Granada Cathedral, or the Cathedral of the Incarnation (Spanish: Catedral de Granada, Santa Iglesia Catedral Metropolitana de la Encarnación de Granada), Granada, Autonomous Region of Andalusia, Spain.
Bienheureuse María Emilia
Riquelme Zayas
Fondatrice des
Missionnaires du St. Sacrement et de l'Immaculée (+ 1940)
- béatifiée le 9 novembre 2019 à Grenade, homélie (en espagnol)
- Le 19 mars 2019, décret de reconnaissance d'un miracle attribué à l'intercession de Maria Emilia Riquelme y Zayas (en italien)
- Promulgation de décrets du 15 décembre 2015 (en italien): vertus héroïques de la servante de Dieu María Emilia Riquelme Zayas, religieuse espagnole fondatrice des Missionnaires du St. Sacrement et de l'Immaculée (1847 - 1940).
Née le 5 août 1847 à Grenade, Emilia n'a que 7 ans quand sa mère meurt. Sa confiance en Marie et son amour pour elle marquent définitivement sa vocation.
Elle consacre son temps à la catéchèse et aux pauvres.
A la mort de son père en 1885, elle entre dans la vie religieuse et en 1896 elle fonde une nouvelle congrégation.
Poussée par l'Esprit Saint, María Emilia Riquelme Zayas a consacré sa vie à la louange et à l'adoration, à l'évangélisation par l'éducation chrétienne comme moyen privilégié.
La Congrégation des Missionnaires du Saint-Sacrement et de Marie Immaculée, qu'elle a fondée, accomplit sa mission d'évangélisation en Asie, en Afrique, en Amérique et en Europe, en essayant de maintenir vivant l'esprit de sa fondatrice dans toutes les activités et en particulier dans la dimension éducative.
Maria Emilia meurt à Grenade le 10 Décembre 1940.
En espagnol:
- “No quiero ser santa sola”, beatificación de María Emilia Riquelme en Granada
- Site internet des Misioneras del Santísimo Sacramento y María Inmaculada
- la mère fondatrice
- Réseau des centres
des Misioneras del Santísimo Sacramento y María Inmaculada
- Œuvres pontificales
missionnaires
- Pan partido para nuestros hermanos (Pain rompu pour nos frères) María Emilia Riquelme y Zayas, fondatrice
SOURCE : https://nominis.cef.fr/contenus/saint/13056/Bienheureuse-Mar%C3%ADa-Emilia-Riquelme-Zayas.html
Blessed María
Emilia Riquelme y Zayas
Profile
Born to pious parents,
the daughter of Joaquín Riquelme y Gómez and María Emilia Zayas de la Vega. She
received a good education, studying painting, singing, piano and
languages. At age 7, Maria received a vision of
the Blessed
Virgin Mary with the Child Jesus; she made a vow to devote herself
to God,
and consecrated herself to Our
Lady of Carmel. Maria’s mother died when
the girl was
8 years old.
As she grew older, she
explained her call to religious life to her father;
he wouldn’t have it, and arranged many social events for her; she wouldn’t have
it and ignored most of them to spend her time visiting hospitals and
ministering to the poor.
Any money she received, she gave away to poor young women to
keep them from a life of prostitution, and to young men
who felt a call to the priesthood.
When her father died in 1885,
Maria tried to enter religious life, but health
problems forced her to give up. She built a chapel at
her house, and spent her time praying and
helping the poor.
Her work and personal piety attracted other like-minded women,
and they formed a community which became the Congregation of the
Missionary Sisters of the Most Blessed Sacrament and Mary Immaculate. They
received archdiocesan approval
in 1896,
and Mother Maria became their superior, serving the remaining 44 years of her
life. The Missionaries continue their good work today in Spain, Portugal, Colombia, Bolivia, Brazil and
the United
States.
Born
5
August 1847 in
Granada, Spain
10
December 1940 in
Granada Spain of
natural causes
14
December 2015 by Pope Francis (decree
of heroic
virtues)
9
November 2019 by Pope Francis
the beatification recognition
celebrated at the Cathedral of
Encarnación in Granada, Spain with Cardinal Giovanni
Angelo Becciu the chief celebrant
Missionary
Sisters of the Most Blessed Sacrament and Mary Immaculate
Additional
Information
other
sites in english
sitios
en español
Misioneras del Santisimo Sacramento y Maria Inmaculada
sites
en français
fonti
in italiano
Congregazione delle Cause dei Santi
sites
em português
MLA
Citation
“Blessed María Emilia
Riquelme y Zayas“. CatholicSaints.Info. 1 June 2023. Web. 10 December
2023.
<https://catholicsaints.info/blessed-maria-emilia-riquelme-y-zayas/>
SOURCE : https://catholicsaints.info/blessed-maria-emilia-riquelme-y-zayas/
Beata Maria Emilia
Riquelme y Zayas Vergine e fondatrice
Granada, Spagna, 5 agosto
1847 – 10 dicembre 1940
María Emilia Riquelme y
Zayas nacque a Granada in Spagna il 5 agosto 1847, primogenita di una famiglia
di militari. Rimase orfana di madre sette anni più tardi. Aveva tutto quello
che una ragazza di buona famiglia poteva desiderare, ma l’Eucaristia l’attraeva
sempre di più. Chiese quindi a suo padre di potersi consacrare a Dio, ma si
sentì rispondere di no. Il suo confessore, dunque, le suggerì di aspettare
finché il genitore fosse rimasto in vita. María Emilia gli rimase accanto fino
alla morte, avvenuta nel 1885. Distribuì allora l’eredità paterna ai poveri e
raddoppiò il suo impegno caritativo, finché non le fu chiaro di dover dare vita
a una nuova opera, che inizialmente definì Opera della Vergine. Il nome
ufficiale fu però Religiose Missionarie del Santissimo Sacramento e di Maria
Immacolata: così venne a definirsi la comunità che, dall’abitazione di María
Emilia a Granada, si diffuse inizialmente in Spagna, Brasile e Portogallo. A
novantatré anni, il 10 dicembre 1940, la fondatrice rese l’anima a Dio. È stata
beatificata a Granada il 9 novembre 2019, sotto il pontificato di papa
Francesco, e contestualmentte la sua memoria liturgica è stata fissata al 10
dicembre. I suoi resti mortali sono venerati dal 2008 nella casa madre di
Granada.
Nascita e infanzia
María Emilia Riquelme y Zayas nacque a Granada, in Spagna, il 5 agosto 1847, da don Joaquín Riquelme y Gómez, tenente colonnello dell’Esercito spagnolo, e doña María Emilia Zayas Fernández de Córdoba y de la Vega, che vantava tra i suoi antenati Gonzalo Fernández de Córdoba, detto il Gran Capitano.
Fu battezzata dopo due giorni dalla nascita, con i nomi di María Emilia,
Joaquina, Rosario, Josefa, Nieves de la Santísima Trinidad: un elenco così
lungo era per non scontentare nessun parente, come si usava tra le famiglie
nobili del tempo. Suo padre aveva sperato che il primogenito fosse un maschio,
ma l’erede venne dopo di lei.
Entrambi i genitori educarono María Emilia con attenzione e con profonda
religiosità. Di notte, spesso le accadeva di essere svegliata dal grido delle
guardie di vedetta nella guarnigione dove abitava con la famiglia: «Allerta,
sentinella!». Cominciò a pensare di dover essere pronta ad ascoltare la voce di
Dio, come i soldati pronti al comando dei loro superiori.
La morte della madre
A causa dell’impegno militare del padre, María Emilia dovette più volte cambiare domicilio. La sofferenza più grande, però, venne per lei quando aveva sette anni, con la morte di sua madre. Da quel momento, il padre riversò ancora più amore su di lei e sugli altri tre figli venuti nel frattempo.
Il dolore per aver perso colei che l’aveva messa al mondo non venne meno, almeno finché non ebbe, sempre quando aveva sette anni, un’esperienza speciale che le fece comprendere come la Vergine Maria dovesse essere la sua vera madre. In quell’apparizione, la Madonna aveva in braccio Gesù bambino, la colmò di carezze e le promise che sarebbe stata sempre al suo fianco. María Emilia ricambiò promettendo di esserle fedele.
Dopo un ulteriore trasloco a Siviglia, venne iscritta in un collegio dove le
famiglie nobili della città inserivano le loro figlie. Dopo un anno, si
trasferì al collegio per fanciulle nobili di Leganés, presso Madrid.
Una ragazza di buona famiglia
A quindici anni, María Emilia lasciò il collegio. Aveva imparato tutto quello che poteva servire a una ragazza del suo ceto: parlava il francese alla perfezione ed era molto abile nel ricamo in seta e in oro, nel cucito e nell’equitazione. Non era granché dotata come pittrice, ma aveva un certo gusto artistico.
Spesso le accadeva di accompagnare suo padre alla corte della regina Isabella
II, oppure in riunioni e feste tra nobili. Tuttavia, continuava a risuonare in
lei il grido di allerta che aveva udito nell’infanzia e che continuava a
sentire in tutte le destinazioni di suo padre: Pamplona, Madrid, Tenerife,
Siviglia, La Coruña.
«I poveri sono miei amici»
Nel resto del tempo, si comportava da perfetta padrona di casa e badava con pazienza al fratello Joaquín, gravemente malato. In più, cominciò a radunare in casa alcuni bambini poveri, per assisterli, insegnare loro il catechismo e prepararli ai Sacramenti.
Grazie al passaparola, i frequentatori aumentarono notevolmente. In molte occasioni, María Emilia dovette superare il ribrezzo istintivo che provava di fronte alla miseria e alla sporcizia di quei bambini.
Il suo stile di vita si fece sempre più sobrio. Partecipava ancora alle feste, ma quando si trovava presso i duchi di Villahermosa, con la complicità della duchessa, si allontanava e andava in una casetta poco distante dalla villa, per confezionare abiti per i poveri, pregare o per riposarsi semplicemente.
Suo padre la supplicava di vestirsi all’ultima moda, ma lei replicava: «Di
vestiti ne ho tanti che trasformandoli diventano nuovi; tutto quello che mi
dai, sia per i poveri… sì, i poveri sono immagine di Gesù, i poveri sono miei
amici».
La vocazione
A dodici anni, María Emilia aveva emesso il voto di castità in forma privata. Nove anni dopo, il 2 febbraio 1868, decise di manifestare al padre il suo desiderio: diventare una religiosa quanto prima. Suo padre rimase sconvolto: convocò in casa il direttore spirituale della figlia e altri sacerdoti suoi amici.
Il risultato fu che le ordinarono di offrire a Dio il sacrificio di rinunciare a quella scelta, finché non fosse venuto il momento giusto. Il direttore spirituale suggerì di aspettare almeno la morte del padre. María Emilia riprese la sua vita ordinaria, anche se soffrì molto. Non per questo, però, venne meno nella sua aspirazione.
