lundi 11 novembre 2019

Bienheureuse VINCENZA MARIA (LUIGIA) POLONI, religieuse et fondatrice

Beata Vincenza Maria Poloni (1802-1855)

Bienheureuse Vincenza Maria Poloni

Fondatrice des religieuses de la Miséricorde de Vérone ( 1855)

Fondatrice des Sœurs de la Miséricorde de Vérone, Vincenza Maria Poloni (1802-1855), a été béatifiée le 21 septembre 2008.



Blessed Luigia Poloni


Also known as
  • Mother Vincenza Maria
  • 11 November
  • 10 September (Sisters of Mercy of Verona as the anniversary of the profession of the first Sisters)
Profile

Baptized on the day of her birth, the youngest of the twelve children, she was raised in a pious family, the daughter of a small businessman who ran a combination pharmacy and grocery in the heart of Verona, Italy. When her fathers died, Luigia took over the family finances. Spiritual student of Blessed Charles Steeb. Nun. Co-founder, with Blessed Charles Steeb of the Sisters of Mercy of Verona to work with the elderly and with abandoned girls; the first group of sisters organized on 2 November 1840, and made their first profession on 10 September 1848. The Sisters continue their good work today in Italy, Germany, PortugalAlbania, Tanzania, Angola, Burundi, Argentina, Brazil, Chile, and have been joined by the affiliated Laity of Mercy.

Born

BEATA VINCENZA MARIA POLONI (1802-1855)

Il 26 gennaio 1802, a Verona, all’attuale numero civico 8 di Piazza delle Erbe, nasceva la Serva di Dio Vincenza Maria Poloni da Gaetano e Margherita Biadego. Nel pomeriggio dello stesso giorno veniva battezzata nella Parrocchia di S. Maria Antica presso le Arche Scaligere col nome di Luigia Francesca Maria.

Ultima di dodici fratelli dei quali nove morirono in tenera età, Luigia crebbe in un clima familiare permeato da solidi principi religiosi e da uno stile di solidarietà verso i più deboli. Dai genitori assorbì il senso della fede, della preghiera e della laboriosità e ricevette un grado di istruzione adeguato alla sua condizione sociale.

Giovane di aperto e di vivace ingegno, divenne il braccio destro della mamma nella cura della casa, il sostegno insostituibile nell’educazione dei numerosi nipoti, l’assistente premurosa di una cognata spesso malata e l’aiuto principale nel negozio del padre. Anche Il fratello Apollonio, trovò nella sorella Luigia un valido appoggio per la gestione e amministrazione della complessa attività agricola in località Palazzina (Verona).

Sotto la direzione spirituale del Beato Carlo Steeb il suo cuore andava assecondando i richiami dello Spirito Santo che la conduceva con sempre maggior trasporto a dedicare tempo ed attenzione alle persone anziane e malate croniche presso il Pio Ricovero cittadino. Nel 1836, durante una terribile epidemia di colera, diede prova di incondizionata abnegazione nel reparto detto “sequestro” mettendo a repentaglio la sua stessa vita.

Intanto la volontà di Dio andava facendosi sempre più chiara: gli anziani e i malati costituivano il corpo di Cristo sofferente a cui si donava generosamente e al quale voleva attrarre altre compagne.

Superate le non poche resistenze poste dai famigliari che ritenevano ancora indispensabile la sua presenza in famiglia, il 2 novembre 1840 la Poloni si stabilì con tre compagne in due stanzette presso il Pio Ricovero per dedicarsi a tempo pieno al servizio degli anziani e malati.

Gli inizi delle opere di Dio sono sempre caratterizzati dallo zelo del donarsi e da una generosa povertà scelta consapevolmente. Quelle quattro persone assunsero subito lo stile di vita di una comunità religiosa scandita da un orario severo, da fervente preghiera, e da un totale servizio di carità verso gli altri. Ben presto si aggiunsero altre compagne, fu acquistata una casa, si ottennero le autorizzazioni civili e canoniche e così il 10 settembre 1848 Luigia Poloni insieme ad altre dodici sorelle emise i voti religiosi di povertà, castità ed obbedienza assumendo il nome di Vincenza Maria.
L'Istituto Sorelle della Misericordia di Verona diventava una realtà. Una nuova sorgente di luce e di amore sgorgava in Verona, città di santi e beati.

Madre Vincenza Maria, nei quindici anni da lei vissuti dopo la fondazione dell’Istituto, esercitò con zelo ammirabile la sua missione di assistenza agli anziani, malati e fanciulli orfani. Con la saggezza che derivava dal suo temperamento, dall'esperienza di vita in famiglia e soprattutto dalla fedeltà allo Spirito, reggeva la Comunità che, nel frattempo andava espandendosi raggiungendo - alla sua morte - il numero di 48 sorelle.

