolores Oller Angelats

Also known as
  • Fidela
Profile


Born

Blessed Josefa Monrabal Montaner

24 January 2015, 5:03 pm

Profile


Born

Blessed Caterina Margenat Roura

24 January 2015, 4:18 pm

Also known as
  • Facunda
Profile


Born
  • late August 1936 on L’Arrabasada highway, Barcelona, Spain

Beata Fidelia (Dolores) Oller Angelats Vergine e martire



Bañolas, Gerona, Spagna, 17 settembre 1889 – Xeresa, Valencia, Spagna, 29 agosto 1936

Dolores Oller Angelats, figlia di un piccolo industriale della ceramica di Bañolas, presso Gerona in Spagna, si sentì chiamata alla consacrazione religiosa nelle Suore di San Giuseppe di Gerona, giunte nella sua città per prestare servizio nell’ospedale del posto. Dopo alcuni mesi, uscì dal noviziato per aiutare la madre rimasta vedova e i suoi fratelli più piccoli, ma non si sentiva pienamente felice: rientrò quindi in noviziato il 12 maggio 1892, cambiando il nome con quello di suor Fidelia. Fu superiora in varie comunità della sua congregazione, spendendosi per gli ammalati e per le sue consorelle. Allo scoppio della guerra civile spagnola, si trovava a Gandía. Fuggì da un’abitazione privata all’altra, raggiunta nel frattempo da suor Josefa Monrabal Montaner, che non l’abbandonò nemmeno quando fu scoperta dai miliziani. Furono fucilate il 29 agosto 1936 a Xeresa. Sono state beatificate insieme alla consorella Faconda Margenat Roura (al secolo Catalina, uccisa a Barcellona tre giorni prima), il 5 settembre 2015,nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona. I resti mortali di madre Fidelia e suor Josefa sono venerati presso la cappella della comunità delle Suore di San Giuseppe di Gerona a Gandía.

Nacque a Bañolas presso Gerona, in Catalogna, il 17 settembre 1869, primogenita dei quattro figli nati da Lorenzo Oller Verdaguer e Margarita Angelats Frigola. Al Battesimo, ricevuto lo stesso giorno della nascita nella parrocchia di Santa Maria dels Turers, le vennero imposti i nomi di Dolores, Margarita e Teresa. Due mesi dopo ricevette il sacramento della Confermazione per mano di monsignor Constantino Bonet, vescovo di Gerona.


Il padre aveva ereditato l’industria di famiglia, dedita alla fabbricazione della ceramica e di altri articoli in cotto. Insieme alla moglie, educò quindi i figli nell’amore per Dio e per il lavoro.

Dolores trascorse l’infanzia a Bañolas, dove frequentò anche le scuole elementari, imparando a leggere, scrivere, far di conto e ricamare. La sua formazione religiosa si svolse prima in famiglia, poi in parrocchia.

Il 14 luglio 1880 giunsero in città alcune Suore di San Giuseppe di Gerona, affinché si prendessero cura degli ammalati nell’ospedale adiacente al convento di Santo Stefano. Fu un piccolo evento per la tranquilla cittadina, ma anche per Dolores, che aveva undici anni. Ben presto si sentì attratta dallo stile delle suore e, sette anni dopo, comprese che quella era la sua vocazione.

Nel 1888, però, venne a mancare suo padre Lorenzo, a 46 anni, per aver contratto una grave malattia mentre assisteva un parente. La giovane prese seriamente l’impegno di assistere il nonno, i tre fratelli e la madre, la quale non aveva mai smesso di pregare perché il Signore ottenesse il dono della vocazione religiosa per qualcuno dei suoi figli. 

Dolores, aiutata dal suo direttore spirituale, era convinta che il suo posto fosse tra le Suore di San Giuseppe, ma dopo pochi mesi scelse di lasciare il noviziato: la responsabilità di figlia maggiore e il ricordo della famiglia la facevano sentire incapace di abbracciare quella forma di vita. Tornò a casa, ma non si sentiva tranquilla: una volta fu sorpresa dal fratello Salvador (poi religioso dei Fratelli Maristi col nome di fratel Doroteo) mentre, rintanata in un angolo della cucina, dava sfogo alle lacrime. Aiutata a discernere dai familiari, decise di tornare a Gerona per il noviziato.

Riprese il suo cammino il 12 maggio 1892, cambiando il nome ricevuto al Battesimo con quello di suor Fidelia, perché intendeva chiedere al Signore la grazia di restargli fedele fino alla fine. Nello stesso anno, vestì l’abito religioso con altre nove compagne. Da allora cominciò la sua formazione sotto la guida della maestra delle novizie, suor Maria Vinardell, che aveva vissuto a lungo con la Fondatrice, Maria Gay Tibau (Venerabile dal 2013).

Trascorsi i due anni del noviziato, compì la sua prima professione il 17 novembre 1894, a venticinque anni, insieme a due connovizie. La professione perpetua, invece, si svolse il 13 ottobre 1902. Svolse il suo apostolato sia negli ospedali sia in case private, alleviando i dolori degli ammalati e procurando che ricevessero i Sacramenti se in pericolo di vita. Il suo primo incarico fuori da Gerona fu nella città di Olot, mentre dal 1911 fu superiora della comunità di Malgrat de Mar. Nell’agosto 1917 passò a Camprodón e nel 1921 venne incaricata di presiedere la casa di Palamós, dove ritrovò suor suor Faconda (al secolo Catalina) Margenat Roura, che aveva già incontrato a Malgrat de Mar.

In tutti i suoi servizi fu molto apprezzata dagli ammalati, che trattava con tenerezza e comprensione, ma anche dalle consorelle, per la sua religiosità e dedizione. Trascorreva i momenti di vita comune con semplicità, ad esempio raccontando serenamente la sua uscita prima di cominciare il noviziato. Non dimenticò la sua famiglia, ai membri della quale indirizzò lettere affettuose e piene di raccomandazioni.

Nel 1927 fu incaricata del superiorato aGandía, nella provincia di Valencia. Era un compito diverso dai precedenti, poiché si trattava di una nuova fondazione, ma lo svolse con responsabilità. Per questo motivo, la gente del quartiere dove sorgeva la casa dove le suore si stabilirono prese a volerle molto bene.

Dopo sette anni, tuttavia, iniziò a serpeggiare uno strano sentimento anticlericale. Le suore garantirono la loro assistenza senza distinzioni politiche, però madre Fidelia prese a nutrire dei sospetti. Durante una visita della Superiora generale, le suggerì di preparare degli abiti secolari perché le suore, nel corso delle loro visite a domicilio, avevano cominciato a essere insultate.

Col sollevamento militare di una parte dell’esercito contro il governo della Repubblica spagnola, il 19 luglio 1936, ebbe inizio la guerra civile. Anche a Gandía vennero incendiate chiese, come l’antica Collegiata, e arrestati sacerdoti e laici.

Non ci fu più pace nemmeno per le Suore di San Giuseppe, continuamente minacciate di morte e soggette a perquisizioni da parte dei miliziani, che miravano particolarmente alla superiora. Durante la notte, però, uscivano per badare agli ammalati, lasciando madre Fidelia da sola. Qualche vicina provò a farle compagnia, ma, sentendosi osservata, non tornò da lei, che prese a trascorrere notti insonni, in preda a terribili presentimenti.

Per questo motivo e per il fatto che, durante le spiacevoli visite, era colei che subiva maggiormente insulti, le consorelle cercarono un rifugio per lei. Dapprima fu ospitata in casa di Mercedes Rovira, il cui figlio Benedicto era un capo dei miliziani, ma era grato a madre Fidela per aver badato a lei. Dopo un paio di giorni, per non mettere in pericolo la padrona di casa, passò in un’altra abitazione della stessa strada, domicilio del signor Tormo e famiglia, dove fu sistemata al piano superiore.

Nel frattempo un’altra suora di San Giuseppe, suor Josefa Monrabal Montaner, arrivò a Gandía per rifugiarsi da sua madre. Dopo averla trovata, andò dalle consorelle e notò la situazione di pericolo in cui versavano. Chiese di madre Fidelia, ma non si trovava più lì. Indirizzata dalle altre suore al suo rifugio, le chiese, insieme a sua madre, di rifugiarsi in casa di suo fratello Andrés. Di fronte a quell’insistenza, dovette cedere.

Nel nuovo ricovero le due religiose trascorsero pochi giorni, senza mai uscire, continuamente immerse nella preghiera. Per i pasti, calavano un cestino al piano inferiore e lo tiravano su quando arrivava il cibo da parte della madre di suor Josefa.

In una notte di agosto, mentre la famiglia che abitava al piano di sotto stava cenando sulla porta di casa, si presentarono alcuni miliziani, scesi da un’automobile tristemente nota come “La Pepa”. Impaurito dalle loro minacce, il capofamiglia, José María Aparisi, li lasciò forzare la porta delle scale: salirono al piano superiore e prelevarono le suore, le quali, al sentirli arrivare, aprirono personalmente. Furono caricate sull’auto con tale violenza che a madre Fidelia fu spezzato un braccio.

I persecutori volevano portar via solo la madre superiora, ma suor Josefa non voleva separarsi da lei. Fu avvertita di non farlo, perché rischiava di fare la sua stessa fine, ma ribatté: «Dove va la madre vado anch’io, non l’abbandono». Con loro fu catturato il signor Aparisi, poi rilasciato lungo la strada grazie a “ElReyet”, un miliziano che lo conosceva.

La vettura, giunta all’incrocio tra la strada per Valencia e quella per Xeresa, nel punto detto “La Crehueta”, si fermò. In quello stesso luogo le suore furono colpite: madre Fidelia fu raggiunta da uno sparo nella spalla e da uno nella tempia destra, mentre suor Josefa ebbe una forte emorragia per essere stata ferita sul lato sinistro del collo e nella regione lombare.