Suo padre, intanto, si trasferì a Lisbona, lasciandola presso alcuni parenti.
María Emilia ricevette una proposta di matrimonio da parte di un cugino,
Eduardo Díaz del Moral y Riquelme. Rifiutò con garbo, perché, se da una parte
aveva accettato di obbedire al padre, dall’altra non voleva rinunciare per
nulla al mondo a essere sposa di Cristo.
A Lisbona
Anche per tagliare corto con quella e con altre proposte di matrimonio, accettò di riunirsi al padre, trasferendosi a Lisbona. Nello stesso periodo cominciò a pensare di voler istituire un’opera per l’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, per ricambiare la compagnia che il Signore aveva voluto offrire agli uomini restando presente nell’Eucaristia.
Guidata da don Marcelo Spínola, parroco della chiesa di San Lorenzo, entrò
nelle Conferenze di San Vincenzo de’ Paoli e lavorò come maestra di lavori
domestici nella scuola fondata dal parroco per le bambine povere. Anche
quell’esperienza lasciò in lei un solco profondo.
La morte di don Joaquín
Suo padre, intanto, peggiorava in salute. Il colpo definitivo avvenne durante una delle abituali passeggiate in carrozza che compiva con lei: María Emilia ne uscì illesa, ma don Joaquin ebbe parecchie ferite al volto. Nei giorni successivi ebbe una forte emorragia. La figlia gli rimase accanto per i tre mesi successivi, fino alla morte, avvenuta nel febbraio 1885.
A quel punto, María Emilia si ritirò definitivamente dalla vita sociale.
Distribuì gran parte del patrimonio di cui era rimasta la sola erede, dato che
il fratello Joaquin era morto tempo addietro e gli altri fratelli non avevano
superato l’infanzia. Don Spinola le offrì di entrare nella prima comunità della
congregazione religiosa da lui fondata, ma la lasciò dopo un anno e mezzo, per
motivi di salute.
Una ricerca continua
Tornata a Siviglia, María Emilia riprese a vivere come dopo la morte del padre. Le sue giornate erano scandite dalla preghiera, dall’adorazione dell’Eucaristia e dalla visita ai poveri. Allo stesso tempo, però, continuava a pensare alla consacrazione religiosa.
Chiese quindi aiuto a madre Angela della Croce, fondatrice delle Sorelle della Compagnia della Croce (canonizzata nel 2003), che conosceva e a cui aveva elargito molte offerte. La religiosa rispose che, se fosse stato per lei, l’avrebbe accettata, ma sentiva che il volere di Dio era un altro.
María Emilia insistette, però madre Angela, dopo una breve prova, le fece
capire che quello non era il suo posto. Avendo ottimi rapporti con la superiora
delle Riparatrici, domandò poi l’ammissione presso di loro, ma si ammalò non
appena si conclusero le fasi formali per il suo ingresso.
La cappella privata
Se non poteva stare presso il Signore, poteva però fare in modo che Lui fosse accanto a lei. Nella casa di Siviglia, come anche in altre abitazioni, María Emilia aveva un ambiente adibito a cappella, con un’immagine dell’Immacolata Concezione.
Decise quindi di chiedere il permesso all’autorità competente per potervi
ospitare il Santissimo Sacramento. Da allora, non ebbe più bisogno di bussare
alle porte dei conventi, perché poteva trascorrere tutto il tempo che voleva
davanti a Gesù.
Ritorno a Granada
Un giorno, mentre esaminava le sue proprietà insieme al loro amministratore, si soffermò su quella denominata “Orto di San Girolamo”, un ampio appezzamento di terra a distanza sufficiente dalla città di Granada. Cominciò a immaginare di edificarvi una cappella per l’Adorazione perpetua, una piccola casa per lei e per una dama di compagnia, e poco altro.
Cercò di scacciare quella che riteneva una fantasticheria, ma le tornava alla mente con insistenza sempre maggiore. Anche durante la preghiera soppesava continuamente i vantaggi e le prospettive di fallimento, ma alla fine prese la sua decisione. Si trasferì definitivamente a Granada con la sua dama e l’architetto incaricato del progetto; era ormai il 1892.
La costruzione cominciò, ma erano appena stati edificati i muri portanti che cominciarono ad arrivare commenti malevoli nei suoi riguardi. María Emilia fu colta nuovamente dai dubbi, oscillando tra una vita tutto sommato buona e l’aspirazione a qualcosa di più perfetto, che alla fine ebbe il sopravvento.
Fu cacciata dall’appartamento che aveva preso in affitto, per cui dovette far
costruire anche la nuova abitazione il prima possibile. L’architetto se n’era andato,
così presiedette lei stessa ai lavori, meravigliando gli operai.
Le prime compagne
Alla fine, il complesso fu inaugurato: al centro, come aveva immaginato, la chiesa. María Emilia aveva pensato inizialmente d’invitarvi una comunità religiosa, ma comprese di doverne fondare una lei stessa, denominandola Opera della Vergine. Ne parlò col vescovo di Granada, che la conosceva da anni e che benedisse la nuova famiglia, ancora in gestazione.
Non passò molto tempo che, alla sua porta, bussarono le prime aspiranti. María Emilia si diede alla stesura delle Costituzioni, che furono approvate per un anno. Intanto aveva aggiunto un nuovo fine alla sua opera, dopo aver letto gli “Annali della Propagazione della Fede”: l’evangelizzazione missionaria. Anche in quel caso, il vescovo le diede via libera.
Infine, il 25 marzo 1896, venne ufficialmente data vita alle Religiose
Missionarie del Santissimo Sacramento e di Maria Immacolata, con la professione
religiosa della fondatrice e delle prime sette compagne. Il nuovo nome univa le
due più grandi passioni di madre María Emilia: l’’Eucaristia, che definiva “il
paradiso in terra” mentre l’adorazione era “la mia ora di cielo, il mio ristoro
e riposo spirituale”, e l’Immacolata, cui era devota sin da piccola.
L’espansione
Alla casa madre di Granada si aggiunsero quelle in altre zone della Spagna (a Pamplona e a Madrid) e in Portogallo. L’espansione missionaria cominciò con una presenza in Brasile. In tutte le case, le religiose s’impegnavano a vivere cercando di conformarsi al dono eucaristico del Signore, per consolare i fratelli ed educare i più piccoli.
Intanto, madre María Emilia avviò i passi per il riconoscimento ufficiale, dopo
quello diocesano avvenuto l’anno stesso della fondazione. Il 2 febbraio 1909 fu
ottenuto il pontificio decreto di lode, mentre il 5 agosto 1912 giunse
l’approvazione definitiva. Un mese prima, il 3 luglio 1912, la congregazione
aveva ottenuto l’aggregazione all’Ordine dei Frati Minori.
Uno sguardo alla sua spiritualità
Madre María Emilia apprese come superare i timori che l’avevano colta confidando unicamente nella presenza del Signore. Così pregava: «Mio Dio e mio Tutto. In Dio trovo tutto, senza di Lui non voglio nulla, Lui mi soddisfa pienamente. Però, Signore, fa’ che mi conosca e ti conosca, che sospiri solo per la mia umiliazione e la tua gloria. Madre mia, solo tu puoi ottenermi questa grazia». Alle suore raccomandava: «Servire Dio con gioia è la stessa bontà. Siate sempre contente e gioiose, che Dio ci ama tantissimo».
Madre María Emilia morì nella casa madre di Granada il 10 dicembre 1940, a
novantatré anni. Quanti le erano accanto in quel momento la videro
addormentarsi col sorriso sulle labbra. Dal 2008 le sue spoglie mortali
riposano in quella stessa casa.
La causa di beatificazione e canonizzazione fino al decreto sulle virtù eroiche
Il nulla osta per l’avvio della causa di beatificazione e canonizzazione di madre María Emilia rimonta al 19 giugno 1982. Il processo cognizionale si è svolto nella diocesi di Granada dall’11 maggio 1983 al 28 aprile 1991, ottenendo la convalida giuridica il 14 marzo 1992.
La “Positio super virtutibus”, consegnata nel 1996, fu esaminata dai Consultori teologi della Congregazione delle Cause dei Santi, che il 18 maggio 2007 diedero parere positivo. L’11 ottobre 2011 furono i cardinali e i vescovi membri della stessa Congregazione a dare conferma circa l’esercizio in grado eroico delle virtù cristiane da parte sua.
Il 14 dicembre 2015, ricevendo in udienza il cardinal Angelo Amato, Prefetto
della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la
promulgazione del decreto con cui madre María Emilia Riquelme y Zayas veniva
dichiarata Venerabile.
Il miracolo per la beatificazione
Come presunto miracolo da esaminare per ottenere la sua beatificazione fu scelto il caso di Nelson Jesús Yepes Rodríguez, di Altamira in Colombia. Ricoverato presso la clinica del Rosario di Medellín per forti dolori allo stomaco, fu sottoposto a laparoscopia perché i medici non riuscivano a localizzare la sorgente dei dolori. Dall’esame emerse che aveva una pancreatite acuta.
Sua sorella Emilia Rosa Yepes Rodríguez, Missionaria del Santissimo Sacramento e di Maria Immacolata, appena seppe che era stato ricoverato, corse alla clinica e assistette agli esami, pregando continuamente e restando al suo fianco.
Il 16 marzo 2003, Nelson fu spostato in terapia intensiva, ormai privo di coscienza. Suor Emilia Rosa si procurò molti santini della fondatrice e li distribuì tra i parenti e gli amici, invitandoli a chiedere la sua intercessione. Lei stessa, quando poteva entrare nell’orario di visita, passava una di quelle immagini sul ventre del fratello, continuando a pregare. Durante la Messa che veniva celebrata ogni giorno in clinica, al momento della Consacrazione chiedeva con particolare insistenza il miracolo.
Pochi giorni dopo, Nelson cominciò a ridare segni di vita. Dalla terapia
intensiva passò a quella intermedia, fino a essere sistemato in camera. Anche
lui si unì alla preghiera, migliorando a tal punto che, un giorno, poté essere
portato a Messa in sedia a rotelle. Alla fine fu dimesso, dichiarato guarito.
La beatificazione
L’inchiesta diocesana sull’asserito miracolo fu convalidata l’8 febbraio 2008. Il 19 marzo 2019, ricevendo in udienza il cardinal Giovanni Angelo Becciu, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, papa Francesco autorizzò la promulgazione del decreto con cui la guarigione di Nelson Jesús Yepes Rodríguez era da considerare un miracolo ottenuto per intercessione di madre María Emilia Riquelme y Zayas.
La beatificazione della fondatrice si è svolta presso la cattedrale
dell’Incarnazione a Granada, col rito presieduto dal cardinal Becciu come
inviato del Santo Padre. Contestualmente è stata fissata la sua memoria
liturgica al 10 dicembre, anniversario della sua nascita al Cielo.