Con l’esempio della vita e con l’insegnamento, raccomandava alle sue figlie la rettitudine nell’agire, la tenerezza verso le ammalate, la pazienza nelle tribolazioni, l’umiltà nel riconoscere i propri errori, la carità verso il prossimo, soprattutto verso i poveri. Era solita dire: “I poveri sono i nostri padroni: amiamoli e serviamoli come serviremmo Gesù Cristo stesso in persona”.

Sopportò con fede e con fiducia nella divina Provvidenza difficoltà e sacrifici. Coltivò la preghiera, l’amore all’Eucaristia, la devozione all’Addolorata, ai Sacratissimi Cuori di Gesù e di Maria. Nutrì, inoltre, una particolare devozione nei confronti di San Vincenzo De’ Paoli, il santo cui il Beato Carlo Steeb si ispirò nello stendere le Regole per l’Istituto che stava per sorgere.

La fama del nuovo Istituto si diffondeva anche fuori Verona e a Madre Vincenza Maria giungevano ben presto richieste di sorelle per un servizio di misericordia da altre città e paesi. Le prime comunità furono aperte a Cologna Veneta, Montagnana, Zevio, Este e Monselice.

Negli ultimi anni della sua vita, Madre Vincenza Maria venne colpita da un tumore che, lentamente ma inesorabilmente, la consumava. Sopportò il dolore con cristiana fortezza e in silenzio per non essere di peso alle sorelle. Si sottopose all'intervento chirurgico e alla cura ancor più dolorosa del 'caustico' senza anestesia.

Trascorse gli ultimi dieci giorni di vita in edificante preparazione alla morte, confortata dalla presenza del suo direttore spirituale, don Carlo Steeb, che le somministrò il sacramento degli infermi.

Entrò nell'eternità alle ore 9 dell’11 novembre 1855 lasciando alle sue Figlie il tesoro dei suoi esempi ed un mirabile testamento spirituale nel quale raccomandava con tutte le forze la carità. Quelle parole sembrano scritte con il suo sangue ed hanno ancor oggi il fascino di un eroismo raggiunto dal suo impegno di conformità a Cristo. La sua figura costituisce una fulgida luce che ci addita il cammino sicuro della santità.

Questa perla non poteva rimanere nascosta per cui diciamo il nostro grazie alla Chiesa che, dopo scrupoloso esame storico e teologico, ha riconosciuto ufficialmente il 28 aprile 2006 l'esercizio delle virtù eroiche di madre Vincenza Maria Poloni e il 17 dicembre 2007 la guarigione miracolosa di suor Virginia Agostini avvenuta per sua intercessione nel 1939.

Oggi la nostra gioia è piena perché madre Vincenza Maria è ufficialmente proclamata Beata dalla Chiesa. Una nuova sorella ci viene offerta come esempio e come protettrice.


BEATA VINCENZA MARIA POLONI 

I testi che seguono approfondiscono aspetti della vita, della spiritualità e della carità della beata Vincenza Maria Poloni che hanno caratterizzato il suo modo di incarnare il carisma della misericordia.

Omelia alla beatificazione di Vincenza Maria Poloni di Mons. Angelo Amato.


Personalità e spiritualità della Poloni dalla Positio Poloni, Parte II, cap. XX



Serve una carezza Conferenza di A. Pronzato






Vincenza M. Poloni Relazione di madre Teresita Filippi al ritiro dei sacerdoti di Verona 



Le virtù teologali:  fede,  speranza,  carità   in Vincenza Maria Poloni Positio Poloni



Le virtù cardinali:  prudenza,  giustizia,  fortezza,  temperanza   in Vincenza Maria Poloni Positio Poloni



Beata Vincenza Maria (Luigia) Poloni Religiosa


Verona, 26 gennaio 1802 – 11 novembre 1855

Quando le prime Sorelle della Misericordia giunsero a Mantova, verso la fine del 1800, avevano sicuramente ancora vivo il ricordo di Madre Vincenza che nel 1855, dopo aver inutilmente combattuto contro la malattia, le aveva lasciate a don Carlo Steeb, ormai avanti con l’età, e alla loro forza interiore, la forza che lo Spirito aveva suscitato in loro con la stessa vocazione alla vita religiosa.

Ma quel seme, che portava impresso in sé più che le parole l’esempio della madre, fortificato come essa voleva nella preghiera, nell’abbandono alla Provvidenza, in uno spirito di sacrificio e in uno stile ascetico, non poteva non crescere forte e solido fino ai nostri giorni.

Ancora oggi le Sorelle della Misericordia sono presenti a Mantova: nell’educazione con la scuola dell’infanzia “Mons. Martini”, nell’assistenza agli anziani con la R.S.A. “Casa Pace”, con la comunità “Mons. Martini” di piazza Stretta, con l’impegno nelle attività di pastorale della parrocchia del Duomo e con il volontariato presso la Casa Circondariale di Mantova.


Qualche nota biografica


Madre Vincenza, al secolo Luigia Poloni, nacque a Verona, in piazza delle Erbe, il 26 gennaio 1802 e fu battezzata lo stesso giorno nella vicina chiesa di Santa Maria Antica alle Arche Scaligere.