I vicini, che si erano rifugiati in casa per paura, udirono gli spari nella notte; poco dopo, qualcuno avvertì dei gemiti di dolore, poi più nulla. Al mattino dopo, trovarono i cadaveri delle due suore, che rimasero sul luogo del martirio fino al mattino inoltrato del 30 agosto 1936. A mezzogiorno, furono prelevati per essere sepolti nel cimitero di Xeresa.

Terminata la guerra, nel 1939, i resti delle due religiose vennero riesumati e collocati nel cimitero di Gandía. Attualmente si trovano nella cappella della comunità delle Suore di San Giuseppe di Gerona a Gandía.

La causa di beatificazione di madre Fidelia e suor Josefa fu unita a quella della già citata suor Faconda Margenat Roura, morta pochi giorni prima nei pressi di Barcellona. Ottenuto il trasferimento dalla diocesi di Barcellona il 18 maggio 2001 e il nulla osta da parte della Santa Sede due settimane dopo, fu avviata l’inchiesta diocesana a Valencia, durata dal 24 novembre 2001 all’11 gennaio 2003 e convalidata il 28 marzo 2003. La “Positio super martyrio” fu trasmessa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi nel 2004.

A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, il 10 dicembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 22 gennaio 2015 il decreto che riconosce tutte e tre le suore come martiri.

La loro beatificazione si è svolta il 5 settembre 2015 nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona, presieduta dal cardinal Angelo Amato come inviato del Santo Padre.



Autore: Emilia Flocchini



Beata Faconda (Catalina) Margenat Roura Vergine e martire



Gerona, Spagna, 9 settembre 1876 – Barcellona, Spagna, 26 agosto 1936

Catalina Margenat Roura entrò a diciott’anni tra le Suore di San Giuseppe di Gerona, fondate dalla Venerabile Maria Gay Tibau proprio nella sua città natale, assumendo il nome di suor Faconda. Esercitò nel silenzio e nell’umiltà i compiti specifici del suo Istituto, ossia l’assistenza degli ammalati a domicilio e negli ospedali. Nell’infuriare della guerra civile spagnola, fu catturata mentre, convalescente dopo una grave malattia, accudiva un malato in casa sua. Fu ritrovata cadavere lungo la strada che conduce all’ippodromo di Barcellona la mattina del 27 agosto 1936. È stata beatificatail 5 settembre 2015nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona, insieme alle consorelle madre Fidelia (al secolo Dolores) Oller Angelats e suor Josefa Monrabal Montaner, uccise il 29 agosto 1936 a Xeresa. I suoi resti mortali sono stati seppelliti in una fossa comune del cimitero di Barcellona.

Nacque a Gerona, in Catalogna, il 9 settembre 1876. Era l’ultima dei cinque figli, tre dei quali morti in età infantile, di Domingo Margenat, militare, e Rosa Roura. Fu battezzata pochi giorni dopo la nascita presso la parrocchia di Santa Susanna del Mercatal, coi nomi di Catalina, Maria e Rosa. Ricevette la Cresima per mano del vescovo di Girona, monsignor Isidro Valls, quando aveva appena sette mesi, l’8 aprile 1877.


Trascorse un’infanzia abbastanza tranquilla: il padre, lasciato l’esercito, lavorava come contadino nei campi vicini a casa, poi fece traslocare la famiglia in un’abitazione più vicina al centro della città, così da agevolare la frequenza scolastica delle figlie.

Catalina divenne una giovane semplice e religiosa, stando a quel che si deduce dalla sua appartenenza alla confraternita dell’Addolorata. Con sua sorella Teresa, imparò dalla madre i lavori domestici.

Conosceva da tempo le Suore di San Giuseppe, fondate nella sua città da madre Maria Gay Tibau (Venerabile dal 2013), e ne ammirava la dedizione nell’assistenza ospedaliera e a domicilio degli ammalati. Tuttavia, prima che entrasse a farne parte, passò del tempo, in quanto i familiari non ritenevano sufficientemente chiara la sua vocazione.

Appena capì che quella era la sua strada, entrò come aspirante a diciott’anni, mentre il 6 marzo 1896 cominciò il noviziato. Secondo l’uso, cambiò il nome di Battesimo, assumendo quello di suor Faconda. Trascorsi gli anni prescritti, compì la prima professione l’11 aprile 1868, insieme a tre compagne di noviziato. Alcuni anni dopo, professò i voti perpetui: nel frattempo, il 3 marzo 1899, morì suo padre.

La sua prima destinazione fu la comunità di Malgrat de Mar, dove s’imbatté in suor Fidelia (al secolo Dolores)OllerAngelats. A distanza di anni, la gente del luogo ricordava ancora la sua grande carità, insieme all’umiltà e all’austerità, accentuate dalle condizioni precarie in cui versava l’ospedale dove operava. Dopo i voti perpetui, passò alla comunità di Palafrugell, distinguendosi per dedizione e attenzione agli ammalati, secondo lo spirito dell’Istituto. A Palamós, invece, trascorse gli anni fino al 1924, nuovamente fianco a fianco con suor Fidelia. In seguito fu trasferita a Sant Feliu de Guixols, lasciando un buon ricordo di sé per la discrezione e la prudenza con cui trattava i suoi pazienti.

Dal 1929 fu a Barcellona, nella comunità di calle Mallorca. Aveva ormai una certa esperienza, quindi non si perse d’animo nell’affrontare la grande città dove, tuttavia, s’iniziava a percepire uno strano sentire antireligioso. L’apostolato delle suore, tuttavia, passava quasi inosservato, in quanto era esercitato perlopiù di notte, senza distinzioni ideologiche.

Nel mezzo della sua attività, suor Faconda cominciò a notare che le forze le venivano meno: dovette essere ricoverata nella clinica di Nostra Signora del Rimedio, gestita dalle sue consorelle. Le sue condizioni erano diventate tanto gravi che fu necessario riferirle ai suoi nipoti. Tuttavia, si riebbe e tornò in comunità per la convalescenza.

Nel frattempo, la situazione a Barcellona era diventata più complicata per le numerose rivolte iniziate nel 1931 e continuate nel 1934. Suor Faconda, che ormai si era ristabilita, domandò alla superiora di poter tornare a curare gli ammalati. Per non farla affaticare e consentirle di partecipare alla vita comunitaria, le assegnò un malato che abitava nella stessa strada dove sorgeva la loro casa.

Quando rientrava, commentava con le altre suore riguardo quello che osservava nel tragitto e lo stesso facevano le altre, che sentivano parlare sempre più spesso di conventi bruciati, sacerdoti perseguitati e altri terribili eventi. Suor Faconda, che abitualmente era silenziosa, commentava: «Vorrei dare la vita perché si convertano questi assassini che vanno contro Dio e contro la Chiesa! Sorelle, preghiamo per la loro conversione».

Il 19 luglio 1936, con il sollevamento nazionale, ebbe inizio la guerra civile spagnola. A Barcellona la persecuzione fu particolarmente violenta: perciò, le suore dovettero adottare abiti secolari, presi in prestito dalle stesse famiglie dei loro ammalati, presso le quali si rifugiarono per la maggior parte. Quelle rimaste dovettero subire, nel mese di agosto, il saccheggio e l’espulsione senza poter tornare indietro. La superiora non poté quindi recuperare il libriccino dove aveva annotato i nomi e le destinazioni delle suore in visita a domicilio, inclusa suor Faconda, che, da poco reduce dall’operazione, le destava maggiori preoccupazioni.

Quanto a lei, stava curando Joaquín Morales Martí, che viveva con le figlie e le nipoti al primo piano di una casa al numero 259 di calle Mallorca. Dato che le altre donne di casa erano più giovani di lei, dovette ricevere in prestito abiti della sua taglia dalla vicina del piano superiore, Rosa Portas.

Rimase accanto al malato accudendolo, pregando, parlando con lui, senza allontanarsi mai dal suo capezzale. La sua presenza fu però scoperta dalla portinaia, che involontariamente svelò la sua identità al marito. Alcuni giorni dopo un gruppo di miliziani, con in testa il marito della portinaia, fecero irruzione nella stanza e, senza curarsi né del malato né dell’età avanzata della religiosa, la portarono via. Dato che faceva fatica a scendere le scale, la spinsero facendola cadere e causandole la frattura della mandibola, poi la caricarono in automobile. Il signor Joaquin, dopo giorni e giorni senza saper nulla della sua infermiera, si sentì abbandonato e si lasciò morire di fame.

Alle 10 di mattina del 27 agosto 1936 il cadavere di suor Faconda fu condotto all’obitorio dell’ospedale clinico di Barcellona, dopo essere stato ritrovato sulla strada dell’Ippodromo, tra il Montjuic e il mare. Dato che nessuno venne a riconoscerlo, venne seppellito in una fossa comune del cimitero di Barcellona.

La sua causa di beatificazione di suor Faconda fu unita a quella della già citata madre Fidelia, che, insieme a suor JosefaMonrabal Montaner, fu uccisa il 29 agosto 1936nei pressi di Valencia. Ottenuto il trasferimento dalla diocesi di Barcellona il 18 maggio 2001 e il nulla osta da parte della Santa Sede due settimane dopo, fu avviata l’inchiesta diocesana per tutte e tre a Valencia, durata dal 24 novembre 2001 all’11 gennaio 2003 e convalidata il 28 marzo 2003. La “Positio super martyrio” fu trasmessa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi nel 2004.

A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, il 10 dicembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 22 gennaio 2015 il decreto che riconosce madre Fidelia e compagne come martiri.La loro beatificazione si è svolta il 5 settembre 2015nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona, presieduta dal cardinal Angelo Amato come inviato del Santo Padre.