La sua eredità oggi
Le Missionarie del Santissimo Sacramento e di Maria Immacolata, dette anche
Riquelmine, hanno la casa madre a Granada e la casa generalizia a Madrid. Oltre
che in Spagna, Portogallo e Brasile, dopo la morte della fondatrice hanno
aperto case in Bolivia, Colombia, Messico, Stati Uniti, Angola e Filippine.
Nel 2010 è stata unita a loro la congregazione delle Zelatrici del Culto
Eucaristico, fondata nel 1874 dal sacerdote Miguel Maura Montaner, le cui
finalità, che comprendevano anche l’adorazione riparatrice, erano parzialmente
affini alle loro.
I laici che condividono il carisma della Beata María Emilia sono associati
nella Famiglia Laica Missami, ma esiste anche il movimento dei Missionari
Eucaristici Laici, promosso dalle religiose stesse.
Ci sono poi i Cooperatori della Famiglia Missami, che partecipano della stessa
missione anche se non sono cristiani o non seguono necessariamente lo stile
carismatico delle suore. Infine, i centri educativi seguiti da loro sono
raggruppati nella Rete di Centri EDUCAMISSAMI.
Autore: Emilia Flocchini
SOURCE : https://www.santiebeati.it/dettaglio/98253
Hna. María Emilia
Riquelme y Zayas
Fundadora de la
Congregación de Misioneras del Santísimo Sacramento y María Inmaculada. El
mundo de María Emilia es el de la vivencia limpia de la presencia de ese amor extremo,
vivo y personal de Dios, de la mano de María.
Por: Hna. Alejandra Poza Peña | Fuente: Misioneras del Santísimo Sacramento y
María Inmaculada
ENMARCANDO UNA VIDA
Marco político-social de España. Siglos XIX- XX
Corren malos tiempos para España. El siglo entero es un rosario de espinas con
escasas rosas. Empieza con la guerra de la independencia; sigue la emancipación
de los países americanos; las guerras carlistas, las del norte de África. Dos
desamortizaciones, una en 1836 y otra en 1855, despojan a la Iglesia española
de cuantiosos bienes. El expolio es tan mal administrado que no mejora la
situación de los campesinos pobres y sólo enriquece a los grandes potentados;
más la consiguiente ruptura con la Santa Sede.
El espíritu de la revolución francesa ha prendido en España y sobreviene el
violento choque entre la nueva ideología y los criterios ancestrales; la
transición del absolutismo hacia el liberalismo no se realiza sin grave
quebranto. No encuentran cauce adecuado las inquietudes suscitadas en pro del
proletariado. El partido progresista es el que avanza más rápidamente hacia la
democracia; el partido moderado reconoce la primacía del trono y tiende a
limpiar la participación de las cortes.
Las sociedades secretas manipulan impunemente a río revuelto. Unos defienden la
corona, otros la impugnan, y se valen del ejército para hundir al de enfrente.
Es el siglo de las constituciones, de los pronunciamientos, de las represalias,
del vaivén de exiliados que solían ser los vencidos en el levantamiento de
turno. Prolifera el anarquismo; los sistemas republicano y socialista toman un
cariz acatólico; la doctrina comunista se va difundiendo entre las masas. Es el
siglo de las terribles epidemias, del éxodo del campo a la ciudad, de las
crisis laborales, del paro obrero, del hambre que, paradójicamente, acompaña al
desarrollo industrial.
La segunda parte del siglo XIX, condicionada naturalmente por los convulsionismos
de la primera, fue fascinante para quien, como María Emilia, tuvo el coraje de
hacer frente a problemas inéditos. Y, otro tanto cabe decir de la primera parte
del siglo XX. Junto a las formas históricas tradicionales, y en pugna con
ellas, surgieron, a lo largo de la centuria casi completa, que abarcó su vida,
nuevos problemas sociales, culturales, religiosos y eclesiales.
La fermentación social fue un hecho, fácilmente constatable, a lo largo de todo
el siglo XIX, y, sobre ella, se echaron las bases, para que en el siglo XX
tuviese lugar una fundamental reforma o revolución de todas las estructuras. Si
no se tiene el ojo avizor, se puede caer, fácilmente, en la ingenuidad
histórica de pensar, que, en el siglo XIX, solamente estaba en crisis el
Antiguo Régimen, las viejas formas estructurales de la Iglesia y de la
sociedad. En la vida de la Iglesia no fue solamente cuestión de formas, sino
todo un nuevo planteamiento de su misión en el mundo.
Marco espacial. Granada
Granada, capital de Andalucía Oriental, se recuesta, en la confluencia de los
ríos Darro y Genil, sobre unas colinas onduladas que, desde la Alhambra y el
Albaicín, son una suave prolongación de las crestas imponentes de Sierra
Nevada, hasta difuminarse en la Vega ancha, fecunda y luminosa.
Granada fue, desde los tiempos más remotos de la prehistoria, cruce de caminos
culturales. Allí se encuentran vestigios de la presencia del hombre
prehistórico, evidencias de la cultura megalítica, rastros de la cultura
ibérica; coincidencias, si no influencias, con la cultura micénica; fenicios,
griegos, cartagineses, romanos lucharon por estas tierras y fundaron algunas
colonias; los vándalos dejaron huellas de sus arrasamientos y la espléndida
cultura visigoda cedió su puesto, después del año 711, a la cultura musulmana.
En el siglo VIII, una colonia judía funda propiamente la ciudad de Granada en
su emplazamiento actual. La cultura musulmana de Granada se ha remansado, en su
máximo esplendor, en la Alhambra, un palacio real y fortaleza militar, que no
tiene par en ninguna otra ciudad islámica.
En 1492, la reconquista, llevada a cabo por los Reyes Católicos, Isabel y
Fernando, señala el comienzo de la importancia decisiva de Granada en el
desarrollo político de España, al darle un cuerpo unitario a la nación.
Granada tiene también una larga tradición religiosa, que se remonta a los
primeros siglos de la Iglesia en España. Por sus calles corrió la santidad a
raudales con Santos y Fundadores de distintas Congregaciones Religiosas.
Hasta el siglo XIX, Granada fue la misma que en la época de la reconquista de
los Reyes Católicos. Después de 1836, la desamortización y expropiación de los
conventos determinó el desarrollo urbanístico de Granada. La cuestión social,
especialmente la pobreza del campesinado, provocará en toda Andalucía una
rebelión, que en Granada adquirió caracteres de verdadera gravedad.
Marco humano-familiar
Los ascendientes de María Emilia estaban muy arraigados en la sociedad
granadina de su tiempo.
El padre de María Emilia, D. Joaquín Riquelme y Gómez, nació en Granada, el día 17 de agosto de 1812, cuando, en las calles, eran aún bien palpables las huellas de la vejatoria ocupación de la ciudad, por las tropas de Napoleón. Al contar 13 años ingresó, como cadete, en el Colegio General Militar. Durante su formación castrense fue bien imbuido en los más altos valores del honor, de la religión y de la patria, sin que faltara una buena dosis de “machismo” militar.
Su carrera militar fue verdaderamente fulgurante: los ascensos se sucedieron
vertiginosamente, unos por antigüedad, otros por elección, y otros por méritos
de guerra; al casarse en 1846 era ya Teniente Coronel, y llegó hasta el grado
de Teniente General.
La madre de María Emilia, Doña María Emilia Zayas Fernández de Córdoba y de la
Vega, había nacido también en Granada, el día 13 de julio de 1815; entre sus
ascendientes figura D. Gonzalo Fernández de Córdoba, El Gran Capitán; por lo
cual no es de extrañar, que en su familia abundasen los militares ilustres.
Un indicio de la esmerada educación que había recibido Doña María Emilia Zayas,
muy en consonancia con la preparación habitual, que cualquier señorita de su
clase recibía para el buen desempeño de los menesteres de su casa, y el mejor
comportamiento entre las gentes de su alta clase social, es el que hablase
correctamente el francés y tuviese un conocimiento suficiente para traducir el
italiano.
El testimonio más sincero de la fe cristiana y de la acendrada piedad
eucarística y mariana de D. Joaquín Riquelme, y que su esposa compartía sin
duda, se halla en las cartas que él escribió a su hija María Emilia.
La calidad humana y espiritual de Doña María Emilia Zayas la resumió su hija en
unos versículos del retrato de la mujer perfecta del libro de los Proverbios,
grabada en la lápida sepulcral del panteón que, para sus padres y hermanos,
erigió en la Iglesia de la Casa-Madre de Granada:
“No comió el pan de la ociosidad, abrió su mano al pobre, sus adornos fueron la
fortaleza y el recato: por esto confió en ella el corazón de su esposo, sus
hijos la proclamaron dichosa”.
Un matrimonio así, de tan profundo espíritu cristiano, no podía olvidarse del
socorro a los pobres, que venían a mendigar a la puerta de su casa; y atendían
también, con toda discreción, a quienes, por vergüenza, no se atrevían a
mendigar, pero que estaban verdaderamente necesitados. Este espíritu caritativo
fue una lección bien aprendida por su hija María Emilia, la cual, cuando quede
dueña de la amplia fortuna de sus padres, la empleará, en buena medida, para socorrer
a los pobres.
Someramente hemos señalado la “circunstancia” y el “escenario” en los que se
desarrolló la andadura existencial de María Emilia Riquelme; que repercutieron,
sin duda, en su formación personal, humana y cristiana; y también en el desempeño
de la misión que la Divina Providencia le asignó en la Iglesia y en la
sociedad.
María Emilia Riquelme no solamente fue testigo, sino causa y efecto, también,
de los avatares del tiempo en que le tocó vivir. Ella no fue un testigo
meramente pasivo, que veía los acontecimientos y los dejaba correr; todo lo
contrario, ella fue protagonista directa de buena parte de esos
acontecimientos: porque, en unas ocasiones, será víctima de ellos; y, en otras,
quiso personalmente enderezarlos de otra manera. Ella siguió con preocupación,
no sólo con curiosidad, el curso de los hechos históricos; los estudió, los
analizó, y supo situarse en su contexto, buscando las causas próximas y
remotas. No podía ser de otro modo, en una persona que se sintió llamada por
Dios, a fundar una Congregación religiosa apostólica; que habría de intervenir,
de una manera decidida, en la formación de niñas y jóvenes, a quienes tenía que
capacitar, para que se enfrentaran, personalmente, a la realidad de la vida;
comprometiéndose, también, en una acción evangelizadora directa del Pueblo de
Dios. Ella oteó el horizonte próximo y lejano de su tiempo; ella fue una mujer
de su tiempo; una mujer actual; y, precisamente, por ser actual, en su contexto
histórico, supo adelantarse al futuro con un compromiso apostólico
clarividente.
¿Quién fue esta mujer, tan presente y actual en su época?