Ultima di 12 figli, Luigia cresce in un ambiente cristiano e fervorosamente impegnato nella carità. Il padre, droghiere, apparteneva alla Fratellanza cioè a quella che oggi definiremmo una “associazione di volontariato” rivolta in modo particolare ai concittadini che, a causa dei continui scontri tra l’esercito francese e quello austriaco che allora si contendevano la città, versavano nei più diversi bisogni.

L’attenzione agli altri, lo spirito di sacrificio, uno sguardo attento accompagnato da mani operose, un servizio puntuale ma mai umiliante sono sicuramente i tratti che Luigia ha acquisito con l’educazione, fondati su “quei valori che danno credibilità e spessore alla fede”.

Nulla di eclatante e molta “ferialità” nei gesti di Luigia: la carità ha mille nomi e altrettanti volti; come i cerchi di un’onda, si espande ovunque in ugual misura ed è proprio per questo che tutti coloro che ne sono toccati percepiscono che il cuore della carità è la gratuità.

Nella giovinezza Luigia, che aiuta il papà nelle attività caritative, conosce don Carlo Steeb. Questi, proveniente dal luteranesimo, era divenuto cattolico tutto d’un pezzo: sacerdote zelante soprattutto in campo caritativo. A lui, la giovane Luigia confida le sue aspirazioni profonde, i desideri che la animano e soprattutto quella costante ricerca della volontà di Dio che è il presupposto di ogni cammino di santità.

Sarà proprio don Carlo a proporle, dopo averla messa a lunga prova nel servizio alle persone anziane e ammalate del ricovero cittadino, di diventare “Fondatrice” di un Istituto religioso che si prendesse cura dei “poveri e bisognosi di aiuto”. “Mani pietose” - la chiamava don Carlo - quella famiglia di Sorelle della Misericordia che da molto tempo era il suo desiderio per concretizzare e rendere visibile la sua esperienza interiore: la misericordia.

A questo si è sentita chiamata Luigia che dice il suo sì a Dio con la professione religiosa il 10 settembre 1848 in cui assume il nome di Vincenza Maria.


Il carisma della misericordia


Don Carlo Steeb, scrivendo la regola per le religiose dell’Istituto, evidenzia nel mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, il modello più alto per coniugare la misericordia. Gesù Cristo “l’unigenito Figlio di Dio” per amore dell’umanità si fa “carne” e risolleva l’uomo portandolo alla piena comunione con Dio.

Misericordia è proprio un movimento di discesa e di ascesa, un “annullare le distanze”, un farsi “tutto a tutti pur di salvare a ogni costo qualcuno” - usando le parole dell’apostolo Paolo -, quel rendersi “prossimi” che permette di comprendere fino in fondo la vita dell’altro per rivelargli la profonda dignità dell’essere “figli di Dio” che è la grandezza della persona umana. Misericordia è appassionarsi all’uomo; è “curvarsi” su di lui nella certezza che il servizio è rivolto a Cristo stesso.


Una santità a misura d’uomo


Una straordinaria ordinarietà. “Un giorno di ordinaria follia” l’avrebbe chiamato il regista Joel Schumacher… solo che la follia dei giorni di madre Vincenza, il cui regista era solo Dio, non era che l’amore in “frammenti”. Una carità spicciola, concreta, fatta più di gesti che di parole, obbediente alla parola evangelica: “l’avete fatto a me”.

Un percorso, quello di madre Vincenza, che conosce solo tre “segnaletiche”: una profonda vita interiore che fa di Cristo il perno della ruote della sua vita; un grande amore a Dio e all’Eucaristia, per cui la preghiera scandisce le ore del suo donarsi come il sole le ore di un giorno; e infine uno stile di umiltà, semplicità e carità che orienta l’agire solo a Dio, amato e servito nel prossimo sofferente.

Oggi le Sorelle della Misericordia, oltre che in Italia sono presenti in Germania, Portogallo, Albania, Tanzania, Angola, Burundi, Argentina, Brasile, Cile. Accanto alle religiose, ormai da alcuni anni sta crescendo anche la famiglia dei Laici della Misericordia: uomini e donne che traducono la tenerezza di Dio nella famiglia, nei luoghi di lavoro e di impegno sociale secondo la comune logica di sempre: il qui e ora.


Il Rito di Beatificazione della Venerabile Serva di Dio ha avuto luogo a Verona domenica 21 settembre 2008. Rappresentante del Santo Padre è stato il Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi.

La Congregazione delle Sorelle della Misericordia di Verona la festeggia il 10 settembre.


Madre Vincenza M. Poloni


Madre Vincenza Maria Poloni, al secolo Luigia, nasce a Verona il 26 gennaio 1802. La sua casa è situata in Piazza delle Erbe, cuore della città, dove i genitori gestiscono una drogheria-farmacia. La famiglia, ispirata a profondi principi cristiani e provata da parecchi eventi dolorosi, è per Luigia l’ambiente stimolante e formativo. E’ la madre la sua prima formatrice. Il padre, droghiere e farmacista, assieme alla moglie, dà esempio di virtù cristiane e sociali, prestandosi come membro stimato e influente del gruppo di coloro che sostengono la Pia Casa di Ricovero.

