Bienheureuse Karolina Kozka
Martyre (+ 1914)
Née en 1898, tuée à 16 ans, Karolina Kózka
(1898-1914), martyre durant la première guerre mondiale, a été béatifiée le 10
juin 1987 (homélie
de Jean-Paul II lors de son voyage en Pologne - en italien)
Jean-Paul
II exalte cette paysanne consciente de sa dignité de femme, de Polonaise,
consciente de la dignité de son corps promis à la résurrection après l'épreuve
de la mort.
À Wal-Ruda en Pologne, l'an 1914, la bienheureuse
Caroline Kozka, vierge et martyre. Encore adolescente au début de la Première
guerre mondiale, alors qu'elle cherchait à défendre sa virginité contre un
soldat, elle fut frappée par lui d'un coup d'épée et mourut pour le Christ.
Martyrologe romain
«Oui, Karolina abandonnée dans le bois de Ruda, est en
lieu sûr, elle est entre les mains de Dieu qui est le Dieu de la Vie (...) Elle
a rendu témoignage au Christ: un témoignage de vie en traversant la
mort.»
Jean-Paul II
SOURCE : https://nominis.cef.fr/contenus/saint/10061/Bienheureuse-Karolina-Kozka.html
Sculpture de la
Bienheureuse Karolina Kózka,
église Saint Joseph, Muszyna, Pologne
Also
known as
- Caroline
Kózkówny
- Karolina
Kózka
- Karolina
Kozkowna
- Karolina
Kózkówny
- the
Maria Goretti of Poland
Profile
Born
Tombe de la bienheureuse Karolina Kózka, Zabawa,
Grób błogosławionej Karoliny Kózkówny przy sanktuarium
w Zabawie, powiat tarnowski.
MESSA
PER LA BEATIFICAZIONE DELLA GIOVANE
CONTADINA MARTIRE CAROLINA KÓZKA
OMELIA
DI GIOVANNI PAOLO II
Tarnów
- Mercoledì, 10 giugno 1987
1. “Beati voi . . .” (Mt 5, 11).
Abbiamo
ascoltato le parole di Cristo dal discorso della montagna. Ancora una volta il
Maestro ci ha parlato con il linguaggio delle otto beatitudini: con il
linguaggio della buona novella.
Beati
voi . . .
In
queste parole leggiamo il passato ed il futuro. Prima il passato. La Chiesa di
Tarnów; che nello scorso anno ringraziava Dio per i duecento anni del suo
servizio in questa terra sulla Vistola ed ai piedi dei Carpazi, legge nel
messaggio delle otto beatitudini tutto il suo passato ultramillenario in questa
terra.
Questo
messaggio risuonava qui da oltre mille anni, cadendo sul terreno delle anime
umane come il grano che gli stessi uomini gettavano allo stesso tempo sugli
appezzamenti di questa terra. A volte - terra fertile, che produce il centuplo,
a volte - terra difficile, sassosa, come in montagna, dove non è così facile
avere un raccolto fertile ed abbondante.
Sono
lieto di poter essere oggi con voi, per prolungare la forte eco ancor sempre
risonante del vostro giubileo. So che esso si è fatto sentire con un inno
ardente di gratitudine - nel tuo cuore, Vescovo e pastore della Chiesa di
Tarnów, nel cuore dei tuoi fratelli, Vescovi e sacerdoti, nel cuore delle
famiglie religiose maschili e femminili, nel cuore di tutti coloro che in
questa terra sono “il Popolo di Dio” e “il sacerdozio regale” (cf. 1 Pt 2, 9).
2.
Sono lieto di poter essere oggi con voi. Questa terra da anni mi era cara.
Fissavo con ammirazione gli incanti del suo paesaggio, attraverso le catene
montuose e le valli lungo i ruscelli. Ricevevo tanta ospitalità. E mi era cara
questa Chiesa.
Anche
se oggi vengo da voi come pellegrino dalla sede di san Pietro a Roma, per anni
sono stato un vicino. Ed ho sperimentato un buon cordiale vicinato.