I. APASIONADA Y APASIONANTE ANDADURA
1. “Te he llamado por tu nombre…”
Nuestra protagonista nace en Granada el 5 de agosto de 1847, en una casa
señorial sita en la calle Nicuesa, número 5, morada de los abuelos maternos,
los Zayas Fernández de Córdoba, bajo el pontificado de Pío IX y el reinado de
Isabel II.
La vibración inicial, ante el nacimiento del primogénito, se cambió en gesto de
contrariedad en el padre, que esperaba un hijo varón.
Sorprende bastante que Joaquín Riquelme no lograra, desde el primer momento,
controlar su disgusto por el nacimiento de la niña. Ignoraba que su pequeña
había de registrar en el corazón su tibia acogida y que diría muchos años más
tarde:
“Gracias a Dios siempre he padecido; comencé a sufrir en la cuna; mi padre, que
tan bueno era, llevó una decepción con mi nacimiento; él quería un niño y así
no me recibió muy bien; mi pobre madre también sufrió…”
La recién nacida es bautizada, a los dos días, en la Parroquia del Sagrario
donde se habían casado sus padres. Le impusieron los nombres de María Emilia,
Joaquina, Rosario, Josefa, Nieves de la Santísima Trinidad. Había que
complacer, en riguroso orden, a los padres y a las abuelas; que esto se usaba
entre la gente de su rango. En realidad el título más alto de nobleza es el que
nos recuerda la hermosa pintura que preside la pila bautismal: representa a
Jesús bautizado por Juan en las aguas del Jordán: “Este es mi Hijo muy
amado…” A esta criatura de dos días el Padre la llama “hija”, “muy amada
hija”; Cristo la ha injertado en el torrente divino de su sangre para
comunicarle la vida sobrenatural; el Espíritu Santo ha entrado en ella como
huésped y ha tomado posesión de su ser. ¿Hay ascendiente que más blasones
cuelgue en su apellido?
El grano de trigo ha de pudrirse bajo la tierra para que brote la espiga. La
nueva dimensión cristiana potencia misteriosamente el sufrimiento para que,
trenzado con la fe y el amor, nos sumerja en la pasión de Cristo y florezca en
la pascua. Emilia Riquelme ha recibido la gracia de entenderlo.
“Nuestro Señor me hace conocer claramente es la vida para sufrir y ganar el
cielo; quien crea otra cosa es un tonto soñador…” “La vida es un pequeñito
Calvario para todos los nacidos; es preciso subirlo con gusto y así nacerán
luego flores eternas y fragantes que recreen a Nuestro Señor”. “Sufrir y callar
es el gran camino para la santidad…” “Lo mejor de este mundo es el padecer por
Dios”.
La desazón de Riquelme no dura mucho; es como tormenta de verano que en seguida
pasa. La misma Emilia nos lo contará: “…Como era tanta la bondad de mi padre y
quería a mi madre con delirio, se fue contentando y queriéndome cada vez más”.
No podía ocurrir de otra manera; porque don Joaquín era un hombre bueno de
verdad. Pecó de impaciente; había soñado con un hijo varón que perpetuara su
apellido y se señalara en el servicio de la Patria. Y nació una niña. (El niño
nació a los dos años; mas no se vieron colmados sus anhelos de padre ya que
Joaquinillo murió a los 17 años, siendo alférez del batallón provincial de
Sevilla). En muy distinto campo, desde luego, esta niña lucharía contra
formidables enemigos, reclutaría seguidores, conquistaría pingües botines,
mantendría enhiesta siempre la bandera que, por especial designio de Dios, le
fuera confiada. En fin, no defraudaría las ilusiones de su padre, antes bien,
siendo mujer y muy mujer, sin haberlo deseado ni habérselo propuesto, llegaría
a ser la figura más relevante de los Riquelme.
2. ¡Centinela alerta!
La profesión militar de D. Joaquín hace que la familia tenga que tomar parte
activa en los avatares de la vida nacional. En 1851 es destinado a la capitanía
general de Navarra como jefe del estado mayor. La familia se instala en las
viviendas que hay en el interior de la ciudadela para los militares de su
clase.
No es difícil imaginar las sorpresas de los hijos de Riquelme al estrenar el
riguroso ceremonial de este castillo encantado. Cada cuarto de hora, desde la
puesta del sol al amanecer, de garita en garita, va rebotando la voz de alerta
que reclama del centinela una actitud de vigilancia, estar de pie, sin fumar,
comer o hablar, bien despierto, arma en mano, ojo avizor y el santo y seña a
flor de labios.
Emilia Riquelme atribuye a la bondad de sus padres “haber sido piadosa desde que nació”; y cuenta, como dulce experiencia de esta temprana edad, la impresión que le causaba el grito de los vigías que, en los días húmedos, era más penetrante: “Centinela, alerta… alerta… alerta está”.
“Pensaba –refiere después de muchos años- cómo Dios Nuestro Señor nos pide a
todos hacer lo mismo respecto de nuestros deberes para con Él y para guardarnos
de los enemigos de la salvación de nuestra propia alma…”
También le causa profundo impacto una anécdota que ha oído contar a los
mayores. En una de las revueltas callejeras se encontraba D. Joaquín con la
tropa “en medio de una plaza”. Doña Emilia, sin arredrarse ante el peligro, se
echa a la calle sola y corre hasta el centro para buscar a su marido. La niña
saca la siguiente conclusión: “Si mamá ha tenido este arriesgado arranque
porque tanto quiere a papá, ¿qué deberé yo hacer para con Dios Nuestro Señor a
quien tanto amo?”
Maravillosa reflexión, en la que se revela un rasgo específico de su fisonomía espiritual, que concibe el amor como afecto ardiente y que ha de traducirse en servicio por la persona amada.
Aquel grito de Pamplona quedó como huella indeleble en su corazón, aguda
llamada que, en las noches húmedas, oía desde la cama y que había de
configurar, desde la infancia, su postura rectilínea, vigilante, frente a la
vida; sobre todo, en su atención permanente, para acudir con presteza a
complacer al Señor.
¿Cómo vive María Emilia su “centinela, alerta?”
Cuando apenas cuenta 7 años muere Doña Emilia; y, aunque no pudiera calibrar en toda su hondura la muerte de su madre, se percató, muy bien, de lo que la ausencia materna significaba en su vida.
D. Joaquín volcó, en sus hijos, todo su amor paterno, revestido, ahora también,
de la dulzura del amor materno.
Desde los primeros años de su infancia, quisieron sus padres educar a María
Emilia, en todo lo que una niña, y una futura mujer de su rango social,
requería en aquellos tiempos; los traslados del padre y la muerte de la madre
no habían hecho posible iniciar seriamente su educación.
Instalado D. Joaquín en Sevilla comienza María Emilia su educación en el
internado dirigido por Doña Luisa Padilla a quien le confiaban, las familias
más aristocráticas de Sevilla, la educación de sus hijas. Después, durante un
año, continuará su educación en el internado de las “Niñas Nobles” de Leganés
en Madrid.
Cuando, a los 15 años, María Emilia abandona el internado es excelente pianista
y muy diestra en labores artísticas, en encajes, bordados en seda y oro,
calados y otras filigranas. Sabe hacer también primorosas costuras y zurcidos;
habla el francés a la perfección; es mediocre pintora porque no ha practicado
mucho este arte, pero revela una delicada sensibilidad. Muy buena tiradora al
blanco y experta amazona.
Acompañando a su padre María Emilia tuvo que participar en las reuniones
cortesanas de Isabel II, alternar con la nobleza de su tiempo, ser centro de
reuniones y tertulias. Es la joven encantadora a quien dirige su reclamo la
sociedad divertida y liberal. Todos los días, en la Coruña, oye la traca de
“alertas” que recorre los puestos de guardia como en la ciudadela de Pamplona.
Y siempre, a flor de piel su llamada de atención: “¡Alerta… con los aplausos y
con los honores!; aunque sean ilusorios, dañan”.
Y siempre, en cada aquí y ahora, “alerta” su corazón.
“Alerta”, cuando a los 15 años se desempeña como ama de casa, continua sus
estudios, cuida “con todo esmero y cariño “ de su hermano enfermo, siendo para
él su “Ángel”, poniendo en su corazón semillas de eternidad y preparándolo para
el encuentro con Dios:
“ La vida, la navegación es corta; el tiempo es breve”. “Todo pasa pronto y ¡es
tan larga y hermosa una feliz eternidad!”. “No busquemos nada fuera de Dios y
de María, lo demás es engaño de un día que enseguida cae. Sólo queda lo que en
Dios se afirma”; participa en las reuniones cortesanas de las que, Joaquinillo
la sacará de apuros indicándole la manera adecuada de componerse para cada
recepción o velada; además, reúne cada día en su domicilio a unos cuantos niños
pobres, los asiste caritativamente, los instruye en el catecismo y los prepara
para los sacramentos; pronto unos críos van trayendo a otros y aquello se
convierte en una escuela de niños harapientos de los que callejean todo el día;
en más de una ocasión tuvo que vencerse, ante el rechazo instintivo que
experimentaba frente a la suciedad y la miseria de los pobres.
“Alerta”, cuando llega la hora de estrenar un espléndido traje que realza
sobremanera sus encantos. Pero no entra en sus cálculos agradar ni eclipsar a
nadie; mas bien, prefiere reírse del mundo antes de que el mundo la esclavice
con sus liviandades. La cosa es fácil: se coloca un cinturón discordante que
rompe aquel conjunto de elegancia. El público femenino no deja de ponderar la
calidad, la confección, el color. Pero ese cinturón… ¡Qué lástima! Ella sonríe
y se hace la tonta; está aprendiendo a tomar la delantera.
“Hay que tener en nada lo que no es más que nada”. “Hay que dejar lo que no es
para poseer lo que es”.
“Alerta”, cuando, en las fiestas que se celebraban en el palacio de los duques
de Villahermosa, en Madrid, la duquesa que comprende a María Emilia, se da maña
para conducirla a una habitación apartada del ruido donde la joven pueda
entregarse a la oración, a confeccionar prendas para los pobres, o simplemente
a descansar. Se encuentra más a gusto lejos del vértigo de la fiesta porque,
según dice, “podría así prepararse mejor para la comunión del día siguiente”.
¿Cómo es posible abandonarse al goce de la fastuosa velada mientras niños famélicos vagan por las calles? Y, a su padre, que quiere que vista a la nueva moda y se enjoye como sus amigas, le suplica:
“Vestidos tengo muchos que transformándolos quedan nuevos; todo lo que me das, que sea para los pobres… sí, los pobres son imagen de Jesús, los pobres son mis amigos”.
Los visita en hospitales, bohardillas y sotabancos; a unos socorre con
medicinas o alimentos, a otros con ropas; en fin, cura las llagas del cuerpo y
deja caer en los corazones palabras de consuelo y esperanza.