L’intelligenza pratica, concreta e perspicace di Luigia, la riservatezza e la cortesia che le sono proprie, favoriscono in lei l’attitudine al servizio attento e gratuito. Negli anni più belli della sua giovinezza essa lo offre ai fratelli in seria necessità e ai numerosi nipoti che la considerano come una “mamma”.

Dopo la morte del padre, gravi problemi economici scuotono l’equilibrio della famiglia, per cui Luigia mette in atto anche le sue capacità amministrative e direttive senza trascurare la frequenza, come volontaria, alla Pia Casa di Ricovero, dove assiste le malate croniche nelle infermerie. Nel 1836, presta il suo servizio volontario anche alle colerose accolte nell’ambiente d’isolamento a loro destinato.

E’ guidata spiritualmente da don Carlo Steeb, suo confessore, al quale confida il suo desiderio di consacrarsi totalmente al Signore. Lui la fa attendere a lungo e, alla fine, le rivela: “Figlia mia, il Signore vi vuole fondatrice di un Istituto di Sorelle della Misericordia, nessuna difficoltà vi atterrisca o arresti; a Dio nulla è impossibile”. Luigia accoglie con timore la proposta e, con semplicità e confidenza filiale nel Padre misericordioso, risponde: “Io sono la più inetta delle creature, ma il Signore si serve, alle volte, di strumenti debolissimi per le opere sue: sia fatta dunque la sua volontà”.

Il 2 novembre 1840, sostenuta e accompagnata da don Carlo Steeb, Luigia con alcune altre compagne dà inizio all’Istituto Sorelle della Misericordia. Il 10 settembre 1848 esse emettono la professione religiosa: ricevono l’abito religioso, il crocefisso, la corona del rosario e la Regola. A ciascuna è dato un nome nuovo, simbolo della nuova vita consacrata a Dio.

Il suo servizio, umile e prezioso, presso le persone anziane e le ragazze abbandonate, trova la sua più alta espressione in quello di madre e maestra di numerose giovani che, alla sua scuola, imparano a consacrare, in umiltà, semplicità e carità la loro vita a Dio come sorelle della misericordia.

Madre Vincenza Maria Poloni muore l’11 novembre 1855 lasciando come suo Testamento spirituale, espressione del suo affetto per le sorelle, una sola cosa: la carità.

Viene dichiarata beata il 21 settembre 2008 con decreto di papa Benedetto XVI.

La sua festa liturgica si celebra il 10 settembre, giorno della prima professione di madre Vincenza Maria Poloni e di 12 sue sorelle nel 1848.

Preghiera di intercessione alla beata Vincenza Maria Poloni, fondatrice delle Sorelle della Misericordia, per ottenere grazie

Beata Vincenza María (Luigia) Poloni

«Solidaridad y fe al servicio de los débiles»
NOVIEMBRE 11, 2012 00:00ESPIRITUALIDAD Y ORACIÓN

MADRID, domingo 11 noviembre 2012 (ZENIT.org).- Ofrecemos el santo del día por nuestra colaboradora Isabel Orellana Vilches. Esta vez es la beata italiana Vicenta María, oriunda de Verona, fundadora de las Hermanas de la Misericordia.
Nació en Verona (Italia) el 26 de enero de 1802. Creció en medio del infortunio alentada por la robusta fe de sus padres. Inteligente y capaz, sensible ante las adversidades, supo ser motivo de descanso para su generosa familia cuando de doce hijos habidos en el seno de su hogar, fueron muriendo uno tras otro sobreviviendo tres, y sostuvo los negocios familiares con gran talento y agudeza.
De su padre, integrado en una asociación benéfica, aprendió la riqueza que esconde el desprendimiento acogiéndolo para sí. Su discreción y espíritu de servicio fueron apreciados tanto en el comercio que regentaba como en el asilo de Verona donde realizaba labores de voluntariado con los ancianos. Conocía en carne propia el zarpazo del sufrimiento, su valor purificativo, el cúmulo de enseñanzas que conlleva humanas y espirituales, y había adquirido el sentimiento de solidaridad universal que aglutina a quienes han pasado por él. Sus entrañas de misericordia serían manifiestas de forma singular en la obra que le aguardaba y de la que sería artífice.
Fue Carlos Steeb, su director espiritual, quien se percató de la grandeza humana y espiritual de la joven que tenía en la oración uno de los pilares de su vida, y entrevió la misión a la que estaba destinada. Atento a los signos, como es propio de los grandes apóstoles, la alentaba a seguir el sendero de la perfección a la espera de que se manifestase la voluntad divina sobre ella. Durante la epidemia de cólera fue evidente que la acción de la futura fundadora no era un acto solidario, sino que iba acompañada de un cariz de ternura con los damnificados en el que latía el amor divino.
Carlos Steeb que conocía su valía y era sabedor de las virtudes que le adornaban, le propuso fundar el Instituto de Hermanas de la Misericordia, que ella emprendió humildemente en 1840, sintiendo el peso de su indigencia y confiada en la gracia de Dios: «… El Señor se sirve, a veces, de los instrumentos más débiles para llevar a cabo sus designios: que se cumpla su voluntad», hizo notar. Volcada durante quince años en niños, ancianos y enfermos, desahuciados y abandonados, culminó su vida, tras un cáncer de mama que no superó, el 11 de noviembre de 1855.
El beato P. Steeb no dejó abandonadas a las religiosas sino que sostuvo la obra hasta su muerte. Vicenza fue beatificada el 21 de septiembre de 2008.
NOVIEMBRE 11, 2012 00:00ESPIRITUALIDAD Y ORACIÓN