Il
Vangelo . . . il messaggio delle otto beatitudini . . . non è esso sin
dall’inizio inscritto nella storia della vostra Chiesa? Non annunziavano questo
messaggio salvifico già quei primi santi eremiti sul Dunajec, e poi sul Vago
slovacco - Swierad e Benedetto - alla soglia stessa della nostra storia?
E dopo:
Stanislao di Szczepanow, Vescovo, martire sulla sede di Cracovia, con cui è
legato il patrimonio comune di tutti i Polacchi.
E più
tardi ancora: Kinga, principessa, madre della stirpe e monaca nel convento
delle figlie di santa Chiara a Nowy Sacz.
3. Il
messaggio delle otto beatitudini, la semina del Vangelo di Dio, cammina
attraverso i secoli. Durante il Giubileo avete ricordato scrupolosamente tutte
le persone, tutti i luoghi ed i tempi, mediante i quali spirava nella vostra
storia comune lo stesso spirito di verità che si è manifestato agli apostoli il
giorno di Pentecoste sotto forma di lingue di fuoco.
Ed
ecco, durante i nostri tempi, in questo secolo, ancora una lingua di fuoco
dello Spirito di verità, del Paraclito, si è soffermata sopra una semplice
ragazza contadina: “. . . Dio ha scelto . . . ciò che è debole per confondere i
forti, per confondere i sapienti” (cf. 1
Cor 1, 27).
I
Santi, non sono essi per . . . confondere? Sì. Possono essere anche per
questo. A volte è necessaria una tale salvifica confusione per vedere l’uomo in
tutta verità. È necessario, per scoprire: o riscoprire la giusta gerarchia dei
valori. È necessario a noi tutti, vecchi e giovani. Anche se questa giovane figlia della Chiesa di Tarnów; che
da oggi chiameremo beata, parla con la sua vita e la sua morte prima di tutto
ai giovani.
Ai
ragazzi, alle ragazze. Agli uomini e alle donne. Parla della grande dignità
della donna: della dignità della persona umana. Della dignità del corpo, anche
se in questo mondo è soggetto alla morte e corruttibile così come anche il suo
giovane corpo è stato sottoposto alla morte dall’assassino, ma questo corpo
umano porta in sé il segno dell’immortalità che l’uomo deve raggiungere in Dio
eterno e vivo mediante Cristo.
Così
dunque: i santi sono per testimoniare la grande dignità dell’uomo. Testimoniare
Cristo crocifisso e risorto “per noi e per la nostra salvezza”, vuol dire
testimoniare allo stesso tempo la dignità che l’uomo ha davanti a Dio.
Testimoniare la vocazione che l’uomo ha in Cristo.
4. Carolina
Kózka era consapevole di questa dignità.
Consapevole
di questa vocazione. Viveva in questa consapevolezza e maturava in essa. Con la
stessa coscienza infine ha dato la sua giovane vita, quando bisognava darla,
per difendere la sua dignità di donna. Per difendere la dignità di una ragazza
polacca, contadina. “Beati i puri di cuore perché vedranno Dio” (cf. Mt 5, 8.).
Ecco
così il messaggio delle otto beatitudini si inscrive con nuovi caratteri nella
storia della Chiesa di Tarnów, nella storia di questo popolo, che da
generazioni - indipendentemente da storici torti ed umiliazioni - ha conservato
in sé la consapevolezza di essere il santo Popolo di Dio, il popolo redento a
prezzo del sangue di Cristo, il sacerdozio regale.
Là tra
i boschi pianeggianti, vicino al paese Wal-Ruda, sembra perdurare questa vostra
compaesana, figlia del popolo, “stella del popolo” - e testimoniare
l’indistruttibile appartenenza dell’uomo a Dio stesso. “L’uomo è di Cristo - e
Cristo è di Dio” (cf. 1 Cor 3, 23).
5. La
liturgia dell’odierna beatificazione, e specialmente il salmo responsoriale, ci
permette in un certo senso di leggere i singoli momenti di questa
testimonianza. Di questo martirio.
Non è
lei, Carolina, a dire così? “Proteggimi o Dio: in te mi rifugio. Ho detto a
Dio: “Sei tu il mio Signore”” (Sal 16,
1-2).