Autore: Emilia Flocchini



Beata Josefa Monrabal Montaner Vergine e martire



Gandía, Spagna, 3 luglio 1901 – Xeresa, Valencia, Spagna, 29 agosto 1936

Josefa Monrabal Montaner, nativa di Gandía in Spagna, maturò la sua vocazione religiosa tramite il servizio ai poveri e la frequentazione delle Figlie di Maria. All’arrivo nella sua città di una comunità delle Suore di San Giuseppe di Gerona, fu conquistata dal loro stile di vita e, dopo aver affrontato un periodo difficile per via del diniego del padre, ne entrò a far parte cominciando il noviziato il 18 marzo 1929; professò i voti perpetui cinque anni dopo. Allo scoppio della guerra civile spagnola tornò nella sua città per rifugiarsi da sua madre. Dopo aver trovato sua madre ed essere venuta a sapere che la superiora della comunità, madre Fidelia (al secolo Dolores) Oller Angelats, era stata messa al sicuro in un’abitazione privata, la raggiunse. Non l’abbandonò nemmeno quando entrambe furono scoperte dai miliziani. Furono fucilate il 29 agosto 1936 a Xeresa. Sono state beatificate insieme alla consorella Faconda Margenat Roura (al secolo Caterina, uccisa a Barcellona tre giorni prima), il 5 settembre 2015, nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona. I resti mortali di madre Fidelia e suor Josefa sono venerati presso la cappella della comunità delle Suore di San Giuseppe di Gerona a Gandía.

Josefa Monrabal Montaner nacque il 3 luglio 1901 a Gandía, nella parte meridionale della provincia di Valencia in Spagna. Era la penultima del sei figli di Vicente Monrabal Puig, di professione conciapelli, e Clara Montaner Chafer. Fu battezzata nella parrocchia di San Giuseppe del Arrabal il giorno stesso della nascita, mentre il 27 luglio ricevette il sacramento della Confermazione nella chiesa Collegiata per mano del vescovo di Teruel, monsignor Juan Comes Vidal.


Trascorse l’infanzia giocando con molta vivacità con le altre bambine del suo quartiere. Frequentò la scuola, dove imparò a leggere, scrivere e far di conto. Dalla madre imparò le attività tipiche femminili. I familiari la circondarono di affetto, specie quando cadde malata di varicella, in quanto avevano già perso due figli in tenera età; fortunatamente, si riprese.

Le sue amiche raccontavano che Pepita, così era soprannominata, era molto generosa: suo padre le regalava del denaro perché comprasse dei dolciumi o andasse al cinema, però lei lo dava ai poveri, senza che lui se ne accorgesse.

Si preparò con zelo ed entusiasmo a ricevere la Prima Comunione, assistendo alla catechesi in parrocchia, completata con l’aiuto della madre, con la quale condivideva ciò che aveva imparato. Continuò la propria formazione entrando tra le Figlie di Maria della sua parrocchia; in seguito divenne anche catechista. Si distingueva per la sua umiltà e per la carità che mostrava verso tutti. Era comunque una ragazza molto socievole, che prendeva parte alle feste di quartiere e alle rappresentazioni teatrali.

La sua vita serena ebbe uno scossone nel 1918 con la morte di Vicente, suo fratello maggiore, a 29 anni, che lasciava la moglie e tre figli in tenera età. Josefa, diciassettenne, fece da seconda mamma ai nipotini, mentre la loro madre andava a lavorare per pesare di meno sul bilancio della famiglia del marito, che l’aveva accolta. Quando la più piccola dei nipoti, Sara, fu in età da Prima Comunione, si trasferì coi fratelli e la madre presso i nonni materni. Josefa, rimasta più libera, poté dedicarsi ad altri passatempi: imparò a ricamare prima a mano, poi con la macchina da cucire.

La domenica mattina, dopo la Messa, andava a visitare gli ammalati del quartiere e altri di sua conoscenza. Parlava con loro, li assisteva e osservava la situazione in cui si trovavano per fornire loro vestiario, medicine, alimenti e quant’altro potesse servire. La sera si recava nella scuola retta dalle Carmelitane, anche se non ne era alunna, per passare del tempo con altre ragazze.

Sperava di poter entrare in quel convento perché ammirava la dedizione delle monache verso le giovani, ma suo padre si oppose perché diceva di aver bisogno di lei. Di fronte alla sua insistenza, rispose: «Ho soltanto una figlia e quanto le voglio bene!». A quel punto, Josefa si affidò alla volontà di Dio, certa che al momento opportuno si sarebbe rivelata. Intanto, continuò a vivere in famiglia e a esercitare le sue opere di carità.

Il 4 giugno 1927 arrivarono a Gandía le Suore di San Giuseppe di Gerona, per l’assistenza domiciliare dei malati. Il gruppo era composto dalla superiora, madre Fidelia (al secolo Dolores) Oller Angelats, e da sei consorelle. Ben presto socializzarono coi cittadini, i quali le aiutarono in tutto. La stessa Josefa, che aveva 26 anni, si diede da fare insieme ad altre donne per procurare loro il necessario per vivere e, nel frattempo, s’interrogava se che Dio la chiamasse a servirlo come loro. Madre Fidelia, con la quale aveva stretto un intenso legame, si accorse del suo dissidio interiore e le fu vicina.

Il 9 marzo 1928, per un’emorragia cerebrale, morì il signor Vicente, padre di Josefa.La madre sopportò cristianamente l’accaduto e incoraggiò in tal senso i figli, in particolare lei che, essendo la minore, era amatissima da lui. Un ulteriore sostegno le venne dall’amicizia con le suore.

Josefa continuò a vivere con la madre, che tuttavia, dopo alcuni mesi dal lutto, l’esortò a seguire la sua strada. I fratelli avrebbero preferito di no, ma, siccome le volevano un gran bene, acconsentirono. La giovane fu così contenta che organizzò una festicciola per le sue amiche, alle quali aveva confidato più di una volta le sue aspirazioni. Molte rimasero impressionate dal suo contegno: «Pepita era raggiante, con una gioia che non arrivavamo a comprendere».

Nel mese di settembre 1928, Josefa entrò nell’Istituto delle Suore di San Giuseppe, che il 7 aprile, quell’anno vigilia di Pasqua, ricevette il Decreto di approvazione pontificia, datato però al 16 gennaio. Per cominciare il noviziato, tuttavia, dovete aspettare l’approvazione del vescovo di Gerona per via del fatto che aveva più di 25 anni, età massima per l’ingresso. Una volta ottenuta, iniziò il suo percorso il 18 marzo 1929, stesso periodo in cui vennero instaurate le nuove Costituzioni.

Compì la sua prima professione il 18 marzo 1931, dopo la quale venne destinata a Villarreal. Alcuni mesi prima della professione perpetua, rientrò in Casa madre per gli Esercizi spirituali in preparazione di quel passo solenne, compiuto il 18 marzo 1934, poi tornò a Villarreal, dove si trovava allo scoppio della guerra civile spagnola.

Inizialmente, le autorità municipali rispettarono le suore e consentirono loro di servire i malati, ma senza segni religiosi esterni: assunsero quindi abiti secolari e rimasero a vivere nella loro casa. Poco tempo dopo, comunque, la situazione si volse al peggio: gruppetti di rivoluzionari le spinsero a lasciare la casa armi in pugno. Non permisero loro di prelevare nulla e diedero fuoco alla cappella, con tutto quel che conteneva.

Una volta dissolta la comunità, le sue componenti si rifugiarono in case di familiari e a Castellón, nella clinica operatoria San Giuseppe, dove le Suore di San Giuseppe avevano un’altra comunità. Di fronte a quella condizione di pericolo, suor Josefa andava dicendo: «Quanto mi piacerebbe essere martire, offrire la mia vita per la conversione dei peccatori e la salvezza della Spagna, se è volontà di Dio!».

La superiora generale dell’Istituto, madre Elena Campmol, inviò alle comunità una circolare dove le autorizzava a rifugiarsi presso i familiari o in altri luoghi sicuri fino a nuovo avviso. Suor Josefa pensò allora di tornare a casa a Gandía, che era nelle vicinanze; con lei, suor Maria Cortés. Suor Fortunata Parés, che risiedeva a Castellón, mise all’erta entrambe circa il pericolo cui andavano incontro, ma lei rispose serenamente: «Se ci uccidono, saremo delle martiri».

Una volta raggiunta la madre, suor Josefa si nascose da lei, aiutandola nelle faccende domestiche e, in pari tempo, assistendo una giovane farmacista che aveva un bambino piccolo e alla quale era stato ucciso il marito da qualche giorno.

Appena possibile, la suora, insieme a sua madre, andò a trovare le consorelle: le trovarono impaurite per via delle perquisizioni da parte dei miliziani. Chiese di madre Fidelia Oller Angelats, che era ancora la superiora, ma non si trovava più lì. Indirizzata dalle altre suore al suo rifugio, le chiese di rifugiarsi in casa di suo fratello Andrés. Di fronte a quell’insistenza, lei dovette cedere.

Nel nuovo ricovero le due religiose trascorsero pochi giorni, senza mai uscire, continuamente immerse nella preghiera. Per i pasti, calavano un cestino al piano inferiore e lo tiravano su quando arrivava il cibo da parte della madre di suor Josefa.

In una notte di agosto, mentre la famiglia che abitava al piano di sotto stava cenando sulla porta di casa, si presentarono alcuni miliziani, scesi da un’automobile tristemente nota come “La Pepa”. Impaurito dalle loro minacce, il capofamiglia, José María Aparisi, li lasciò forzare la porta delle scale: salirono al piano superiore e prelevarono le suore, le quali, al sentirli arrivare, aprirono personalmente. Furono caricate sull’auto con tale violenza che a madre Fidelia fu spezzato un braccio.

I persecutori volevano portar via solo la madre superiora, ma suor Josefa non voleva separarsi da lei. Fu avvertita di non farlo, perché rischiava di fare la sua stessa fine, ma ribatté: «Dove va la madre vado anch’io, non l’abbandono». Con loro fu catturato il signor Aparisi, poi rilasciato lungo la strada grazie a “El Reyet”, un miliziano che lo conosceva.