lundi 4 novembre 2019

Bienheureuse ELENA ENSELMINI, vierge moniale clarisse

Beata elena enselmini 2

Bienheureuse Hélène Enselmini

Vierge clarisse ( 1251)

Clarisse à Arcella, près de Padoue en Italie, elle reçut le voile de saint François. Elle supporta avec une patience admirable de multiples douleurs. Vers la fin de sa vie, elle devint aveugle, sourde et muette.

Béatifiée en 1695.

"Antoine de Padoue rencontra la jeune religieuse lorsqu'il était Provincial de l'Italie du Nord. La tradition rapporte qu'entre ces deux grandes âmes s'est établi un lien de sainte amitié faite d'assistance mutuelle."

source: site des 
Frères mineurs capucins, vice-province du Proche-Orient.

À Padoue en Vénétie, l'an 1251, la bienheureuse Hélène Enselmini, vierge clarisse.
Martyrologe romain


Née dans une famille noble de Padoue en 1208, Hélène entra fort jeune dans le petit Monastère des Clarisses de l'Arcella fondé aux portes de la ville, par Saint François lui-mêrne en 1220, si l'on en croit la tradition.

Antoine de Padoue rencontra la jeune Religieuse lorsqu'il était Provincial de l'Italie du nord. La tradition rapporte qu'entre ces deux grandes âmes s'est établi un lien de sainte amitié faite d'assistance mutuelle:

Antoine aidait Hélène à supporter avec une patience héroïque ses nombreuses infirmités; Hélène offrait en échange les rnérites de ses souffrances pour le Ministère de son directeur. Elle est morte à Padoue le 4 Novembre 1242, au terme d'une Vie Mystique d'autant plus intense que ses infirmités la séparaient progressivement des créatures.

Innocent XII confirma son culte.




Blessed Helen Enselmini


Also known as
  • Elena Enselmini
Profile

Became a Poor Clare nun at age 12, receiving the veil from Saint Francis of Assisi himself at Arcella. Had the gift of inedia, living solely off the Eucharist for months. Her health suffered in adulthood, and she was both blind and mute by her death.

Born
  • 1242 of natural causes


Blessed Helen Enselmini


(Beata Elena Enselmini)


Feast Day – November 3
Helen, a member of the ancient noble family of the Enselmini, was born in Padua in 1208. Early in life she entertained an ardent desire to become a bride of Christ; and so, when St Francis established a convent of Poor Clares in her native city in 1220, she received the habit of St Clare from the hands of St Francis himself. St Anthony of Padua was her director, and under his guidance the young novice advanced rapidly in religious perfection.

In order to purify His spouse thoroughly, Our Lord began to send her grievous and painful maladies when she was but eighteen years of age; she became lame, blind, and dumb, and remained thus until her death. She bore this trial with heroic constancy and perfect surrender to her suffering and crucified Savior. Blessed Helen was afflicted with sickness that the power and grace of God might be made manifest in her, and her virtue might be proved in patience.

But as a recompense, Blessed Helen Enselmini was also strengthened and enlightened by abundant heavenly consolation. In spirit she saw the glory of the blessed in heaven, especially that of our holy Father St Francis and all the religious who were faithful to their vocation. God permitted her also to behold the sufferings of the souls in purgatory, in order to encourage her to pray the more zealously for them and to bear her own sufferings with still greater patience.

Finally, on November 4, 1242, God called Blessed Helen Enselmini to her eternal home. She was thirty-four years old, and had spent twenty-two years in the convent. Her body has remained incorrupt to the present day, and numerous miracles have been wrought at her intercession. Pope Innocent XII approved the public veneration given to her since her death.

Prayer of the Church:

O God, Thou strength of those who are in health and remedy of the sick, who didst adorn Thy virgin, Blessed Helen, with marvelous strength in illness and with innocence of life, grant us at her intercession patiently to endure sickness and vicissitudes, to amend our lives and attain to everlasting happiness in heaven. Through Christ Our Lord, Amen.