Non è
lei ad esprimersi tramite le parole del salmista? Al momento della terribile
minaccia da parte di un altro uomo fornito di mezzi di prepotenza . . . si
ripara presso Dio. E il grido: “Sei tu il mio Signore” significa: non prevarrà
su di me la sporca prepotenza, perché tu sei la fonte della mia forza - nelle
debolezze. Tu, unico Signore della mia anima e del mio corpo: mio creatore e
redentore della mia vita e della mia morte. Tu, Dio del mio cuore, dal quale non
si separa la mia memoria e la mia coscienza.
“Io
pongo sempre innanzi a me il Signore, / sta alla mia destra, non posso
vacillare. / . . .anche di notte il mio cuore mi istruisce” (Sal 16, 8.7).
Così
il salmista. E così Carolina al momento della prova mortale della fede, della
purezza e della fortezza.
Camminiamo
quasi sulle orme della fuga di questa ragazza che tenta di resistere
all’aggressore armato, che cerca i sentieri per i quali potrebbe salvare la
vita e la dignità in mezzo al bosco vicino al suo paese natale. “Tu mi indichi
il sentiero della vita” (cf. Sal16,
11).
Il
sentiero della vita. Su quel sentiero della fuga le è stato inflitto l’ultimo
colpo mortale. Carolina non ha salvato la vita temporale. Ha trovato la morte.
Ha dato questa vita, per ottenere la vita: con Cristo in Dio.
6. In
Cristo infatti, insieme al sacramento del battesimo, che lei ricevette nella
chiesa parrocchiale a Radlow, è iniziata la sua vita nuova.
Ed
ecco, cadendo per mano dell’aggressore, Carolina rende l’ultima testimonianza
su questa terra, a quella vita che è in lei. La morte corporale non la
distrugge. La morte significa un nuovo inizio di questa vita, che è da Dio, che
diventa la nostra parte per mezzo di Cristo, per opera della sua morte e
risurrezione.
Carolina
dunque perisce. Il suo giovane corpo rimane tra il sottobosco. E la morte di un
innocente sin d’ora, sembra annunciare con una forza particolare la verità
espressa dal salmista:
“II
Signore è la mia parte dell’eredità, / Il Signore è il mio destino. / Nelle sue
mani è la mia vita” (cf. Sal 16, 5).
Sì.
Carolina abbandonata nel bosco di Ruda è al sicuro, è nelle mani di Dio che è
il Dio della vita.
E la
martire esclama insieme al salmista: “Benedico il Signore”.
Figlia
di genitori semplici, figlia della terra sulla Vistola, “stella” del tuo
popolo, oggi la Chiesa si unisce in questo alto grido della tua anima - e ti
chiama: beata!
Cristo è diventato tua “Sapienza,
giustizia, santificazione, redenzione” (1 Cor 1, 30).
È
diventato tua forza. Ringraziamo Cristo per la potenza che ha manifestato nella
tua casta vita e nella tua morte per martirio.
7.
“Considerate infatti la vostra vocazione, fratelli!” (1 Cor 1, 26).
Così
scrive l’apostolo Paolo ai Corinzi, e io ripeto oggi a voi, qui riuniti, queste
sue parole.
Siete
giunti da diverse parti di questa vasta diocesi, che ha il suo centro nella
storica città di Tarnów.
Vi
trovate insieme a me di fronte all’eloquenza della vita di questa giovane,
Carolina Kózka, e di questa morte per martirio. Considerate cari fratelli e
sorelle, la vostra vocazione.
Voi,
cari fratelli e sorelle, a cui parlo: operai, artigiani, rappresentati qui
dalle corporazioni artigiane.
Voi, ex prigionieri di Auschwitz - da qui, dalla
prigione di Tarnów, partì il primo trasporto per il campo di Auschwitz.
Voi, rappresentanti di Skalne Podhale, associati nel circolo dei suoi amici.
Voi, combattenti, specialmente da Szczawa. Gioventù delle “Oasi” e membri del
Movimento “Luce-Vita”.
Le scouts e gli scouts.