La vettura, giunta all’incrocio tra la strada per Valencia e quella per Xeresa, nel punto detto “La Crehueta”, si fermò. In quello stesso luogo le suore furono colpite: madre Fidelia fu raggiunta da uno sparo nella spalla e da uno nella tempia destra, mentre suor Josefa ebbe una forte emorragia per essere stata ferita sul lato sinistro del collo e nella regione lombare.

I vicini, che si erano rifugiati in casa per paura, udirono gli spari nella notte; poco dopo, qualcuno avvertì dei gemiti di dolore, poi più nulla. Al mattino dopo, trovarono i cadaveri delle due suore, che rimasero sul luogo del martirio fino al mattino inoltrato del 30 agosto 1936. A mezzogiorno, furono prelevati per essere sepolti nel cimitero di Xeresa.

Terminata la guerra, nel 1939, i resti delle due religiose vennero riesumati e collocati nel cimitero di Gandía. Attualmente si trovano nella cappella della comunità delle Suore di San Giuseppe di Gerona a Gandía.

La causa di beatificazione di madre Fidelia e suor Josefa fu unita a quella di suor Faconda (al secolo Catalina) Margenat Roura, morta come loro verso la fine dell’agosto 1936, ma nei pressi di Barcellona. Ottenuto il trasferimento dalla diocesi di Barcellona il 18 maggio 2001 e il nulla osta da parte della Santa Sede due settimane dopo, fu avviata l’inchiesta diocesana a Valencia, durata dal 24 novembre 2001 all’11 gennaio 2003 e convalidata il 28 marzo 2003. La “Positio super martyrio” fu trasmessa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi nel 2004.

A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, il 10 dicembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 22 gennaio 2015 il decreto che riconosce tutte e tre le suore come martiri.

La loro beatificazione si è svolta il 5 settembre 2015nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona, presieduta dal cardinal Angelo Amato come inviato del Santo Padre.



Autore: Emilia Flocchini



Beati Martiri Spagnole Suore di San Giuseppe di Gerona



+ Spagna, 26/29 agosto 1936

Madre Fidelia (Dolores) Oller Angelats, suor Josefa Monrabal Montaner e suor Faconda (Catalina) Margenat Roura entrarono tra le Suore di San Giuseppe di Gerona, fondate dalla Venerabile Maria Gay Tibau per alleviare le sofferenze degli ammalati a domicilio e negli ospedali. Furono variamente vittime delle persecuzioni antireligiose durante la guerra civile spagnola. Suor Faconda fu catturata dai miliziani mentre, convalescente dopo una grave malattia, accudiva un malato in un’abitazione privata; fu ritrovata cadavere lungo la strada che conduce all’ippodromo di Barcellona la mattina del 26 agosto 1936. Madre Fidelia, invece, che si trovava a Gandía, fuggì da un nascondiglio all’altro, raggiunta nel frattempo da suor Josefa, che non l’abbandonò nemmeno quando furono scoperte dai persecutori. La beatificazione di tutte e tre si è svolta nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona, presieduta dal cardinalAngelo Amato, il 5 settembre 2015.


Fra le migliaia di vittime della persecuzione religiosa, attuata in Spagna durante la guerra civile degli anni 1936-1939, si annoverano tre religiose appartenenti all’Istituto delle Suore di San Giuseppe di Gerona, fondato da madre Maria Rosa Teresa Gay Tibau (Venerabile dal 2013) il 29 giugno 1870 per l’assistenza degli ammalati sia negli ospedali, sia a domicilio. 

Il 19 luglio 1936, giorno successivo al sollevamento nazionale, evento che diede il via alla guerra, la superiora generale, madre Elena Campmol, inviò alle comunità una circolare dove le autorizzava a rifugiarsi presso i familiari o in altri luoghi sicuri fino a nuovo avviso. Continuarono il loro servizio in abiti secolari, operando perlopiù di notte. 

Per questo motivo, la superiora della comunità di Gandía, madre Fidelia Oller Angelats, era spesso lasciata da sola dalle consorelle. Quando però loro videro che pativa più di tutte la persecuzione, le cercarono un rifugio presso una casa privata. 

Lì fu raggiunta da suor Josefa Monrabal Montaner, che, insieme a sua madre, l’invitò a nascondersi in casa di suo fratello. Rimasero insieme finché non vennero scoperte dai miliziani, che erano venuti solo per la superiora. Suor Josefa, tuttavia, insistette: «Dove va la madre vado anch’io, non l’abbandono». Furono quindi fucilate all’incrocio tra la strada per Valencia e quella per Xeresa il 30 agosto 1936. 

Alcuni giorni prima, a Barcellona, era stata assassinata suor Faconda Margenat Roura. Convalescente dopo una grave malattia, aveva insistito per tornare ad accudire gli ammalati: le venne concesso di badare aJoaquín Morales Martí, che abitava nella stessa via dove risiedevano le suore. Non si separò mai da lui finché, a causa di una delazione involontaria da parte della portinaia, non venne raggiunta da un drappello di miliziani. Fu ritrovata morta il mattino del 27 agosto. 

La causa di beatificazione di madre Fidelia e suor Josefa fu unita a quella di suor Faconda. Ottenuto il trasferimento dalla diocesi di Barcellona il 18 maggio 2001 e il nulla osta da parte della Santa Sede due settimane dopo, fu avviata l’inchiesta diocesana a Valencia, durata dal 24 novembre 2001 all’11 gennaio 2003 e convalidata il 28 marzo 2003. La “Positio super martyrio” fu trasmessa alla Congregazione vaticana per le Cause dei Santi nel 2004. 

A seguito del congresso peculiare dei consultori teologi, il 10 dicembre 2013, e della sessione dei cardinali e vescovi membri della Congregazione, papa Francesco ha firmato il 22 gennaio 2015 il decreto che riconosce tutte e tre le suore come martiri.La loro beatificazione si è svolta il 5 settembre 2015nella cattedrale di Santa Maria Assunta a Gerona, presieduta dal cardinal Angelo Amato come inviato del Santo Padre. 

Nelle schede indicate in seguito è possibile trovare altre informazioni più dettagliate su ciascuna delle martiri. Il nome al secolo è indicato tra parentesi, mentre quello religioso è italianizzato, tranne nel caso di suor Josefa, che non assunse un nuovo appellativo con la professione religiosa. 

96771Suor Faconda (Catalina) Margenat Roura
+ Barcellona, 26 agosto 1936

96772Madre Fidelia (Dolores) Oller Angelats


96773Suor Josefa Monrabal Montaner
+ Xeresa, 30 agosto 1936


Autore: Emilia Flocchini


samedi 26 août 2017

NOTRE-DAME de CZESTOCHOWA


Jasna Gora - Czestochowa, Jean Paul II, le 4 juin 1979

Homélie de Jean Paul II (Czestochowa, 4 juin 1979)

1. « Vierge qui défends la claire Czestochowa... »

Elles me reviennent à l'esprit ces paroles du poète Mickiewicz qui, au début de son œuvre « Pan Tadeusz », a exprimé dans une invocation à la Vierge ce qui vibrait et qui vibre dans le cœur de tous les Polonais, en se servant du langage de la foi et de celui de la tradition nationale. Tradition qui remonte à environ six cents ans, c'est-à-dire au temps de la bienheureuse reine Hedwige au début de la dynastie Jagellonique. L'image de Jasna Góra exprime une tradition, un langage de foi encore plus ancien que notre histoire, et reflète en même temps tout le contenu de la « Bogurodzica » que nous avons médité hier à Gniezno, en évoquant la mission de saint Adalbert et en remontant aux premiers moments de l'annonce de l'Évangile en terre polonaise.

Celle qui avait parlé autrefois par le chant a parlé ensuite par cette image manifestant à travers elle sa présence maternelle dans la vie de l'Église et de la patrie.

La vierge de Jasna Góra a révélé sa sollicitude maternelle pour toute âme ; pour toute famille ; pour tout homme qui vit sur cette terre, qui travaille, lutte et tombe sur les champs de bataille, qui est condamné à l'extermination, qui se combat lui même, qui est vainqueur ou vaincu ; pour tout homme qui doit laisser le sol de la patrie et émigrer, pour tout homme...

Les Polonais se sont habitués à lier à ce lieu et à ce sanctuaire les nombreuses vicissitudes de leur vie : les divers moments de joie ou de tristesse, spécialement les moments solennels décisifs, les moments de responsabilité comme le choix de l'orientation de la vie, le choix de la vocation, la naissance des enfants, les examens de fin d'études... et tant d'autres moments. Ils se sont habitués à venir avec leurs problèmes à Jasna Góra pour en parler à leur Mère du ciel, Celle qui a ici non seulement son image, son effigie l'une des plus connues et des plus vénérées du monde - mais qui est ici particulièrement présente. Elle est présente dans le mystère du Christ et de l'Église, comme l'enseigne le Concile. Elle est présente pour tous et pour chacun de ceux qui font le pèlerinage vers elle, même seulement de cœur et en esprit lorsqu'ils ne peuvent le faire physiquement.

Les Polonais sont habitués à cela.

Les peuples amis y sont habitués aussi comme les peuples voisins. Et c'est toujours plus nombreux que viennent ici des hommes de toute l'Europe et d'au-delà.

Au cours de la grande neuvaine, le cardinal primat [le Cardinal Wyszinski] s'exprimait ainsi à propos de la signification du sanctuaire de Czestochowa dans la vie de l'Église :

« Que s'est-il passé à Jasna Góra ?