From: The Franciscan Book of Saints, Marion A. Habig, OFM


Beata Elena Enselmini Monaca


Padova, 1208 – ivi 1242

Della nobile famiglia Enselmini, ancor giovinetta si consacrò allo Sposo celeste nel piccolo e solitario monastero suburbano dell’Arcella (Ara Coeli), fondato da san Francesco per le Clarisse, in un suo passaggio per quella città. Quando sant’Antonio giunse a Padova come Ministro Provinciale conobbe Elena, la quale, da quel momento, godette della direzione e dei conforti spirituali che le venivano rivolti dall’ardente predicatore e superiore. Tra le due grandi anime si strinse subito un nodo di santa amicizia spirituale, fatta di scambievoli aiuti: Antonio dava alla eroica paziente l’aiuto del suo consiglio; Elena dava in cambio, nelle sue infermità corporali, al suo Padre spirituale il merito delle sue sofferenze, divenendo anche lei missionaria di desiderio, di amore.

Martirologio Romano: A Padova, beata Elena Enselmini, vergine dell’Ordine delle Clarisse, che sopportò con mirabile pazienza infinite sofferenze e perfino la perdita della parola. 

Nel 1220, San Francesco passò da Padova. Pose la prima pietra del convento dell'Arcella, dove sarebbe esplosa, pochi anni dopo, la santità di Antonio da Padova, che vi mori nel 1231.

Passando da Padova, sembra che San Francesco avesse compiuto anche un altro gesto: quello di dare l'abito di Santa Chiara a una bambina di appena tredici anni, oggi onorata come Beata.


Si chiamava Elena Enselmini, ed era figlia di una nobile famiglia padovana. Bambina, era stata educata ai più alti principi religiosi e ai più puri ideali di virtù. Quando la fanciulla desiderò, per sé e per sempre, la vita religiosa, la famiglia non soltanto non si oppose, ma si rallegrò di tale decisione.

Elena si sottrasse così ai genitori secondo la carne, per acquistare un nuovo padre secondo lo spirito, Francesco, e una nuova madre, Chiara.

Nel convento delle Clarisse, Elena Enselmini, dopo aver conosciuto il poverello d'Assisi, conobbe anche il taumaturgo di Padova, Sant'Antonio. Fu lui, sembra, a dare formazione teologica e preparazione morale alla fanciulla che, per età e per sesso, aveva ricevuto, dalla famiglia, soltanto una sommaria educazione intellettuale.

Per sei anni, la vita della Clarissa fu un'esperienza luminosa e gioiosa, nonostante gli apparenti rigori materiali, le privazioni e le durezze. Ma sui vent'anni, sopraggiunsero gli anni delle tenebre. Tenebre anche in senso fisico, con malattie e infermità, ma soprattutto tenebre dell'anima, provata dal dubbio e dall'aridità spirituale.

Veniva tentata a credere che tutto era inutile; che la salvezza eterna le sarebbe stata per sempre negata. Ma anche nei momenti di maggior disorientamento intimi, Elena Enselmini si attaccò alle certezze della fede e all'obbedienza ai superiori. Con la tenacia di una volontà ben temprata, riuscì a riconquistare la pace, e la certezza che la Provvidenza guidava il suo destino per il meglio.

Restavano le infermità del corpo, che non potevano spaventare però la donna forte. Impedita nella parola, comunicava con cenni, corrispondenti alle lettere dell'alfabeto. Con questo linguaggio da sordomuti dettò anche il resoconto di numerose visioni dalle quali fu favorita.

In una di tali visioni contemplò, nella gloria dei Paradiso, gran numero di anime di religiosi vissuti in comunità. Ciò meravigliò la Clarissa di Padova, che riteneva, da buona donna del Medioevo, che maggior titolo di gloria fosse costituito dai rigori e dalle austerità degli eremiti e dei penitenti, così frequenti allora. Gli fu rivelato che c'era invece qualcosa di ancor più prezioso: l'obbedienza, quotidiana ginnastica spirituale di chi viva in comunità. Nell'elogio di tale obbedienza, c'era già l'annunzio della certa gloria della Beata di Padova, morta a soli ventiquattro anni, verso il 1231, o secondo altri nel 1242.