Fratelli pellegrini dall’Ungheria (da Paks). Fratelli slovacchi e cechi,
fratelli venuti dalla Moravia. Connazionali dall’America che in questo
importante momento vi siete presentati nella terra della vostra origine, il
vecchio paese.
Pellegrini dall’arcidiocesi di Cracovia e dalle diocesi di Kielce e di
Sandomierz-Radom, di Przemysl e dell’arcidiocesi di Lubaczow. Tutti, da
qualunque parte veniate. Tutti voi che siete qui presenti. Considerate la
vostra vocazione.
8. In
modo speciale desidero rivolgermi nel giorno della beatificazione di questa
figlia della campagna polacca, dell’inizio del nostro secolo, a coloro la cui
vocazione di vita - anche oggi, verso il termine di questo secolo, è la vita
rurale e il lavoro della terra.
Agli
agricoltori polacchi presenti qui mediante le loro delegazioni da tutto il
paese. Come è significativo il fatto, che nell’insegnamento sul regno di Dio,
Cristo si è servito dell’analogia e delle immagini attinte dalla vita della
natura e dalla cultura agricola che da essa scaturisce - mediante l’operato
dell’uomo. E
anche in questo modo ha dimostrato come la creazione e la redenzione crescono
dalla stessa fonte: dal creativo e redentivo amore di Dio. Come ciò, che è stato contenuto nella creazione, raggiunge
- nonostante il peccato dell’uomo - la sua pienezza nella redenzione.
“Io
sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo” - l’agricoltore, dicevano le
antiche traduzioni (Gv 15,
1). “Voi siete i tralci” (cf. Gv15,
5).
Il
regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra” (Mc 4, 26).
La
stessa morte e risurrezione di Cristo, ed anche la vita interiore dell’uomo, da
esse condizionate e formate, trovano la loro convincente illustrazione nel
mondo della natura, nella vostra esperienza quotidiana.
“. . .
se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore,
produce molto frutto” (Gv 12,
24).
In
questo modo la terra e colui che la coltiva, il suo lavoro, diventano una
particolare immagine di Dio e la chiave per comprendere il suo regno. E questo
è anche una conferma, indiretta, ma estremamente profonda, della dignità del
lavoro della terra. Pensiamo che per comprendere il Vangelo, per comprendere
che cosa è il regno di Dio e la vita eterna, chi è lo stesso Cristo, bisogna
conoscere l’agricoltura e la cura degli animali di campagna. Bisogna sapere che
cosa è l’ovile e il pastore.
Che
cosa è il seme e la terra coltivabile. Chi è il seminatore, quale è il ruolo
della terra fertile, del vento e della pioggia. Questo da parte del linguaggio
e delle immagini, da parte della comprensione della Rivelazione. Ma
l’agricoltura è infatti il pane. Questo pane di cui vive l’uomo. Non di solo
pane vive l’uomo, però l’uomo per vivere deve avere il pane. Perciò ci sta così
a cuore che questo pane non manchi a nessuno sul nostro globo terrestre, che
esso non manchi nella nostra patria.
Questo
è lo stesso pane, che Cristo “la vigilia della sua passione . . . prese . . .
nelle sue mani sante e venerabili, e alzando gli occhi al cielo a te, Dio Padre
suo onnipotente, rese grazie con la preghiera di benedizione, lo spezzò, lo
diede ai suoi discepoli e disse: Prendete e mangiatene tutti: questo è il mio
corpo offerto in sacrificio per voi”.
L’uomo
ha dunque bisogno del pane. Sia di quello che è “frutto della terra e del
lavoro dell’uomo”, sia di quello “che discende dal cielo e dà la vita al mondo”
(Gv 6, 33).
9.
Come ospite e partecipante del Secondo Congresso Eucaristico Nazionale in
Polonia, vengo a pregare a Tarnów insieme ai miei connazionali: “dacci oggi il
nostro pane quotidiano”. Non vengo come un esperto dell’agricoltura e non porto
delle soluzioni. Desidero in un certo senso trovarmi sulle orme della pastorale
del mondo rurale polacco, dell’agricoltore polacco. Condividere le vostre
preoccupazioni ed inquietudini. Ricordare e confermare il rapporto della Chiesa
verso di voi. In tutto il mondo tutti sono concordi che la mancanza di pane è
uno scandalo. Nella nostra terra tutti sono concordi che non dovrebbe e non può
mancare il pane in essa.