« Pour le moment, nous ne sommes pas en mesure de donner une réponse adéquate. Il s'est passé quelque chose de plus que ce qu'on pouvait imaginer... Jasna Góra s'est révélée comme un lien interne de la vie polonaise, une force qui touche profondément le cœur et tient la nation entière dans l'attitude, humble mais forte, de fidélité à Dieu, à l'Église et à sa hiérarchie... Pour nous tous, cela a été une grande surprise de voir la puissance de la Reine de Pologne se manifester d'une manière aussi magnifique. »

Il n'est donc nullement étonnant qu'aujourd'hui je vienne ici moi aussi. De la Pologne, en effet, j'ai emporté avec moi, sur la chaire de saint Pierre à Rome, cette « habitude » du cœur, élaborée par la foi de tant de générations confirmée par l'expérience chrétienne de tant de siècles et profondément enracinée dans mon âme.

2. Le pape Pie XI s'est souvent rendu ici, non comme pape, naturellement, mais en tant qu'Achille Ratti, premier nonce en Pologne, après la reconquête de l'indépendance.

Lorsque après la mort de Pie XII, le Pape Jean XXIII a été élu à la chaire de Pierre les premières paroles que le nouveau pontife adressa au primat de Pologne, après le Conclave, se référèrent à Jasna Góra. Il rappela ses visites ici, durant les années où il était délégué apostolique en Bulgarie, et il demanda surtout une prière incessante à la Mère de Dieu, à toutes les intentions que lui donnait sa nouvelle mission. Sa demande a été satisfaite tous les jours à Jasna Góra, et pas seulement durant son pontificat mais aussi durant celui de ses successeurs.

Nous savons tous combien le pape Paul VI aurait voulu venir ici en pèlerinage, lui qui était si lié à la Pologne depuis sa première charge diplomatique auprès de la nonciature de Varsovie. Le pape qui s'est tant dépensé pour normaliser la vie de l'Église en Pologne, particulièrement en ce qui concerne l'organisation actuelle des terres de l'ouest et du nord. Le pape de notre millénaire ! Pour ce millénaire, justement il voulait se trouver ici en pèlerin, à côté des fils et des filles de la nation polonaise.

Après que le Seigneur eût rappelé à Lui le pape Paul VI en la solennité de la Transfiguration de l'année dernière, les cardinaux choisirent son successeur le 26 août, jour où en Pologne, et surtout à Jasna Góra, on célèbre la solennité de la Madone de Czestochowa. La nouvelle de l'élection du nouveau pontife Jean-Paul I° fut communiquée aux fidèles par l'évêque de Czestochowa le jour même, lors de la célébration du soir.

Que dois-je dire de moi à qui, après le pontificat d'à peine 33 jours de Jean-Paul I°, il est revenu par un décret insondable de la Providence, d'en accepter l'héritage et la succession apostolique à la chaire de saint Pierre, le 16 octobre 1978 ?

Que dois-je dire, moi, premier pape non italien après 455 années ? Que dois-je dire, moi, Jean-Paul 

II, premier pape polonais dans l'histoire de l'Église ?

Je vous dirai : en ce 16 octobre jour où le calendrier liturgique de l'Église fait mémoire de Hedwige, je me reportais par la pensée au 26 août, au conclave précédent et à cette élection survenue en la solennité de N.-D. de Jasna Góra.

Je n'avais même pas besoin de dire, comme mes prédécesseurs, que je comptais sur les prières faites aux pieds de l'image de Jasna Góra. L'appel d'un fils de la nation polonaise à la chaire de Pierre contient un lien évident et fort avec ce lieu saint, avec ce sanctuaire de grande espérance : Totus tuus, ai-je murmuré tant de fois dans la prière devant cette image !

3. Et voici qu'aujourd'hui je suis de nouveau avec vous tous, frères et sœurs très chers ; avec vous, bien aimés compatriotes, avec toi, cardinal primat de la Pologne, avec tout l'épiscopat auquel j'ai appartenu pendant plus de vingt ans comme évêque, archevêque métropolitain de Cracovie, comme cardinal. Nous sommes venus tant de fois ici, en ce lieu, en une vigilante écoute pastorale, pour entendre battre le cœur de l'Église et celui de la patrie dans le cœur de la Mère. Jasna Góra est en effet non seulement un but de pèlerinage pour les Polonais de la mère patrie et du monde entier, mais c'est le sanctuaire de la nation.

Il faut prêter l'oreille en ce lieu pour sentir comment bat le cœur de la nation dans le cœur de sa Mère. Car nous savons que ce cœur bat au rythme de tous les rendez-vous de l'histoire, de toutes les vicissitudes de la vie nationale : combien de fois en effet n'a-t-il pas vibré avec les plaintes des souffrances historiques de la Pologne, mais aussi avec les cris de joie et de victoire ! On peut écrire de diverses façons l'histoire de la Pologne, celle de ces derniers siècles spécialement, on peut l'interpréter selon différentes clefs.

Toutefois, si nous voulons savoir comment le cœur des Polonais l'interprète il faut venir ici, il faut tendre l'oreille vers ce sanctuaire, il faut percevoir l'écho de la vie de la nation entière dans le cœur de sa Mère et Reine ! Et si ce cœur bat avec une note d'inquiétude, si en lui résonnent la sollicitude et l'appel à la conversion et au raffermissement des consciences il faut accueillir cette invitation Elle naît en effet de l'amour maternel qui détermine à sa manière les processus historiques sur la terre polonaise.

Les dernières décennies ont confirmé et rendue plus intense une telle union entre la nation polonaise et sa Reine.

- C'est devant la Vierge de Czestochowa que fut prononcée la consécration de la Pologne au Cœur immaculé de Marie le 8 septembre 1946.

- Dix ans après, ont été renouvelés à Jasna Góra les vœux du roi Jean-Casimir lors du troisième centenaire du jour où, après une période de « déluge » (invasion des Suédois au XVII° siècle), il proclama la Mère de Dieu Reine du royaume de Pologne.

- En cet anniversaire commença la grande neuvaine de neuf ans pour préparer le millénaire du baptême de la Pologne.

- Et finalement, en l'année même du millénaire, le 3 mai 1966, ici, en ce lieu même, fut prononcé par le primat de Pologne l'acte de servitude totale à la Mère de Dieu pour la liberté de l'Eglise en Pologne et dans le monde entier. Cet acte historique fut prononcé ici, devant Paul VI, absent corporellement mais présent spirituellement, en témoignage de cette foi vivante et forte qu'attend et qu'exige notre temps.

L'acte parle de la « servitude » et contient un paradoxe semblable à celui des paroles de l'Évangile selon lesquelles il faut perdre sa vie pour la trouver (cf. Mt 10, 39). L'amour, en effet constitue l'accomplissement de la liberté, mais en même temps l'appartenance, c'est-à-dire le fait de ne pas être libre, fait partie de son essence. Toutefois, ce fait de « ne pas être libre » dans l'amour n'est pas perçu comme un esclavage mais bien comme une affirmation de liberté et comme son accomplissement. L'acte de consécration dans l'esclavage indique donc une dépendance singulière et une confiance sans limites. En ce sens, l'esclavage (la non-liberté) exprime la plénitude de la liberté de la même manière que l'Évangile parle de la nécessité de perdre sa vie pour la trouver dans sa plénitude.

Les paroles de cet acte, prononcées selon le langage des expériences historiques de la Pologne, de ses souffrances et aussi de ses victoires, ont une résonance précisément en ce moment de la vie de l'Eglise et du monde, après la clôture du Concile Vatican II qui, comme nous le pensons justement, a ouvert une ère nouvelle.

[Vatican II] Il a marqué le début d'une époque de connaissance approfondie de l'homme, de ses joies et de ses espoirs, et aussi de ses tristesses et de ses angoisses, comme l'affirment les premiers mots de la constitution pastorale Gaudium et spes.

L'Église, consciente de sa grande dignité et de sa magnifique vocation dans le Christ, désire aller à la rencontre de l'homme.

L'Église désire répondre aux interrogations perpétuelles et en même temps toujours actuelles des cœurs et de l'histoire humaine, et c'est pourquoi elle a accompli durant le Concile un travail de connaissance approfondie d'elle-même, de sa nature, de sa mission, de ses devoirs.

Le 3 mai 1966, l'épiscopat polonais ajoute à ce travail fondamental du Concile son acte propre de Jasna Góra : la consécration à la Mère de Dieu pour la liberté de l'Église dans le monde et en Pologne. C'est un cri qui part du cœur et de la volonté : un cri de tout l'être chrétien, de la personne et de la communauté, pour le plein droit d'annoncer le message du salut- un cri qui veut devenir efficace d'une manière universelle en s'enracinant dans l'époque présente et dans l'avenir.

Tout à travers Marie ! Telle est l'interprétation authentique de la présence de la Mère de Dieu dans le mystère du Christ et de l'Église, comme le proclame le chapitre VIII de la constitution Lumen gentium. Cette interprétation correspond à la tradition des saints, comme Bernard de Clairvaux, Grignion de Montfort, Maximilien Kolbe.

4. Le pape Paul VI accepta cet acte de consécration comme fruit de la célébration du millénaire polonais de Jasna Góra, comme en fait foi sa bulle qui se trouve près de l'image de la Madone noire de Czestochowa.

Aujourd'hui, son indigne successeur, en venant à Jasna Góra désire le renouveler, le lendemain de la Pentecôte alors que dans toute la Pologne se célèbre la fête de la Mère de l'Église.

Pour la première fois le pape fête cette solennité en exprimant avec vous, vénérables et chers frères, sa reconnaissance à son grand prédécesseur qui, depuis le temps du Concile, a commencé à invoquer Marie sous le titre de Mère de l'Église.

Ce titre nous permet de pénétrer dans tout le mystère de Marie depuis l'instant de sa Conception immaculée, en passant par l'Annonciation, la Visitation et la naissance de Jésus à Bethléem jusqu'au Calvaire. Il nous permet à tous de nous retrouver - comme le rappelle la lecture d'aujourd'hui - au Cénacle où les Apôtres, avec Marie, Mère de Jésus, sont assidus à la prière, attendant, après l'Ascension du Seigneur, l'accomplissement de sa promesse, c'est-à-dire la venue de l'Esprit Saint, afin que puisse naître l'Église ! A la naissance de l'Église participe d'une manière particulière Celle à laquelle nous devons la naissance du Christ.