Fonte:
Archivio Parrocchia


ENSELMINI, Elena. - Figlia di Xex (e non di Africano, come si ripete nella letteratura storica), nacque a Padova nel 1207, da nobile famiglia.
Ramo della casata dei Ruffi discendente a sua volta da quella dei Trarisguardi, una delle più illustri della città, gli Enselmini erano signori di Caselle de' Ruffi (probabilmente una signoria di castello), ma all'epoca in cui visse la E. non erano più sorretti da patrimonialità e potenza economica confacenti al loro rango. Certo Xex non doveva disporre di risorse cospicue, se il De Favafuschis lo definisce "non valde dives".
Le fonti non riferiscono l'anno di nascita della Enselmini. Esso si ricava tuttavia, tenendo conto del fatto che "Diem obiit Helena beata … aetatis vero suae anno XXIIII" (Sicconis Polentonis Vita et visiones…, col. 517), per calcolo retrogrado dalla data di morte - "Anno Domini MCCXXXI, die IIII mensis Novembris" - contenuta nel breve elogio funebre scritto sulla pergamena, giunta sino a noi, che venne inchiodata sulla bara della E. qualche decennio dopo la sua scomparsa.
Nulla sappiamo, per il silenzio mantenuto in proposito dalle fonti, circa l'educazione ricevuta dalla E. all'interno della sua famiglia, che era numerosa; nulla sappiamo della sua formazione spirituale. Si può tuttavia ritenere che ella rimanesse precocemente affascinata dai contenuti della prima predicazione francescana in Padova e dagli ideali e dall'esempio di semplicità, di umiltà, di disappropriazione totale offerto da Francesco da Assisi. Quando nel 1220 Francesco, di ritorno dall'Oriente, si fermò a Padova e fondò e costrui all'Arcella un monastero di clarisse con annesso un piccolo convento di frati - "Monasterium de Cella fuit fundatum et constructum per B. Franciscum" (Quaedam scitu digno de civitate Paduae, col. 736) su un terreno donatogli dal capitolo della cattedrale, la E., che era appena tredicenne, chiese di esservi accolta. A probabile che - come vuole la tradizione e come un affresco dello Squarcione nel chiostro di S. Francesco di Padova rappresentava - la E. abbia pronunciato la sua professione religiosa e che dalle sue mani abbia ricevuto il saio.
Nel monastero dell'Arcella - quarta fondazione di "povere dame", che si aggiungeva a quelle di Assisi, di Firenze e di Faenza - la E. rimase per circa dieci anni, facendo vita di durissima ascesi, come voleva la regola delle clarisse del 1219: celebrazione della liturgia delle ore, preghiera, digiuno, lavoro manuale, povertà estrema, silenzio. Benché fosse fragile di costituzione e perciò cadesse di frequente ammalata, sopportò sempre con serenità ogni sofferenza, cercando di vincere la debolezza del suo fisico con la fede, la volontà e l'impegno personale. Come testimonia fra' Bartolomeo da Pisa, godé del privilegio di rivelazioni divine: "Huic Deus multa revelavit, quae ipsa sororibus enarravit, et ea scripta, Paduae duni essem lector, vidi".
All'inizio del 1230 fu colpita dalla inesorabile malattia che le impedi per quindici mesi di lasciare il pagliericcio e che la condusse alla morte.
Il Polenton non precisa di quale malattia si sia trattato, si limita a riferirne i sintomi forse basandosi sui ricordi delle consorelle. 2 da escludere ad ogni modo, per il decorso e le manifestazioni successive del morbo, che si sia trattato di pleurite, come è stato ipotizzato. La malattia si manifestò con febbri violente, che spesso impedivano alla E. di prendere sonno la notte, e che la fiaccarono, indebolendola allo stremo. Poi sopravvenne "quaedam ac duplex tertiana febris", accompagnata da convulsioni. Gli ultimi tre mesi di passione: perduti l'uso della vista e della parola; le mascelle, le dita dei piedi e quelle delle mani dolorosamente contratte, la E. giacque, senza poter assumere né cibo né bevande, ma perfettamente presente e consapevole. Seguiva infatti la celebrazione dell'anno liturgico ascoltando la lettura del Lezionario, dell'Ufficiodelle ore e delle vite dei santi; comunicava con le consorelle, faticosamente e macchinosamente, per mezzo di gesti.
Durante la malattia - cosi vuole la pia tradizione, ma la circostanza non è attestata da alcuna fonte contemporanea - la E. avrebbe avuto la guida e il sostegno spirituale e morale di Antonio da Padova, il quale, già ministro provinciale di Emilia e Lombardia dell'Ordine francescano dal 1227 al 1230, viveva allora a Padova, dove infatti mori, il 13 giugno 1231, proprio all'Arcella. Motivo di consolazione per la speciale predilezione riservatale, ma anche di sofferta partecipazione alla Passione di Cristo furono le frequenti visioni, di cui la E. durante la lunga malattia riferiva - per dovere di obbedienza impostole dalla badessa - alle consorelle attraverso il consueto e faticoso linguaggio gestuale.
La E. mori nel suo monastero, all'età di ventiquattro anni, il 4 nov. 1231, come attesta il già ricordato elogio funebre su pergamena, che fu posto sulla bara della beata. Erra dunque il Polenton, che nella sua biografia scrisse: "Diem obiit Helena beata anno Nativitatis Christi MCCXXX".