Allo
stesso tempo si sa che il mondo rurale polacco d’oggi, in conseguenza delle
drammatiche esperienze che sono divenute la sua parte, sta vivendo una
complessa crisi: la crisi economica e morale.
Quanto
sarebbe facile elencare gli errori commessi nel passato e quelli che sempre
perdurano e testimoniano la sottovalutazione della agricoltura, che è diventata
terreno di esperimenti non ponderati, di mancanza di fiducia e persino di
discriminazione. E i coltivatori sono infatti non solamente quelli che nutrono,
ma anche coloro che costituiscono un elemento di stabilità e di permanenza.
Come
non citare qui, a Tarnów, il grande leader del popolo polacco e l’uomo di
Stato, agricoltore, Wincenty Witos, figlio di questa terra. Egli scriveva tra
l’altro: “Chi deve costituire la forza dello Stato e un rifugio infallibile?
Per me la risposta si imponeva da sola: i contadini polacchi, consapevoli,
indipendenti, soddisfatti, perché quelli sono pronti a dare la salute e la vita
per ogni zolla di terra patria, e che cosa dire in difesa dell’integrità della
patria. Bisogna però, non solo cercare di basare il futuro su questi contadini,
ma conquistare ad ogni prezzo la loro fedeltà ed il loro attaccamento allo
Stato, e quando lo si conquisterà, mantenerlo e consolidarlo per sempre” (W.
Witos, Moje wspomnienia,
vol. I, Parigi 1964, p. 35).
Le
parole citate di Witos tracciano la via non solo agli agricoltori polacchi, ma
anche a tutti coloro che sono responsabili dell’organizzazione della vita
socio-economica della campagna polacca.
Anche
in questo spirito, conforme alla tradizione polacca, sono stati negli ultimi
tempi, stretti i patti di Rzeszow-Ustrzyki nella questione dell’agricoltura
(del 18 e del 20 febbraio 1981), nei quali i coltivatori hanno tentato di
trovare insieme alle autorità la soluzione a vari, dolorosi problemi. Sembra
che nei tempi attuali questi patti non solo non dovrebbero passare sotto
silenzio, ma dovrebbero trovare la loro piena realizzazione. Che l’agricoltura
polacca esca dalla multiforme minaccia e cessi di essere condannata solo alla
lotta per la sopravvivenza. Che essa sperimenti il molteplice aiuto da parte
dello Stato.
Molte
deformazioni della vita rurale trovano la loro fonte nel secondario status
dell’agricoltore, come lavoratore e come cittadino. Perciò anche il modello
dell’agricoltore, oppure del contadino-operaio che lavora con poco risultato e
al di sopra delle proprie forze, dovrebbe essere sostituito dal modello di un
produttore redditizio e indipendente, consapevole e capace di far uso, non meno
degli altri, dei beni della cultura e capace di moltiplicarla. “Elevare le
ispirazioni popolari ad una potenza che penetri e comprenda l’umanità intera,
elevare ciò che è popolare all’umanità - scrive Norwid - mediante lo sviluppo
interiore della maturità . . .” (C.K. Norwid, Promethidion,
Epilogo). Bisogna ammettere che la Polonia meridionale è sempre una fonte viva
di cultura. Qui lavorano centinaia di “artisti popolari”.
Desidero
incoraggiare loro e tutti gli altri e volgere l’attenzione nel loro lavoro sui
legami tra la cultura spirituale e la religione. Sulla profondità di questa
vocazione pensava il poeta-vaticinatore, mentre scriveva che l’agricoltore “con
una mano cerca per noi il pane, con l’altra trae dal cielo una sorgente di
freschi pensieri” (C. K. Norwid, Pismo,
vv. 21-22).
he
vada in questa direzione e si sviluppi la pastorale degli agricoltori, formando
i partecipanti delle comunità pastorali agricole ed elaborando forme sempre più
profonde di vita interiore, che mostreranno la fatica della vita agricola come
realizzazione della volontà di Dio, del quotidiano dovere dell’uomo.