L'Église, née autrefois au Cénacle de la Pentecôte, continue à naître dans chaque cénacle de prière. Elle naît pour devenir notre Mère spirituelle à la ressemblance de la Mère du Verbe éternel. Elle naît pour révéler les caractéristiques et la force de la maternité - maternité de la Mère de Dieu - grâce à laquelle nous pouvons être « appelés enfants de Dieu, car nous le sommes » (1 Jn 3, 1). En effet, la paternité très de Dieu, dans son économie du salut s'est servie de la maternité virginale de son humble servante pour accomplir dans les enfants des hommes l'œuvre de l'auteur divin.

Chers compatriotes, vénérables et très chers frères dans l'épiscopat, pasteurs de l'Église en Pologne, hôtes illustres et vous, tous les fidèles, permettez que comme successeur de saint Pierre ici présent avec vous, je confie toute l'Église à la Mère du Christ, avec la même foi vive, avec la même espérance héroïque avec lesquelles nous l'avons fait en ce jour mémorable du 3 mai du millénaire polonais.

Permettez-moi d'apporter ici, comme je l'ai fait il y a quelque temps dans la basilique romaine de -Marie-Majeure, puis au Mexique dans le sanctuaire de Guadalupe, les mystères des cœurs, les douleurs et les souffrances, et enfin les espoirs et les attentes de cette dernière fraction du vingtième siècle de l'ère chrétienne.

Permettez-moi de confier tout cela à Marie.

Permettez-moi de le lui confier d'une manière nouvelle et solennelle.

Je suis un homme rempli d'une grande confiance.

C'est ici que j'ai appris à l'être.


* * *


« Mère très grande, Mère de Dieu fait homme, Vierge très , Notre-Dame de Jasna Góra...»

C'est avec ces paroles que les évêques polonais s'adressèrent à Toi tant de fois à Jasna Góra, en portant dans leur coeur les expériences et les peines, les joies et les douleurs, et par-dessus tout la foi, l'espérance et la charité de leurs compatriotes.

Qu'il me soit permis de commencer aujourd'hui par les mêmes paroles le nouvel acte de consécration à Notre-Dame de Jasna Góra: il nait de la même foi, de la même espérance et de la même charité, il naît de la tradition de notre peuple, à laquelle j'ai eu part durant tant d'années, et cet acte naît en même temps des nouveaux devoirs qui, grâce à toi, ô Marie, m'ont été confiés, à moi homme indigne et en même temps ton fils adoptif.

C'est bien ce que me disaient toujours les paroles que ton Fils, ce Fils né de toi, Jésus-Christ, Rédempteur de l'homme, a adressées du haut de la croix à Jean, apôtre et évangéliste: « Femme, voici ton fils (Jn 19, 26). Dans ces paroles, je trouvais toujours la place de tout homme et ma propre place.

Aujourd'hui présent ici selon les desseins mystérieux de la divine Providence, je désire, en ce sanctuaire de Jasna Góra dans ma patrie terrestre, la Pologne, confirmer avant tout les actes de consécration et de confiance qui, à divers moments - bien des fois et sous des formes variées - ont été prononcés par le cardinal primat et par l'épiscopat polonais. D'une façon tout à fait particulière, je désire confirmer et renouveler l'acte de consécration prononcé à Jasna Góra le 3 mai 1966, à l'occasion du millénaire de la Pologne ; par cet acte les évêques polonais, en se donnant à Toi, Mère de Dieu, « dans ta maternelle servitude d'amour », voulaient servir la grande cause de la liberté de l'Église, non seulement dans leur propre patrie mais dans le monde entier. Quelques années après, le 7 juin 1976, ils t'ont consacré toute l'humanité, toutes les nations et tous les peuples du monde contemporain, leurs frères proches par la foi, par la langue et par le destin commun de l'histoire, en étendant cet acte de confiance jusqu'aux frontières les plus lointaines de l'amour comme l'exige ton coeur : coeur de la Mère qui embrasse chacun et tous partout et toujours.

Je désire aujourd'hui, en arrivant à Jasna Góra comme premier pape-pèlerin, renouveler tout ce patrimoine de confiance, de consécration et d'espérance, qui, avec tant de magnanimité, a été accumulé par mes frères dans l'épiscopat et mes compatriotes.

Et c'est pourquoi je Te confie, ô Mère de l'Église, tous les problèmes de cette Église, toute sa mission, tout son service, tandis que s'achève le second millénaire de l'histoire du christianisme sur la terre.

Épouse de l'Esprit Saint et Trône de la Sagesse! À ton intercession, nous devons la magnifique vision et le programme du renouveau de l'Église à notre époque exprimé dans l'enseignement du Concile Vatican II. Fais que nous fassions de cette vision et de ce programme l'objet de notre action, de notre service, de notre enseignement, de notre pastorale, de notre apostolat dans la vérité, la simplicité et la force avec laquelle l'Esprit Saint nous les a fait découvrir dans notre humble service.

Fais que l'Église entière se régénère à cette nouvelle source de connaissance de sa nature et de sa mission, et non pas à d'autres « citernes » étrangères ou empoisonnées (cf. Jr 8, 14).

Aide-nous dans le grand effort que nous allons faire pour rencontrer de manière toujours plus mûre nos frères dans la foi, auxquels nous unis sent tant de choses bien qu'il y en ait qui nous divisent. Fais que, à travers tous les moyens de la connaissance, du respect réciproque, de l'amour de la collaboration dans les divers domaines, nous puissions découvrir progressivement le dessein divin de cette unité dans laquelle nous devons entrer nous-mêmes et introduire tous les hommes afin que l'unique bercail du Christ reconnaisse et vive son unité sur la terre. O Mère de l'unité, enseigne-nous toujours les chemins qui conduisent à elle.

Permets-nous d'aller dans l'avenir à la rencontre de tous les hommes et de tous les peuples qui cherchent Dieu sur les chemins de diverses religions et qui veulent le servir. Aide-nous tous à annoncer le Christ et à révéler « la force et la sagesse divine » (1 Co 1, 24) cachées dans sa croix. Toi qui l'a révélée d'abord à Bethléem non seulement aux bergers simples et fidèles, mais aussi aux sages des pays lointains !

Mère du Bon Conseil ! Indique-nous toujours comment nous devons servir l'homme, l'humanité, dans toutes les nations, comment le conduire sur les chemins du salut. Comment protéger la justice et la paix dans le monde continuellement menacé de divers côtés. Comme je désire vivement, à l'occasion de la rencontre d'aujourd'hui, te confier tous les difficiles problèmes des sociétés, des systèmes, et des États, problèmes qui ne peuvent être résolus par la haine, la guerre et l'autodestruction mais seulement par la paix, la justice, le respect des droits des hommes et des nations.

O Mère de l'Église ! Fais que l'Église jouisse de la liberté et de la paix dans l'accomplissement de sa mission de salut et qu'elle jouisse à cette fin d'une nouvelle maturité de foi et d'unité intérieure ! Aide-nous à vaincre les oppositions et les difficultés ! Aide-nous à découvrir toute la simplicité et la dignité de la vocation chrétienne ! Fais que les ouvriers ne manquent jamais à la vigne du Seigneur. Sanctifie les familles ! Veille sur l'âme des jeunes et sur le cœur des enfants ! Aide à surmonter les grandes menaces morales qui atteignent les fondements de la vie et de l'amour. Obtiens pour nous la grâce de nous renouveler continuellement par toute la beauté du témoignage rendu à la croix et à la résurrection de ton Fils.

Il y a tant de problèmes que j'aurais dû, ô Mère, te présenter en cette rencontre, en les nommant l'un après l'autre. Je te les confie tous, car tu les connais mieux et tu prends soin de tous.

Je le fais dans le lieu du grand acte de consécration d'où l'on voit non seulement la Pologne, mais toute l'Église, à travers les pays et les continents: toute l'Église dans ton cœur maternel.

L'Église entière, dont je suis le premier serviteur, je te l'offre et je te la confie ici, ô Mère, avec une immense confiance. Amen.



SOURCE : http://www.mariedenazareth.com/jesus-mary-joseph/mary-fills-the-world/europe/poland/czestochowa-jasna-gora-jean-paul-ii-le-4-juin-1979/

En Pologne, Notre-Dame de Czestochowa

Avec ses 4 à 5 millions de pèlerins par an (presqu'autant qu'à Lourdes et à Fatima...), le sanctuaire de Notre-Dame de Czestochowa qui abrite la Vierge Noire de Jasna Gora, en Silésie (Pologne méridionale, ex République de Weimar), est un des plus célèbres de l'Europe centrale.  Son pèlerinage remonte au XIVe siècle.

En polonais, Jasna Gora veut dire "Montagne Lumineuse". Tout ce que la Pologne comptait de grands personnages du Royaume allait prier au sanctuaire de Czestochowa, y compris ses rois qui avaient coutume de s'y rendre après leur couronnement pour rendre hommage à la Madone noire. La Vierge de Jasna Gora fût amenée en 1382 sur la colline dominant Czestochowa , par le roi Ladislas qui fit construire là un monastère pour les moines de saint Paul. Deux ans après, en 1384,  l'icône célèbre de la Vierge de Jasna Gora est installée dans le monastère.

La Vierge de Jasna Gora, peinte par saint Luc ?

D'où vient la Vierge Noire de Jasna Gora ? La légende attribue la peinture originale à Saint Luc, qui aurait utilisé la planche de la table sur laquelle priait et prenait nourriture la Famille... Depuis le XVème siècle, de nombreuses copies du tableau furent exécutées. Une centaine font l'objet de vénération et plus de dix furent couronnées. En 1717, la Vierge de Jasna Gora sera la première de Pologne a être couronnée des diadèmes papaux. Très vite, la "Montagne lumineuse" est célèbre dans tout le royaume.