Il breve elogio funebre fu redatto certamente dopo la canonizzazione di s. Chiara (1256), ma non eccessivamente più tardi: il monastero in cui visse e mori la E. vi viene infatti indicato col termine di "locus", secondo l'uso durato per tutto il Duecento, e definito "Sancte Marie de Cella Padue", e non "de Cella veteri", come fu invece a partire dal 1325, anno in cui venne fondato a Padova un secondo monastero di clarisse, poi noto come "de Cella nova".
La fama della pia vita della E., la voce che presso il suo sepolcro avvenissero miracoli e, soprattutto, il fatto straordinario che il corpo della beata fosse rimasto incorrotto, giovanile e non rigido "cum sit longo tempore quod mortua est; et ita sibi crescunt capilli et ungues, quod maius est, ac si ipsa viveret" (fra' Bartolomeo da Pisa), si trasformarono subito in venerazione, che fece accorrere folle di fedeli da Padova e dai dintorni. Considerata santa dall'Ordine francescano, i cui agiografi l'associarono per tempo al beato Francesco, a s. Chiara e a s. Antonio da Padova, la E. venne ritratta come compatrona della città, a metà del sec. XIV, da Giusto de' Menabuoi nel polittico del battistero del duomo di Padova. Il monastero, in cui ella era vissuta e nel quale erano conservate le sue spoglie, monastero già dedicato, come la chiesa annessa, alla Madonna, fini con l'assumere il nome della E., come si trae da una bolla del 27 maggio 1443, con cui il papa Eugenio IV concedeva un'indulgenza di cento giorni a chi avesse contribuito alla ricostruzione del monastero di "S. Elena fuori le mura di Padova". Tuttavia il riconoscimento ufficiale della Chiesa di Roma giunse molto più tardi. La causa di beatificazione, richiesta dall'Ordine dei minori, dall'ambasciatore della Repubblica di S. Marco, dal capitolo della cattedrale e dal clero di Padova, dalle autorità cittadine e dal Collegio dei teologi, fu promossa ed inoltrata dal vescovo di Padova, il cardinal Gregorio Barbarigo, nel 1693. Dopo l'escussione delle prove testimoniali e documentarie sul culto immemorabile e sui numerosi miracoli, e l'esame del corpo da una commissione medica, la E. fu proclamata beata da Innocenzo XII nel 1695. Il suo corpo fu traslato in un'urna di cristallo. La festa della beata, nell'Ordine francescano e in tutta la diocesi di Padova, si celebra il 6 novembre, giorno della sua morte.
Le spoglie della E. seguirono le vicende storiche della comunità dell'Arcella. Dal 1957 riposano definitivamente nel santuario dell'Arcella.
Gli scritti, che conservavano la memoria delle visioni della E. che fra' Bartolomeo da Pisa attesta di aver veduto quand'era a Padova, non sono pervenuti sino a noi, forse andati anch'essi perduti come altro materiale relativo alla E., nell'incendio che nell'inverno 1442-43 distrusse l'archivio del monastero dell'Arcella. Nessun accenno alla E. è contenuto nelle fonti coeve o di poco posteriori sino a noi pervenute. Il primo scrittore che ne serbi memoria è fra' Bartolomeo da Pisa, il quale nel suo De conformitate, scritto tra il 1385 e il 1390, ha dedicato alla E. un sobrio medaglione, preoccupandosi meno di delinearne la biografia (non ricorda, fra l'altro, né la data di nascita, né quella di morte) che di porne in risalto la santità della vita ed i miracoli. Quanto sappiamo della personalità e delle vicende della E. ci viene, senza la possibilità di altri riscontri, dalla biografia composta nel 1437 dall'umanista padovano Sicco Polenton.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Monastero della B. Elena, busta 220; Convento di S.Antonio, busta 174, cc. 20-22; busta 186, c. 3; Corona, buste 102-111; Clero regolare, busta 1416; Demanio, busta 10; Atti del Consiglio, busta 30; Notarile, busta 1340, c. 237; Padova, Arch. provinciale, Convento del Santo, busta VII, n. 519; B. Elena, n 1 (pergamena dugentesca con l'epitafio della E.); n. 2 (copia dell'epitafio, datata 1596); Ibid., Arch. della Curia vescovile, Sala D, sez. 2, c. 1; Ibid., Biblioteca civica, Mss. 605: Patavina Canonizationis B.Helenae Enselminae …; Ibid., Biblioteca del Seminario, Mss. 56: Z. A. De Favafuschis,Chronica Patavina, f. 9; Quaedam scitu digno de civitate Paduae, in L. A. Muratori, Rer. Ital.Script., VIII, Mediolani 1726, col. 736; Sicconis Polentonis Vita et visiones b. Helenae, in Acta sanctorum Novembris, II, 1, Bruxellis 1894, coll. 512-517; Bartholomaei de Pisis De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, in Analecta franciscana …, IV, Ad Claras Aquas 1906, pp. 358 s.; Radulphi Tussignani Historiarum Seraphicae Religionis libri, I, Venetiis 1586, p. 140; A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 429; C. Dancluzzi Messi, B. E. E. Un angelo sulle orme del Santo di Padova, Padova 1954; I. Daniele, E.E. di Padova, beata, in Bibliotheca sanctorum, IV, s.l. né d. (ma Roma 1964), coll. 1247 s.; P. Marangon, La famiglia della beata E. E. nel sec. XIII, in Il Santo, XIV (1974), pp. 231-240.