“Alerta”, cuando, lejos de desear los honores palaciegos, se preocupa de su
aprovechamiento espiritual, como da fe de ello la breve nota del programa para
el año 1881: Procurar la aceptación gozosa de las circunstancias gratas o
adversas que Dios permita; avanzar con diligencia en la caridad hacia Dios y
hacia los hermanos; sufrir en silencio los defectos del prójimo; examinarse
particularmente del vencimiento propio.
Así van pasando los días, los meses y los años; alerta, en pie de marcha, contra corriente y hacia arriba; bien despierta su fe para vivir con intensidad el momento presente.
Hoy, en nuestra sociedad, donde vivimos constantemente bombardeados por
infinidad de reclamos, ¿no es significativamente actual la actitud de “vigía”
que María Emilia nos propone, para hacer frente a los retos y desafíos en
nuestra misión cristiana?
3. Para Ella, alma, vida y corazón
La infancia feliz de Emilita se ve ensombrecida por el prematuro fallecimiento
de su madre. Ella, tan tierna, tan sensible, tan sumamente cariñosa, a falta de
las añoradas caricias maternales, se abandona, confiada y segura, en el regazo,
caliente y acogedor, de la mejor de las madres, la Virgen María.
“¡Oh qué madre es la Santísima Virgen y cómo cuida y ampara a sus hijos! ¡Qué
dulce es sufrir con María!”.
En esta etapa infantil nace la conciencia explícita que María Emilia tuvo de la
maternidad espiritual de la Virgen María; que queda sellada con la experiencia
bellísima que tiene a los 7 años, a la cual sucederán otras más en el correr
del tiempo. No sabe cómo explicarlo, pero dice que vio a la Santísima Virgen
con el Niño Jesús en los brazos; la Señora la llenó de dicha con sus caricias y
le prometió atenderle en todas sus necesidades. Emilita, a su vez, hizo promesa
de fidelidad a Jesús y a Maria.
Para María Emilia fue clave en su vida, la actitud de fe de MARÍA, el aceptar
que Dios la sorprendiera proponiendo sus caminos, y ella se arriesgase a
caminarlos en Su nombre, para llegar a comprenderlos más y más, como María el
suyo.
María es la estrella que guía su caminar. De la mano de María avanzará, intrépida y decidida, hasta exhalar el último suspiro.
“Todo lo he hecho para gloria de Dios pero por manos de María. Todo lo de la
Congregación ha sido por medio de María”.
Y María presentará a Jesús su vida en flor, cuando María Emilia, adolescente,
se consagra con el voto de castidad.
“¡Qué encantadora es la pureza de María Inmaculada! Imita en lo posible a tan
celestial Madre”.
Y María será su refugio y confidente, en las soledades y sufrimientos de internado, mientras sus compañeras gozaban de la presencia, cariño y regalos de sus familiares.
“No tenía otro consuelo que irme al oratorio a los pies de la Santísima Virgen”.
“Consuélate en tus penas con tu dulcísima Madre Inmaculada. Ella te ama mucho”.
“En día claro y en día nublado vive bajo el manto de María; no apartes tu
corazón y tu mirada de tan celestial Madre”.
La familia Riquelme venera una imagen de la Inmaculada ante la cual rezaron
todos sus miembros. Es el corazón y la alegría de la casa. María Emilia le
cambia los manteles, le pone rosas frescas, y le hace sus confidencias. Y el
general -¡nadie lo diría!- tan metido en el tráfago social, encuentra su mayor
consuelo en rezar el rosario con su hija a los pies de Nuestra Señora.
Y María será la Protagonista, la Maestra, la Superiora, la Protectora de la Congregación que María Emilia fundó, respondiendo al don del Espíritu, para bien de la Iglesia. La Obra de María, “Ella sola es la fundadora de esta familia”, es el nombre casero que dará a su naciente familia religiosa. Y es tal la confianza con que vive su relación con María, que se atreverá a decirse y sentirse, “su indignísima Vicaria”.
Su partitura de amor fiel a la Señora irá in crescendo, a lo largo de su vida,
pudiendo exclamar como sonoro y majestuoso acorde final: “Nunca le he negado
nada a la Santísima Virgen; para Ella alma, vida y corazón”.
4. Agraciada y graciosa
No es fácil apresar, en unas cuantas líneas, el abanico multicolor de rasgos
humanos y espirituales que conforman la rica personalidad de María Emilia
Riquelme.
Agraciada con preciosos dones de naturaleza y gracia, supo poner al servicio, ser graciosa, dadivosa, con gratuidad desbordante, en su quehacer existencial.
Personalidad de pronunciados contrastes y matices que la hacen ser sorprendente
y cautivadora: reciedumbre y dulzura, sociabilidad y recogimiento, inquietud y
serenidad, distinción y sencillez, esplendidez y pobreza; es impulsiva y tiene
que dominar cuidadosamente sus instintos primarios: “…qué bueno es no precipitarse
para nada y guardar los arrebatos y dar salida a las palabras cuando está una
tranquila”. “Oía yo en el mundo… que era muy discreto llevar siempre una
piedrecilla en la boca; yo no entendía eso, ahora sí; mirad, con una piedra no
se puede hablar, ésta es la prudencia, callar y ser humilde de verdad”.
Profundamente marcado es su sentido del valor que irradiaba a su alrededor; y
que procedía, no sólo de su temperamento y de su educación en un ambiente
militar, sino, sobre todo, de su confianza en Dios: “Valor, firmeza. Dios está
con nosotras”; así animaba a las suyas en las tribulaciones.
Era sincera en extremo y amaba la sinceridad en los demás: “Me gustan las cosas claras”. “Sed todas sencillas y claras, esto le gusta mucho a Nuestro Señor”.
Su laboriosidad quedaba patente en la sucesión ininterrumpida de ocupaciones:
“Sin tiempo para nada”. “Esto es volar, no tengo tiempo ni para lo preciso”.
Gran amante de la naturaleza; la belleza que contemplaba y la música que le
deleitaba la conducían al Creador: “No sabré deciros lo que es la huerta con
los ruiseñores, la luna iluminando las palmeras, que se dibujan en el cielo
azul”.
Es inagotable su vena humorística, que asoma aún cuando la cosa no tenga ningún
chiste: aludiendo a su gordura y a su edad, escribe: “Dispuesta me tiene
Nuestro Señor a bailar en la cuerda floja. ¡Tendría yo que ver a un botijo con
70 años, bailando!”.
Ordenada, cuidadosa, fina y elegante, todo lo ejecuta con esmero: la decoración
de sus capillas y el primor y pulcritud en las tareas domésticas.
Hija de Riquelme, a él se parece en rectitud, equidad y pundonor: “Arreglar en
justicia y caridad las cuentas con el jardinero”. “Me gusta absoluta igualdad
en iguales circunstancias”.
Su salud fue siempre precaria; altas fiebres, inapetencia, trastornos del
aparato digestivo, reúma, afecciones cardíacas; los grandes padecimientos
morales repercuten en su débil organismo. Parca en comer y dormir; madrugadora
por más que, con frecuencia, tiene que trasnochar para atender asuntos
urgentes.
Sus fotografías reflejan una profunda vida interior, pero no alcanzan a
expresar todo el brillo de sus ojos vivísimos y penetrantes, perennemente
jóvenes, que sondean sin trabajo el fondo de los corazones.
Otros rasgos que podríamos citar: aborrecimiento de protocolos y etiquetas
sociales, amor a la pobreza, hechizo por lo que no se muda ni se acaba, sentido
profundo de la brevedad de la vida y de los grandes premios prometidos a
pequeños trabajos, de “lo mucho que se gana en padecer por Él”.
Es una mujer sin trastienda, sin conflictos interiores, con transparencia de
cristal; quizás se nos escapa de puro sencilla. No es escritora; sólo vive, sin
baches ni lagunas, una vida teologal profunda, en perfecta armonía entre su
experiencia divina y humana; lo humano y lo divino conviven en ella en total
integración; no tiene que cambiar de registro para pasar de una broma a hablar
de economía, o de humildad, o de lo grande que es Dios. Toda entera polarizada
por Él. Ella misma se autodefine cuando recomienda: “Dios en el corazón y
sencillez por fuera”
II. TENSANDO EN EL AMOR LA LARGA ESPERA
1. Entonces pasé yo junto a ti y te vi
“… Era tu tiempo, el tiempo de los amores. Extendí sobre ti el borde de mi
manto y cubrí tu desnudez; me comprometí con juramento, hice alianza contigo
–oráculo del Señor Yahvé-, y tú fuiste mía”. (Ez 19, 8)
María Emilia tiene 12 años y su corazón meridional inicia el despertar a una
plenitud de vida y a la nueva realidad del amor. Sueños, grandes ideales,
necesidad imperiosa de entrega, comienzan a desplegarse como las hojas de un
capullo que se abre. Había sido regada con la tribulación y cuando el dolor
tiene dirección y sentido acelera el proceso de maduración.
En este momento, la figura avasalladora de Cristo, se perfila en su horizonte.
La colegiala se consagra al Señor con voto de castidad. Es maravillosa la
ofrenda de algo que empieza a ser, las primeras espigas en ciernes, las
primeras yemas aún sin reventar. No bien se barrunta algo bello, vivo y
diferente, cogerlo con las dos manos y darlo a Dios en olor de suavidad, a ese
Dios de quien todo bien procede. Ese voto es mutua donación y alianza. Dios,
que toma la iniciativa, se vuelca sobre el corazón y lo seduce y arrastra. Y
ella, María Emilia, limpia, abierta y generosa, se lanza a la aventura divina,
sin condiciones ni regateos: “Aquí estoy, Señor, porque me has llamado”.
Ya no dará marcha atrás, antes bien, poco a poco, pero con paso firme, irá
conquistando metas cada vez más altas.
¿Qué sorpresas nos esperan en el sendero zigzagueante de nuestra intrépida
protagonista? ¿La seguimos?
Verdaderamente fue itinerante y zigzagueante su camino acompañando a su padre,
en los diferentes lugares, a dónde era destinado por su profesión militar:
Pamplona, Madrid, Tenerife, Sevilla, La Coruña, Lisboa…
Desde que se abrió a la luz de la razón, María Emilia mantuvo gran fidelidad al
amor divino; amor que, al afianzarse y acrecentarse, se hace totalitario,
exclusivo, y exige plenitud en la entrega de toda la persona; se ha persuadido
de que el cauce privilegiado para realizar su donación es la vida religiosa y
se siente animada a desembarazarse de cualquier atadura para lanzarse, “mar
adentro”, por el mundo de las realidades trascendentes. Sin titubeos se dispone
a abordar el tema con su padre:
“La fecha 2 de febrero de 1868 es memorable para mí; como me sentía apremiada
por la gracia y el mundo cada vez se me hacía más aborrecible, decidí, después
de encomendarlo mucho a mi Santísima Madre Inmaculada, declarar a mi padre mi
vehemente deseo de entrar religiosa cuanto antes. ¡Dios mío, la que se armó! Mi
padre puso el grito en el cielo; con una seriedad que imponía, llamó a su
despacho a mi Director; vino a casa también algún buen prelado amigo; los
criados estaban asustados; parecía que había ocurrido una gran catástrofe;
resultado de todo, que, como papá se puso malísimo, me mandaron ofrecer mi
sacrificio a Dios, esperando su hora…”
Es duro para la joven sentirse obligada por fuerzas contrapuestas. No insiste,
pero tampoco desiste. Seguirá esperando con paciencia el momento oportuno.