Le principal centre de pèlerinage en Pologne

Dès la fin du XIV siècle Jasna Gora est déjà le principal centre de pèlerinage en Pologne. Jasna Gora est aussi l'objet des convoitises...:

- En 1430, pendant les guerres que livrèrent les partisans des doctrines de Jan Hus, réformateur religieux tchèque ( mort en 1415), le monastère fut totalement ravagé, pillé et l'image de la Vierge profanée. Aujourd'hui encore, sur le visage de la Vierge noire on peut voir deux balafres laissées par les coups de sabre...;

- En 1655,  Le 1° avril 1656, le prince Casimir reconnaît dans l'attaque des Russes et des Suédois le châtiment des injustices commises contre les paysans réduits en esclavage. Il consacre le pays à a Vierge Marie. Il choisit Notre Dame de Czestochowa comme Reine et Patronne de la Pologne en promettant de se dépenser pour réparer ces injustices.

- En 1809, la forteresse résista aux Autrichiens, mais quatre ans plus tard elle dut se rendre aux armées russes.

- A l'occasion du millénaire de l'évangélisation (1966) de la Pologne, le cardinal S. Wyszynski organisa le « pèlerinage » de maison en maison d'une copie de l'image de Czestochowa (puis, lorsque cela fut interdit, le pèlerinage du cadre vide mais évoquant toujours la présence mariale). Cette démarche dura pendant des années (1957-1980), elle eut un impact populaire très fort et fut le ferment de la résistance au communisme athée.

Le culte de Notre Dame de Czestochowa se répand dans le monde entier

A l'époque, des églises à son vocable commencent à être édifiées un peu partout . On en décompte actuellement 350, dont 300 en Pologne. Le culte de Notre Dame de Czestochowa se répand en Amérique du Nord, en Australie, en Afrique et en Asie.


Jasna Gora - Czestochowa : introduction

Le cœur du sanctuaire de Jasna Gora est l'icône. C'est l'icône elle-même qui attire les foules de pèlerins. Celui qui regarde l'icône se trouve immergé dans le regard de Marie, il regarde Marie qui le regarde. Ce sanctuaire a eu une importance dans l'identité nationale polonaise, mais son rayonnement dépasse les frontières. En 1994, plus de 4 millions de personnes provenant de 69 pays s'y sont rendues. De nombreux ex-votos témoignent des grâces et des miracles reçus.(1). On attribuait alors 2 610 « interventions miraculeuses » à la Vierge en ce lieu.

Jean Paul II s'y est rendu 6 fois. (2)

 (1) Site officiel : http://www.jasnagora.pl/

 (2) Patrick Sbalchiero article « CZESTOCHOWA I », dans : René Laurentin et Patrick Sbalchiero, Dictionnaire encyclopédique des apparitions de la Vierge. Inventaire des origines à nos jours. Méthodologie, prosopopée, approche interdisciplinaire, Fayard, Paris 2007

Czestochowa: des origines jusqu’au roi Jean Casimir II

Origine

Le monastère situé sur la colline de Jasna Gora (ce qui signiifie montagne lumineuse), à Czestochowa, fut fondé en 1382 par le roi Ladislao II (1330-1401). Pour commencer la vie monastique, furent envoyés par la Hongrie des moines de saint Paul ermite.

Deux ans après, en 1384, fut installée dans le monastère l'icône célèbre de la Vierge de Jasna Gora, venue de l'est et dont la légende attribue la peinture à Saint Luc, qui aurait utilisé la planche de la table sur lequel priait et prenait nourriture la Famille. Mais les spécialistes pensent que l'icône originelle, d'origine byzantine, datait d'une période comprise entre le VI° et le IX° siècle[1].

Avec la montée d'une nouvelle dynastie polonaise, celle des Jagelloni, fondée par le couple d'Edwige () de Hongrie et le grand duc de Lituanie Ladislao II (+1334), que j'appellerai le début du "siècle d'or" de l'histoire de la Pologne, le sanctuaire se développa considérablement, surtout à travers les nombreux bénéfices accordés par des familles royales suivantes. Ainsi, le culte de Jasna Góra eut de plus en plus un caractère national et la Vierge devint la protectrice de la nouvelle dynastie et le palladium du Royaume. Ainsi, à la fin du XIV° siècle Jasna Gora est déjà le principal centre de pèlerinage en Pologne.

En 1430, les Hussites venus de Tchéquie pillent le sanctuaire et balafrent l'icône, brisée en trois morceaux. En 1523, après une tentative de restauration avortée cause à des réactions chimiques entre la peinture et la cire, une nouvelle œuvre est réalisée puis entaillée aux mêmes endroits pour garder la mémoire du méfait. [2]

Devenue symbole identitaire de la Pologne, c'est à la Vierge de Jasna Gora que les grandes victoires de la nation sont attribuées: contre les Tartares, en 1487 et en 1527, contre Moscou, en 1514, quand furent remis à la Vierge noire les étendards pris à l'ennemi, et sur les Turcs de l'Islam, à Chocim en 1621 et à Lwov ou Leopoli en 1675. Ce sont ces victoires qui ont valu à la Pologne le titre d'Avant mur de la chrétienté à l'Est, comme ce fut le cas pour l'Espagne à l'Ouest.

Les voeux du roi Jan II Kazimierz (1656)

Décisifs dans l'histoire politico-religieuse de la Pologne furent les trois "voeux", fait par le roi Jan II Kazimierz, en 1656, devant l'icône de l'Oumilénie, dans la cathédrale de Leopoli (Ukraine), pendant la messe solennelle célébrée par le nonce apostolique en Pologne.

Dans la formule des voeux le roi promit:
  1. de prendre la Mère de Dieu comme Patronne personnelle et Reine des Polonais: "patronam meam, meorumque Dominiorum Reginam";
  2. de demander au saint Siège une messe en honneur de Marie, Reine de la Couronne, voeux que les moines de Jasna Gora se sont ensuite chargés d'acquitter;
  3. et de libérer les pauvres : un voeu extrêmement significatif fait avec ces mots:
"Comme, avec extrême douleur, je m'aperçois que ton Fils, juge équitable fustigea ce Royaume durant sept ans avec le fouet de la peste, des guerres et d'autres calamités, je promets et je m'engage solennellement, à cause des larmes et de l'oppression des paysans, qu'une fois la paix restaurée, je mettrai tout mon soin et j'appliquerai tous les moyens pour libérer le peuple de mon Royaume des taxes injustes et des oppressions." [3]

[1] D. Aucremanne, « La dévotion mariale à Czestochowa », La Dévotion mariale de l'an mil à nos jours. Etudes réunies par Bruno Béthouart et Alain Lottin, Artois Presses Université, 2005, 132-136, p. 134.

[2] Patrick Sbalchiero article « CZESTOCHOWA I », dans : René Laurentin et Patrick Sbalchiero, Dictionnaire encyclopédique des apparitions de la Vierge. Inventaire des origines à nos jours. Méthodologie, prosopopée, approche interdisciplinaire, Fayard, Paris 2007

[3] Cf. Bogùmil LEWANDOWSKI, Tutti consacrati alla Madonna, Romagrafik, Roma 1988, p. 161-162 : texte complet en italien des vœux du roi Jean Casimir ; texte latin ap. K. MROCZEK, op. cit., p. 128

Clodovis BOFF
Marianum, Rome.

Czestochowa (Jasna Gora) : de 1717 à 1980

Le 8 septembre 1717

Le 8 septembre 1717 la Vierge de Jasna Góra fut officiellement couronnée comme "Reine" de la Pologne avec les deux couronnes d'or envoyées par le Pape Clément XI, et qui en 1909 ont été volées. Ainsi Marie devint non seulement pour chaque Polonais mais aussi pour la nation comme telle, comme le dit le pape Jean Paul II "l'incarnation de son autonomie, de sa souveraineté, de son identité et de sa place parmi les nations du monde." [1] Plus tard, en 1926, les femmes polonaises, en signe de remerciement, ajoutèrent aux côtés du saint tableau les insignes royaux : le sceptre et le globe.

L'année 1946

En janvier 1945 les Allemands abandonnèrent le sanctuaire. Mais la "libération" si désirée ne fut qu'une furtive lueur ; la même année, tombe sur la Pologne la domination russe et communiste, pour des décennies. Les difficultés considérables, au lieu d'affaiblir l'identité religieuse et mariale du pays, ne firent que l'aiguiser.

En 1946, devant 700.000 pèlerins à Jasna Góra, s'accomplit l'acte de Consécration de la Pologne au Coeur Immaculé de Marie.

1956, le 300º anniversaire des voeux du roi Jean II Casimir

Pour le 300º anniversaire des voeux du roi Jean II Casimir, c'est-à-dire en 1956, se renouvellent, de manière actualisée, les mêmes voeux à travers un texte très important rédigés par le Cardinal Wyszinski, alors en prison. Ce document a été défini par Jean Paul II « la chartre polonaise des droits de l'homme ».

En effet, après avoir avoué son "repentir... pour ne pas avoir jusqu'à présent réalisé les voeux et les promesses de nos pères",

la nation s'engage devant Dieu à observer les droits de la vie, du mariage indissoluble, de la femme, du foyer domestique ;

elle promet de lutter contre les "défauts nationaux": "l'insouciance, le gaspillage, l'ivresse, la débauche" ;

elle promet de "travailler avec insistance pour que les fils de la Nation vivent dans l'amour et dans la justice... ; de partager avec joie... les fruits de la terre et les fruits du travail, pour que sous le toit commun... il y n'ait pas d'affamés, de sans abris et de désespérés" ;

et finalement elle se consacre toute entière à Dieu par Marie. [2]

La préparation du millénaire du bapteme en Pologne

Dans le cadre de la "Grande Neuvaine" (1957-1966) pour le Sacrum Poloniae Millennium (1966), deux initiatives pastorales de grande signification ont été lancées:

1. Le renouvellement de l'Appel de Jasna Gora.

Cette pratique se répandit après la seconde Guerre, et c'est devenue une habitude parmi les Polonais fidèles. Il consiste à réciter, à 21 heures - moment de fermeture de la journée du sanctuaire - soit dans le sanctuaire même ou en union spirituelle, la prière suivante:

"Marie, Reine de la Pologne je suis près de toi, je me rappelle de toi, je veille".

Relancé à l'occasion de la "Grande Neuvaine", cet "appel" fut repris par le Pape en 1983 et il en profita pour donner un discours d'empreinte sociale forte. [3]

2. La Peregrinatio Mariae (1957-1980).

Ce fut une autre idée du cardinal Wyszinski, consistant à porter une copie de l'icône du Czestochowa en visite aux différents endroits de la Pologne. Mais comme l'image était le symbole de l'unité de la nation et servait de fil qui, en passant à travers tout le pays, cousait effectivement cette unité. Le gouvernement communiste s'y opposa et mit l'image "sous garde". Cette "incarcération" de la Vierge eut l'effet contraire: au lieu de ralentir, les pérégrinations reprirent avec plus vigueur, animées maintenant d'un symbole plus puissant encore : un cadre vide...

Une mission universelle et un don de soi radical

Pour l'année du Millénaire du baptême de la Pologne (1966), l'église réalisa à Jasna Góra, avec la meilleure solennité, "l'acte millénaire de consécration en esclavage* à Marie" dans lequel on remarque la préoccupation de l'Église polonaise pour le sort "de l'église dans le monde entier". Cette intention universaliste s'observe mieux encore dans la Consécration de 1971 où est remise à la Vierge de Czestochowa "toute l'humanité, toutes les nations et les peuples". Serait-ce un signe de la conscience que la Pologne a au sujet de sa "mission universelle ?"

* Ce terme n'est surtout pas à prendre au sens habituel d'aliénation. Il signifie le choix d'orienter la liberté vers Dieu, la lumière et la joie qui viennent de Marie. Evidemment un tel esclavage laisse libre et on peut recommencer tous les matins une consécration en esclavage à Dieu en Marie ! Tout cela est expliqué par saint Louis-Marie de Montfort.



[1] Homélie à Castel Gandolfo, 26/08/1985.

[2] Cf. Bogùmil LEWANDOWSKI, Tutti consacrati alla Madonna, Romagrafik, Roma 1988, p. 161-162: texte complet en italien des vœux du roi Jean Casimir, p. 165-168.

[3] Cf. "Appel de Jasna Gora" le 12/06/87 et Allocution à Jasna Gora le 13/06/87




Madonna di Czestochowa


Il tesoro più prezioso di Jasna Gòra è il Quadro Miracoloso della Madonna. Ciò che rese in breve tempo Jasna Gòra il più famoso santuario del paese, che già contava numerosi luoghi di culto mariano, non fu forza della tradizione che vuole l'Evangelista Luca autore del quadro, né la perlazione dei reali che da sempre avevano cara Jasna Gòra: Ciò che rese questo luogo famoso è la presenza miracolosa dell'Immagine che ha sempre richiamato pellegrini da tutta la Polonia e dal mondo intero, come attestano i numerosissimi ex-voto.

Sui dolci pendii di Jasna Gòra, la “montagna luminosa”, che circonda la città di Czestochowa, il santuario è adagiato su una collina di bianche rocce, nella parte occidentale della città. I polacchi sono abituati a legare a questo Santuario le numerose vicende della loro vita: i momenti lieti come quelli tristi, le decisioni solenni, come la scelta del proprio indirizzo di vita, la vocazione religiosa oppure il matrimonio, la nascita dei figli, gli esami di maturità... Essi si sono abituati a venire con i loro problemi a Jasna Gòra per confidarli alla Madre Celeste, davanti alla sua Immagine Miracolosa. Questa Immagine si può dire che è il cuore del santuario di Jasna Gòra ed è anche quella forza, misteriosa e profonda, che attira ogni anno folle sterminate di pellegrini, dalla Polonia e da ogni altro luogo del mondo.


Il dipinto della Madonna ha una storia complessa. La tradizione dice infatti che sia stato realizzato da San Luca su di un legno che formava il tavolo adoperato per la preghiera e per il cibo dalla Sacra Famiglia. L’evangelista avrebbe composto a Gerusalemme due quadri allo scopo di tramandare l’incomparabile bellezza di Maria. Uno di essi, arrivato in Italia, è tuttora oggetto di culto a Bologna; l’altro, fu dapprima portato a Costantinopoli e deposto in un tempio dall’imperatore Costantino. Successivamente fu donato al principe russo Leone, che prestava servizio nell'esercito romano, il quale trasferì l’inestimabile reliquia in Russia dove, per numerosi miracoli, fu intensamente venerata. 
Nel corso della guerra intrapresa da Casimiro il Grande, il quadro fu nascosto nel castello di Beltz e finalmente affidato ai principe di Opole. Questi, alla vigilia di una dura battaglia contro le truppe tartare e lituane che assediavano Beltz, aveva invocato la sacra immagine e, dopo la sospirata vittoria, indicò Maria come Madre e Regina. Si racconta anche che, durante l’assedio, un tartaro ferisse con una freccia il bellissimo volto della Vergine dalla parte destra e che, dopo la sacrilega profanazione, una fittissima nebbia, sorta d'improvviso, mettesse in difficoltà gli assedianti. Il principe, allora, approfittando del momento favorevole, si gettò con le truppe contro il nemico e lo sconfisse. 

Altri documenti assicurano che, terminata l’amministrazione del principe Ladislao nella Russia, il quadro fu caricato su di un carro con l’intenzione di portarlo nella Slesia ma, tra lo stupore di tutti, i cavalli, pur ripetutamente sferzati, non si muovevano. Il principe ordinò allora di attaccarne di nuovi, senza però ottenere alcun risultato. Sconvolto, si inginocchiò a terra e promise di trasferire la venerata effigie sul colle di Czestochowa, nella piccola chiesa di legno. In seguito egli avrebbe innalzato una basilica nel medesimo luogo ad onore di Dio onnipotente, della Vergine Maria e di tutti i Santi e, contemporaneamente realizzato un convento per i frati eremiti dell’Ordine di San Paolo.

Ma le vicissitudini della Madonna Nera non erano ancora finite. Nel 1430 alcuni seguaci dell’eretico Giovanni Hus, provenienti dai confini della Boemia e Moravia, sotto la guida dell’ucraino Federico Ostrogki, attaccarono e predarono il convento. Il quadro fu strappato dall’altare e portato fuori dinanzi alla cappella, tagliato con la sciabola in più parti e la sacra icona trapassata da una spada. Gravemente danneggiato, fu perciò trasferito nella sede municipale di Cracovia e affidato alla custodia del Consiglio della città; dopo un accurato esame, il dipinto venne sottoposto ad un intervento del tutto eccezionale per quei tempi, in cui l’arte del restauro era ancora agli inizi. Ecco allora come si spiega che ancora oggi siano visibili nel quadro della Madonna Nera gli sfregi arrecati al volto della Santa Vergine.

Secondo i critici d’arte il Quadro di Jasna Gòra sarebbe stato in origine un’icona bizantina, del genere “Odigitria” (“Colei che indica e guida lungo la strada”), databile tra il VI e il IX secolo. Dipinta su una tavola di legno, raffigura il busto della Vergine con Gesù in braccio. Il volto di Maria domina tutto il quadro, con l’effetto che chi lo guarda si trova immerso nello sguardo di Maria: egli guarda Maria che, a sua volta, lo guarda. 

Anche il volto del Bambino è rivolto al pellegrino, ma non il suo sguardo, che risulta in qualche modo fisso altrove. I due volti hanno un’espressione seria, pensierosa, che dà anche il tono emotivo a tutto il quadro. La guancia destra della Madonna è segnata da due sfregi paralleli e da un terzo che li attraversa; il collo presenta altre sei scalfitture, due delle quali visibili, quattro appena percettibili. 

Gesù, vestito di una tunica scarlatta, riposa sul braccio sinistro della Madre. La mano sinistra tiene il libro, la destra è sollevata in gesto di sovranità e benedizione. La mano destra della Madonna sembra indicare il Bambino. Sulla fronte di Maria è raffigurata una stella a sei punte. Attorno ai volti della Madonna e di Gesù risaltano le aureole, la cui luminosità contrasta con l’incarnato dei loro visi.

Dopo la profanazione e il restauro, la fama del santuario crebbe enormemente e aumentarono i pellegrinaggi, a tal punto che la chiesa originaria si rivelò insufficiente a contenere il numero dei fedeli. Per questo motivo, già nella seconda metà del secolo XV, accanto alla Cappella della Madonna, fu dato avvio alla costruzione di una chiesa gotica a tre ampie navate.

Nel 1717 il quadro miracoloso della Madonna di Jasna Góra fu incoronato col diadema papale e, a cominciare dal secolo scorso, numerose chiese a lei dedicate furono erette in tutto il mondo: attualmente se ne contano circa 350, di cui 300 soltanto nella Polonia. 

La fama sempre crescente dell’immagine miracolosa della Madre di Dio fece sì che l’antico monastero diventasse nel corso degli anni mèta costante di devoti pellegrinaggi. Il culto della Madonna Nera di Czestochowa si è esteso così fino al continente americano, in Australia, in Africa e anche in Asia. Una devozione che non ha confini, che ha toccato il cuore di molti, e che è stata particolarmente cara – come ogni polacco che si rispetti – al nostro venerato Santo Padre, Giovanni Paolo II, che di Maria è sempre stato il devoto più fedele.



Autore: Maria Di Lorenzo