“Mucho me costó y sufrí; pero me resigné y seguí mi vida normal, animando y
consolando a mi padre, como si nada hubiese pasado…”
La hija del general, con 21 años y una vida espléndida palpitándole por las
venas, se siente desterrada en Madrid, al igual que su padre lo está en Lisboa.
Vive con unos familiares. Y precisamente en esta coyuntura viene a rondarle el
amor. Está loco por ella su primo Eduardo Díaz del Moral y Riquelme, apuesto
diplomático, pocos años mayor que ella, bueno, religioso, inteligente, de
estupenda posición social. María Emilia disuade a su primo con elegancia. Ya
sabemos la respuesta. Había tenido que sacrificar su vocación religiosa, el
anhelo de toda su vida, por atender a su padre, pero no está dispuesta a
renunciar, por nada ni por nadie, al amor esponsal que prometió a su Cristo
amado.
A María Emilia le nacen alas en los pies cuando D. Joaquín la llama a Lisboa;
es natural que arda en deseos de reunirse con su padre; y, también, que apetezca
poner tierra por medio a las reiteradas proposiciones de Eduardo y de otros
pretendientes, que se cruzaron en su camino.
Vive fascinada de lo eterno. “Los amores de este mundo -son humo-, por nada se evaporan. Sólo Dios, sólo su amor”. “Sólo Dios es…” “Él sí llena el alma, lo demás polvo, basura, nada”.
No le importa manifestar que vive entregada a Dios; si los seguidores del mundo
no tienen a menos pregonar que lo son, ¿habrá de tener Cristo seguidores menos
valientes?
Es innegable que la joven vive en su ambiente como pez fuera del agua; pero en
tanto llega la hora de Dios, procura llenar su espera de obras buenas hechas en
silencio. Su centro y su fuerza es el Santísimo Sacramento, Cristo vivo que
acampó entre nosotros y aún habita en la pequeña tienda de sus tabernáculos. Le
bulle en la mente, con persistencia, el recuerdo del culto perpetuo que la
catedral de Lugo le tributa. ¿Qué mucho devolver compañía por compañía,
presencia por presencia? Sería maravilloso estar adorando sin cesar a la
Eucaristía; ¿desde cuándo aletea en su alma este ideal? Si ella pudiera,
fundaría una institución dedicada perennemente a la adoración del divino
Sacramento; está rumiándolo desde los diez y ocho años como algo arrebatador,
pero irrealizable.
Hace lo que está en su mano, sin paralizarse en lo que podría ser una quimera.
Todos los días va con su padre a la iglesia donde está el Señor expuesto en las
“Cuarenta Horas”. De rodillas, ante la custodia de S.D.M. María Emilia es
feliz.
“La Eucaristía es el paraíso de la tierra, mi recreo y descanso espiritual”
Y, año tras año, en la fiesta del Corpus sevillano, tiembla de emoción al
presenciar el desfile procesional, desde el balcón engalanado, arrojando flores
al paso de la custodia, con el rostro encendido y los ojos húmedos, “con el
alma toda” –como ella decía- que es como valen las cosas pequeñas que ofrecemos
al Señor.
Por este tiempo María Emilia toma como director espiritual a D. Marcelo
Spínola, párroco de la iglesia de S. Lorenzo, que le aconseja se asocie a las
conferencias de san Vicente de Paúl, obra que, a la sazón, canaliza los
fervores de las damas caritativas de la ciudad. Así lo hace María Emilia; y,
como miembro activo, pronto se pone en contacto con los estratos más bajos de
la sociedad, donde tiene que intervenir en casos agudos de degradación moral,
con no poco asombro y dolor por su parte. También forma parte, como profesora
de labores, en el colegio fundado por D. Marcelo para niñas pobres. María
Emilia trabaja con amor en la educación de las hijas del pueblo; para ella
supone un ensayo que dejará huella en su corazón.
El tiempo no pasaba en vano; la salud del general se resentía cada vez más; en
uno de sus habituales paseos en coche tuvieron un accidente; María Emilia salió
ilesa, pero su padre quedó bastante maltrecho, con varios cortes en la cara; su
estado se agravó por una fuerte hemorragia; en los tres meses que sobrevivió,
María Emilia estuvo pendiente, día y noche, del enfermo, hasta que murió en
febrero de 1885.
Muerto su padre y repuesta de su salud, María Emilia se retiró por completo de
las reuniones de sociedad; empezó a distribuir, a manos llenas, buena parte de
la cuantiosa fortuna que había heredado de su padre; también comienzan a
despejarse los caminos de Dios; mas, antes de su clarificación definitiva,
tendrá que descorrer el velo de muchas dudas y pasar por muchas tribulaciones.
D. Marcelo impulsa una Congregación de cuya primera comunidad forma parte María
Emilia por expresa voluntad de confesor; al cabo de un año y medio, no exento de
dificultades y vicisitudes, tiene que salir por deterioro considerable de su
salud.
Al regresar a Sevilla, María Emilia reinició el mismo estilo de vida que había
conducido después de la muerte de su padre: la oración, la visita al Santísimo
Sacramento y la atención a los necesitados polarizaban la mayor parte de su
jornada.
El fracaso de su primera experiencia religiosa, no condujo a María Emilia a
pensar, que Dios no la llamaba a una vida de entera consagración a su servicio
y al servicio de los pobres en el estado religioso. Era necesario continuar la
búsqueda del camino concreto, en la realización de la misma.
Ha conocido y ayudado con sustanciosas sumas a Sor Ángela, fundadora de las Hermanas de la Cruz; admira su pobreza y fervor; quiere ingresar en su convento:
“…Frecuenté mucho y diariamente su convento; todos los días me veía honrada por
su maternal trato y acogida que me enamoraba. Quería ser yo su hija; pero me
decía: “Piénsalo; yo te quiero, pero no es eso lo que Dios quiere de ti” Yo
insistí más, y hasta me consintió estar en los recreos; pero cuando se
formalizó, me puse tan mala, que me dijo: ”¿Ves? Yo ya lo sabía. No es esto
para ti”
En esto vi la luz tan grande que tenía de Dios…”
Intenta nuevamente por otro camino:
“Tenía algún trato con la Reverenda Madre Superiora de la Reparadoras, persona
muy culta y de mucha vida interior; como mi afán por ser religiosa era
grandísimo, y lo demostraba confidencialmente, me animaba mucho a realizarlo;
pero como me sucedía que, cuando iba decidida a formalizar mi ingreso, notaba
una gran repulsión y me sentía malísima de salud, se lo comuniqué, con no poca
turbación, y la virtuosa Madre me contestó que entonces, examinase y viese bien
si Dios quería de mí otra cosa…”
María Emilia sufría por no ver realizado su sueño de estar, permanentemente, en
la casa del Señor; pero el Señor, que la quería toda para sí, quiso anticiparle
un extraordinario consuelo: vino a su casa para quedarse con ella. En
diferentes lugares había tenido una habitación destinada a capilla; también
aquí, en Sevilla, tenía su Oratorio en el que veneraba una imagen de la
Inmaculada Concepción; pero le faltaba lo principal, la presencia del Señor
Sacramentado. Y así, en un arranque de audacia, solicita este permiso de la
autoridad competente, y busca un buen padrino que abogue por su causa. El
inmenso favor le fue concedido. Ya no va tanto a las Hermanas de la Cruz; ya no
va tanto a las Reparadoras. Ahora, en la compañía tan cercana y permanente de
Jesús Sacramentado, espera le sea concedida la luz y la fuerza que necesita,
para secundar los planes divinos. Enteramente abandonada a su voluntad repite
con insistencia:
“Dios mío, aquí estoy, tomad mis manos, atadlas y llevadme donde queráis, mas
venid Vos conmigo”.
III. AL FIN, SELLADA POR LA EUCARISTÍA
1. ¡Levántate, amada mía, hermosa mía, y vente!
Han pasado muchos años; han pasado muchas cosas, desde que, siendo niña, María
Emilia salió de Granada hasta que regresa, siendo ya mujer adulta; lleva en su
morral el haz de apretadas y jugosas experiencias: dolorosas unas, gozosas
otras, pero todas enriquecedoras, que han jalonado su camino existencial. Salió
de su ciudad natal llevando la semilla que el Señor había depositado en su
corazón; tuvo que sufrir en la noche oscura de la búsqueda del camino concreto,
por el que la llamaba el Señor, para realizar sus profundas aspiraciones de
vida consagrada; pero, solamente empezó a vislumbrar las primeras luces del
alba, y a cantar gozosamente las alabanzas del Señor, cuando tomó la decisión
de volver a Granada.
Todo empezó del modo más sencillo; repasando sus propiedades con su apoderado,
María Emilia fijó sus ojos en la “Huerta de San Jerónimo”. ¡Qué grande es la
Huerta de San Jerónimo! Allí todo cabe. Está aislada del poblado y, a un
tiempo, próxima al mismo. Le asaltaban pensamientos de edificar, en medio de
ella, una hermosa Capilla, digna de Nuestro Señor Sacramentado. Con unas
habitaciones para ella, para su doncella y poco más, se conformaba. ¡Hermosa
soledad! ¡Naturaleza pura! ¡Qué marco para vivir enteramente dedicada a adorar
al Señor y a hacer el bien!… Rechaza la idea por antojársele una de esas
fantasías que combina la imaginación; pero la idea vuelve a su mente con mayor
insistencia, y con más argumentos para merecer acogida. Su recurso, en estas
perplejidades, es ir al Sagrario y orar para discernir cuál será la voluntad de
Dios.
Ora y explica con sencillez, a quien puede ayudarle, lo que pasa por su alma:
cuando se había casi resignado a hacer su vida normal se siente acosada por nuevas
posibilidades de más profunda entrega… ¿Qué hacer? ¿Era una ilusión que debía
ahuyentar? ¿Le inspiraría Dios aquellos deseos?
Y, ¿por qué no? Sopesan lo que se expone a perder y lo que se expone a ganar.
¿Acaso no estarían bien empleados todos los tesoros y trabajos del mundo por
ganar una palpitación de amor divino? Dios es todo y hay que arriesgarlo todo
por Él. El inmovilismo, la indecisión, el temor al fracaso, he ahí la única
derrota. Coraje, pues, y adelante.
María Emilia emprende viaje a Granada con su doncella y el arquitecto que hará
el estudio y proyecto.
“En el año del Señor de 1892, para mayor honra y gloria de Dios y de su Inmaculada Madre y a fin de demostrar el amor y gratitud hacia la Santísima Virgen en el misterio de su Concepción Inmaculada, levanta esta casa y le dedica este templo una humilde sierva suya.
¡Madre mía Inmaculada! Recibe y conserva esta casa y templo para que, después
de mi muerte, resuenen en ellos tus alabanzas…”
Durante los primeros meses las obras caminaron a buen ritmo; pero, a medida que
las paredes subían hacia el cielo, también empezaron a subir de tono los
comentarios malévolos de la gente; incluso algunas personas amigas y allegadas
ofrecen, gratuitamente, toda suerte de opiniones desfavorables.
Algo incomprensible. Para una dama que siempre ha sido objeto de respeto y
admiración supone, algo así, como su bautismo de humillaciones. Sabía lo que da
de sí el mundo, pero ahora está experimentando en su piel su despiadada
ligereza. No obstante, nada detiene sus pasos; en plena efervescencia de las
habladurías se dispone a hacer ejercicios espirituales. Le importa más lo que
diga el Creador que todo lo que puedan decir las criaturas.
Y Dios se deja oír sin ruido de palabras, si se abre el alma con ganas de
escuchar. Dios habla al corazón de María Emilia. Se renueva la llamada a la
entrega total que sintió en su juventud. También se le presenta el bloque de
sus repugnancias. ¿Para qué complicarse la vida con nuevas “extravagancias”?
¿Para qué dar que hablar? ¡Tan lindamente como podría hacer casi lo mismo desde
la tranquilidad de su casa! ¿Es que la vida que lleva no es santa y buena?
¡Naturalmente! Ahí está lo bueno como el mayor enemigo de lo mejor; la fe nos
conduce a lo más comprometido; la naturaleza a lo más cómodo; ¿naufragará el
ideal de la señorita Riquelme en este dilema?
El tiempo no pasa en vano; se van despejando las dudas, sigue la construcción
de la casa; no faltan los contratiempos; a marchas forzadas tiene que preparar
un rincón para trasladarse a vivir porque la echan del piso alquilado; ella
misma tiene que ponerse al frente de las obras porque se ha ido el maestro que
las dirigía; y lo hace con tal acierto que los operarios se quedan admirados.
Dios viene en su ayuda cuando todo se le pone al revés.
La casa es muy hermosa, amplia y espléndida. En medio del edificio, engastada,
como una joya, la Iglesia, la morada del Señor Sacramentado. Todo estaba ya
dispuesto para la Fundación de las MISIONERAS DEL SANTÍSIMO SACRAMENTO Y
MARÍA INMACULADA. El camino estaba a punto de despejarse definitivamente.
María Emilia, mujer prudente, abre su corazón al arzobispo de Granada, que la
conoce desde niña. El arzobispo ve claro. La espléndida efusión de la gracia no
se le ha dado solamente para provecho particular, sino también para incremento
del pueblo de Dios. Es preciso secundar la llamada. De antemano bendice a la
nueva familia religiosa cuyo nacimiento se está gestando en el corazón de esta
mujer admirable. Ella, al calor de la oración, irá esbozando el programa que
deberán abrazar las jóvenes que sientan la llamada y quieran ser pioneras de la
gran escalada.
Llaman a la puerta las primeras compañeras. Cierto aire deportivo y una vida
por delante para quemarla por Cristo. Se aprueban temporalmente las constituciones
que rigen la vida comunitaria. Todo está dispuesto para la inauguración, pero
les imponen un compás de espera que durará un año.
Después de orar y cumplir con entusiasmo las constituciones, María Emilia
insiste en su petición; presenta un número de los “Anales de la Propagación de
la Fe”, que reclama la colaboración de las misioneras en la acción
evangelizadora de la Iglesia por tierras de infieles. Más que una alusión
parece una llamada directa. El arzobispo da luz verde.
Por fin, el 25 de marzo de 1896 tiene lugar la espléndida fiesta con el realce
que se acostumbra a dar a estas solemnidades. ¡Qué día tan memorable!
Llega la noche con su profunda quietud y María Emilia se postra ante el altar
con la comunidad; con mano trémula abre la puerta del sagrario y queda expuesta
la custodia colocada tras una segunda puerta de vidrio. Ha comenzado la
adoración perpetua que no cesa ni en epidemias, ni en revoluciones, ni en los
días de mayor cansancio. Mujeres vigilantes, bien despierta la fe, con el arma
de la adoración en la atalaya de un reclinatorio. Alerta siempre. Alaban,
agradecen, suplican por ellas mismas y por todos los que trabajan, duermen,
gozan o pecan.
Ya están en marcha merced a la generosidad de Emilia Riquelme, que ha podido
decir con humildad:
“Pude seguir el impulso divino que me apremiaba despreciando el mundo, el
humano respeto y perdiendo mi pobre nada en Dios que fue siempre mi Todo”.
2. Fascinada por la Eucaristía
Para conocer a fondo a una persona no basta con admirar sus obras, ni basta
conocer el “cómo” de su estilo personal realizándolas. Es necesario conocer Qué
le mueve a realizarlas. A María Emilia Riquelme se la conoce de verdad cuando
se conoce su central interior (el núcleo de los motivos que interesan su
voluntad), su sentido de la vida, su por qué, su razón, su tesoro, fuente
de sus convicciones afectivas, no teóricas. Por ellas, libremente, y al precio
que, en cada momento le fue requerido, tomó, y mantuvo, la decisión más
importante de su vida: la de arriesgarla por entero, de una vez, sin
reservarse, sin poner condiciones y sin guardarse salidas de emergencia, por
hacer presente a Dios en su mundo.
Su CENTRO es lo primero que se ve en María Emilia. Lo recibe desde su nacimiento en un clima de piedad honda. Va haciéndose luego consciente y manifestándose como tal centro en abundantes experiencias, -no programadas-, de despojo de criaturas, aún las naturalmente más necesarias. A través de una cadena de situaciones de desarraigo interior de otras criaturas, se afianza su conciencia profunda del “Único Necesario”. “Hijas, sólo Dios, y todo lo demás sólo por Dios”. “Es lo único que absorbe mi vida, servir a Dios y agradarle y, como causa principalísima, cuidar a mis hijas”. Lo percibe con creciente luz como el Dios que “Tanto amó al mundo, que no dudó en entregarle a su Hijo único… para que todo el que crea en Él no perezca…”; se experimenta especialmente atraída por ese amor levantado sobre lo alto, absorbida por el extremo vigoroso de ese amor: la PASCUA; y por la PRESENCIA permanente de ese amor: la EUCARISTÍA.
“Jesús Sacramentado es el centro de la Misionera”.
La PASCUA es su centro personal. Toda su vida resulta fuertemente
marcada por ese amor, que sigue siendo el Centro divino de la historia humana.
Nada extraño que termine polarizada por la traducción sacramental viva del
mismo, la EUCARISTÍA, y que este sacramento de amor que no se
reserva, que no discrimina destinatarios(por vosotros y por todos) y que
busca precisamente a cuantos el egoísmo humano ha discriminado, sea para ella
el centro de ese Centro.
María Emilia toma en la EUCARISTÍA, a la que accede como bautizada,
progresiva conciencia de su BAUTISMO, como lo que es, no un rito, sino, de
parte de Dios, la llamada más temprana a compartir la vida de su
Hijo Jesucristo y, de su parte, la respuesta primera de su
voluntario compromiso de vivir como vivió Jesucristo. Eso es nuestra
fe:
“Nuestro Señor nos ha elegido por su infinita misericordia; al dársenos a sí
mismo y al hacernos suyas, nos ha sellado con el sello de la vocación
eucarística, y este sello lleva consigo la dulce misión de amar a Jesús con
delirio, hasta el martirio, la de darle a conocer a las almas y hacer que le
amen, en una palabra, la santidad más consumada”
“La Eucaristía, corazón de nuestra vida…, síntesis de todas las realidades
sobrenaturales…, eje de nuestra comunidad…” Const. /90, 3.1
El encuentro con la Persona del Hijo, “nuestra Pascua y nuestra paz
definitiva”, da un vuelco irreversible a su vida. Un centro personal así,
consciente y apasionadamente asumido es, por esencia, transformador. Recoloca
toda la persona y su mundo en torno a él: afectividad, ideas, sueños,
intereses, cuerpo, deseos, medios, obras, el mundo (“los otros”)… La persona
entera de María Emilia comenzó a ser transformada, reabsorbida por la
conciencia, que va tomando, del proceso pascual que fue toda la vida de Jesús.
Y vive la EUCARISTÍA como llamada a esa transformación; y como fuente
y alimento permanente de la misma.
“En la sagrada Comunión es donde mejor conoce el alma a Jesús; bebe allí, por
decirlo así, la dicha inmensa de la transformación eucarística; ya no respira
el alma más que en Jesús, por Jesús, para Jesús; allí siente su amor y crece en
su amor y lo ama cada vez más y más, y en su amor se abrasa, consume y quema
con ese fuego divino que vino a traer a la tierra y del cual Él mismo dice: ¡y
qué quiero, sino que arda!”
María Emilia ha sentido a Dios presente en nuestra historia en formas
tan exclusivamente divinas como la PASCUA-EUCARISTÍA; por eso le duelen el
alejamiento y las ausencias de los hombres con respecto a Dios, nacidas de
inconsciencia y de ignorancia. Para María Emilia es, la PASCUA-EUCARISTÍA
–pasión de Dios por el ser humano-, llamada permanente, con la que
alimenta toda su máxima capacidad de pasión por Dios:
“Yo, vuestra ruin esclava, juro por Vos, mi Dios y mi Señor, que os amo con
todo mi corazón, que os prefiero y os preferiré sin comparación a cualquier
otro amor, por puro, grande y santo que sea, que prefiero perder mi vida mil
veces, antes que perder un átomo de vuestro amor a mí, de mí a Vos, mi Dios y
mi Señor, que sólo deseo amaros más, muy más…”
Con esa misma pasión desborda de pasión a cuantos sirve, y refiere a Dios
cuanto toca y emprende; porque entiende que nada es suyo, sino todo de ese Dios
apasionado y puesto a disposición del ser humano, objeto de su pasión. Esta
pasión, vivida y correspondida por María Emilia, enciende en ella la necesidad
de ser presencia de ese Dios para todos.
3. Siendo nada, soy todo
Emilia Riquelme ama a Dios de forma tal que este amor constituye la razón de
ser de su vida. Lo contempla según la imagen paterna que la figura del general
Riquelme había dejado impresa en su corazón y que, sin duda, el Espíritu
vivificó con su soplo divino. Emilia ama a Dios como al Padre a un tiempo
majestuoso y amable, inmenso y cercano, adorable e íntimo; con arrebatos de
ternura filial y con sobrecogimiento tembloroso de adoración. Como a Creador y
Señor, como a Rey, como a Dios; muchas veces lo llama regaladamente, esposo y
amigo. Lo ama con amor existencial que arrastra a toda la persona con su
inteligencia, con su voluntad y con toda su capacidad de entrega y servicio; lo
ama con ese amor prevalente y avasallador de quien no respira sino por amor; de
quien puede decir con el Apóstol “mi vivir es Cristo”.
“En el amor de Dios está toda la plenitud de la perfección, la fuerza contra
los peligros, el descanso en los trabajos, un consuelo incomparable… remedio
universal. El amor de Dios todo lo llena” “En el cielo y en la tierra lo que
vale es el amor”.
El amor agudiza la visión para conocer; el conocimiento amplía las sendas por
donde se dilata el amor y por esta vía se trenzan y se acrecientan todas las
virtudes.
Porque ama, es antagónica a la disimulación y a la mentira. Huelga que diga
“jamás engañé a nadie a sabiendas”, pues esta condición sobrenada en todas sus
manifestaciones. Es verdadera hasta la médula de los huesos, espontánea, sin
artificio y, por añadidura, tiene la gracia de poner una nota de humor hasta en
lo más gris del camino:
“¡Morir por la verdad y ser tenida por tramposa! Bueno, hijas, esto me alegra
esto es también ser un poquito de Dios”. “Amo la verdad hasta morir”.
Su adhesión a la verdad se refleja en la constante búsqueda de “lo que es”, de
lo que tiene consistencia; en el desprecio de los juicios mudables y en la
aversión a las apariencias, mentiras con las que se enmascaran realidades menos
halagüeñas.
“¡Qué mundo! Hoy todo aplausos y elogios sin razón, mañana calumnias, quizás, y
menosprecios”
Porque ama, considera la humildad como una actitud fundamental de pobreza, de
reconocimiento sereno de nuestra nada, de nuestra incapacidad radical para todo
bien:
“Él es mi Todo y yo su nada”. “Mi Dios y mi Todo… En Dios todo lo encuentro,
sin Él nada quiero, Él me satisface plenamente… Pero, Señor, que me conozca y
te conozca, que sólo suspire por mi humillación y tu gloria. Madre mía, Tú sólo
puedes alcanzarme esta gracia”
Humildad es asimilación del Verbo hecho hombre en las entrañas de María, infante
en Belén, ignorado en Nazaret, anonadado en la Eucaristía: aceptación del plan
redentor que se realiza por la obediencia de Jesús y que culmina en la cruz; es
desear que Él crezca y yo mengüe; que crezcan los demás aunque yo no crezca; es
gozarse en la propia impotencia para que en ella triunfe la fortaleza de
Cristo; es saber perder en aras de la concordia, acomodarse a los pequeños; es
“hacerse como niños”:
“¡Cómo enamoran los niños al Niño de Belén!” “¡Belén! sí, allí no se habla más
que el idioma del amor de Dios y de la humildad”.
Porque ama, afirma ser pobre “por voto y por efectivo”. No añora la abundancia
y confort de otro tiempo. La que escribía, en perfumado, papel con su anagrama
y filetes dorados, ha tenido que valerse de un clavo, con mala tinta y peor
papel, careciendo, alguna vez, hasta del sello para franquear la carta. Usa
incómodos tranvías y cuando se encuentra tirada por los suelos, esterando la
casa, con el martillo y las tachuelas en la mano, dice que está “más contenta
que de millones, ¡qué alegría esperando el pan que cada día nos da Nuestro
Señor!”.
SOURCE : https://es.catholic.net/op/articulos/6104/cat/171/hna-maria-emilia-riquelme-y-zayas.html#modal
María Emilia Riquelme y
Zayas-Fernández de Córdoba
Biografía
Riquelme y
Zayas-Fernández de Córdoba, María Emilia. Nieves de la Santísima Trinidad.
MSS. Granada, 5.VIII.1847 – 10.XII.1940. Religiosa benefactora, fundadora
de las Misioneras del Santísimo Sacramento y María Inmaculada.
María Emilia Joaquina
Rosario Josefa Riquelme y Zayas era hija de María Emilia de Zayas-Fernández de
Córdoba y de la Vega, perteneciente al linaje de los Zayas Fernández de
Córdoba, descendiente directa del Gran Capitán. Su padre, Joaquín María
Riquelme y Gómez, era militar, que llegaría como general, en posesión de la
Laureada de San Fernando, al mando de la Capitanía General de Sevilla como jefe
del Estado Mayor. Emilia Riquelme estudió francés, piano, pintura, canto,
equitación, bordado... Su madre, que le enseñó sus primeras oraciones, murió de
cólera en la primavera de 1855 y se instaló con su padre y su hermano Joaquín
en casa de sus abuelos maternos.
A los siete años, dijo
haber visto a la Santísima Virgen con el Niño Jesús en los brazos. Ya en su
juventud, consagró privadamente, con voto de castidad, su virginidad a la
Virgen del Carmen.
El 5 de agosto de 1963,
su padre fue nombrado subsecretario del Ministerio de la Guerra, trasladándose
por obligación de su cargo a Madrid, pero al poco tiempo, por enfermedad
pulmonar crónica de su hijo, solicitó traslado a Canarias con la esperanza de
un clima más suave que favoreciera la recuperación del pequeño Joaquín. En
Tenerife reunió a unos cuantos niños y les explicaba la fe católica: la misa,
la confesión, el amor a la Virgen. Se agravó la enfermedad del hermano y se
trasladaron nuevamente a Sevilla buscando mejores médicos, pero el 2 de mayo de
1866, Joaquín falleció. Su padre fue nuevamente destinado a La Coruña como
capitán general de la VIII Región Militar. Entonces, se decidió a la entrega a
Dios en la vida religiosa a lo que su padre se negó. En la Revolución liberal
de 1968, el general no rindió la Plaza de la Coruña, mandó a María Emilia a
Madrid a casa de su hermana Pepa y tras el destronamiento de Isabel II, depuso
el mando y marchó exiliado a Lisboa.
A la vuelta de su padre
del exilio, a Emilia le desagradaba la vida de gran sociedad en la capital y,
en cambio, visitaba hospitales y a los pobres. En Sevilla, en enero de 1875, el
general Riquelme recibió el nombramiento de capitán general de Andalucía;
ascendiendo pronto a teniente general y a consejero de Estado. Con Alfonso XII
le llegó la jubilación. María Emilia se entregó a obras de caridad: limosnas,
pago de estudios eclesiásticos a jóvenes sin recursos, regalo de ajuares a
chicas casaderas..., así, fue benefactora de Leopoldo Eijo Garay, que llegaría
a arzobispo de Madrid. Por consejo de su confesor, Marcelo Spínola, se asoció a
las Conferencias de San Vicente de Paúl.
Damas de la aristocracia,
contemporáneas suyas, destacan su virtud edificante.
En febrero de 1885
falleció su padre. Intentó probar en varias Congregaciones religiosas pero la
debilidad de su salud la obligó a desistir. Por rescripto pontificio se le
concedió tener a Cristo Sacramentado en su casa. Decidió construir una capilla
y casa colindante dedicándolo a la Virgen Inmaculada, y fue gestando los
estatutos de una vocación específica. El lema de la nueva congregación de
Misioneras del Santísimo Sacramento y María Inmaculada será: “Dulzura y
caridad; inmolación voluntaria y alegre por la gloria de Dios y bien de nuestros
prójimos”. Pronto llegaron las primeras vocaciones, y el arzobispo aprobó
temporalmente las constituciones que regirán la vida comunitaria.
El 25 de marzo de 1896,
presidido por el arzobispo, tuvo lugar la imposición de hábitos a las siete
primeras novicias y profesión perpetua de Emilia Riquelme, como Madre
Fundadora.
Abrió un colegio para
niñas en el mismo edificio y el día del Sagrado Corazón de Jesús del año 1900
inauguró la segunda fundación del Instituto en Barcelona.
Pronto corrieron
calumnias y difamaciones sobre ella y su fundación; no faltaron los infundios
de las que se salieron de la Congregación ni las rebeliones internas. Tras una
visita canónica del vicario capitular y de una entrevista con el nuevo
arzobispo, las aguas se fueron serenando. Viajó a Roma y el 2 de febrero de
1909 la Congregación obtuvo el Decreto laudis firmado por Pío X. Con
cuatro casas fundadas, en 1912 se fue a Roma por la aprobación definitiva del
Instituto, que firmó Pío X el 5 de agosto. Pero las insidias y mentiras continuaron.
En 1936, con noventa
años, formando parte de la comunidad de Barcelona, al iniciarse la Guerra
Civil, tuvo que escapar, huyendo a Francia, de donde pasó a Pamplona, y tras
unos meses, a la comunidad de Granada.
El 2 de agosto de 1938,
Pío XI aprobó definitivamente las constituciones de la Congregación. En sus
últimos consejos, pidió con insistencia a sus hijas que rezasen diariamente el
Santo Rosario, “sencillez de corazón y humildad muy profunda”.
Además de España con
nueve fundaciones, la Congregación tiene casas en Portugal, tres fundaciones;
Brasil, ocho fundaciones; Colombia, siete fundaciones; Bolivia, cuatro
fundaciones, y Estados Unidos, cuatro fundaciones.
Bibl.: A. Arderiú, Apuntes
Biográficos de la Reverenda Madre “María de Jesús Riquelme”, Barcelona, Ed. F.
González Rojas, 1942; I. Aizcorbe, Emilia Riquelme, Barcelona, Herder,
1979; Monte arriba. Emilia Riquelme 1847-1940, Barcelona, Herder, 1981; M.
Lozano Nieto, Estudio Teológico sobre la vida y obra de M.ª Emilia
Riquelme y Zayas, Granada, Gráf. Sur, 1994; J. Álvarez Gómez, CMF, Historia
de las Misioneras del Santísimo Sacramento y M.ª Inmaculada, Madrid, Ed. Anzos,
2000; R. Martín Ribas et al., Sublime itinerario. Guía inédita
religiosa, hagiográfica, histórica, artística de España, Madrid, Ramiro Martín
Ribas, 2004 (2.ª ed. act.,); Misioneras del Santísimo Sacramento y María
Inmaculada, MISSMI, Nuestra Misión, Granada, Graf. Jufer, 2006.
José Martín Brocos
Fernández
SOURCE : https://dbe.rah.es/biografias/110364/maria-emilia-riquelme-y-zayas-fernandez-de-cordoba
Voir aussi : https://www.causesanti.va/it/santi-e-beati/maria-emilia-riquelme-y-zayas.html
https://adarvegranadino.weebly.com/mariacutea-emilia-riquelme-y-zayas.html
https://misionerasdelsantisimosacramento.org/wp-content/uploads/2015/11/Pensamientos_opt.pdf