10.
“Considerate infatti la vostra vocazione, fratelli”.
Nel
contesto del giubileo che sta vivendo la Chiesa di Tarnów, mi è dato oggi di
celebrare questo servizio salvifico della parola di Dio e dell’Eucaristia.
Tramite
la figura di Carolina, beata figlia di questa Chiesa, considerate, fratelli e
sorelle la vostra vocazione attraverso tutte le generazioni che la divina
Provvidenza ha legato con la vostra terra sulla Vistola, ai piedi dei Carpazi,
pianeggiante, collinosa e montuosa . . . con questa bella terra.
Con
questa terra difficile. Questa terra ha accolto in sé il messaggio evangelico
delle otto beatitudini come la luce del destino divino dell’uomo. Come luce di
quell’eredità, che è la nostra parte in Gesù Cristo.
“Beati
i poveri in spirito . . . beati quelli che hanno fame e sete della giustizia .
. . beati i misericordiosi . . . i puri di cuore . . . gli operatori di pace .
. . i perseguitati per causa della giustizia, perché: troveranno misericordia .
. . vedranno Dio . . . saranno chiamati figli di Dio . . . di essi è il regno
dei cieli” (cf. Mt 5, 3-10).
“Stirpe
regale dei Piast” (M. Konopnicka, Rota):
figli e figlie di questa stirpe, qui dalla Vistola ai Carpazi, perseverate in
questa eredità!
A voi
appartiene il regno dei cieli!
Perseverate
come perseveravano le altre generazioni! Come i santi eremiti sul Dunajec, come
il Vescovo Stanislao, che “vive sotto la spada”, come Carolina, che nel nostro
secolo ha reso testimonianza a Cristo: una testimonianza di vita mediante la
morte.
Perseverate in questa sacra
eredità.
A voi
appartiene . . . il regno dei cieli. Amen.
Al
termine della solenne Beatificazione il Santo Padre annuncia ai fedeli della
città e della diocesi la nomina ad arcivescovo di Monsignor Ablewicz. Queste le
parole del Papa.
Cari
fratelli e sorelle! Tutti i pellegrini di questa diocesi di Tarnow e delle
diocesi confinanti, tutti quanti professano la fede in Cristo, figli e figlie
sia della Chiesa latina sia quanti viventi tra noi sono legati alla Chiesa
orientale, tutti gli agricoltori qui riuniti.
Sono giunto per un anniversario e
anniversario significa rallegrarsi. Il Signore
Gesù ha detto: “Vengo a voi perché la vostra gioia sia piena”. Come servitore
di Cristo desidero che la gioia della Chiesa di Tarnow sia piena e per questo,
in occasione del duecentesimo anniversario dell’esistenza della diocesi, su
richiesta del Cardinale Metropolita di Krakow e a nome di tutto il circondario
ecclesiastico, dopo essermi accordato con i dicasteri responsabili della sede
apostolica, conferisco oggi il titolo di arcivescovo al vostro pastore. Tale
titolo è legato alla sua persona in qualità di vescovo di Tarnow, dopo
venticinque anni di attività pastorale in questa diocesi e inoltre per
sottolineare un particolare servizio alla Chiesa universale, soprattutto nel
campo della missione - numerosi sacerdoti e suore di questa diocesi lavorano
nelle missioni, e il nome della Chiesa di Tarnow è nelle missioni ben
conosciuto - e per riconoscere il servizio che il vostro vescovo, vescovo di
Tarnow, arcivescovo Jerzy Ablewicz ha ripetutamente compiuto nei confronti
della sede apostolica. Gloria a Dio!
© Copyright - Libreria Editrice
Vaticana
Beata Carolina Kozka Vergine e martire
Wal-Ruda, Polonia, 2 agosto 1898 - 18
novembre 1914
Nacque
il 2 agosto 1898 a Wal-Ruda (Tarnów, Polonia), in una famiglia contadina
povera. Da giovane fu accompagnata dal padre spirituale Ladislao Mendrala, il
quale la inserì nella vita attiva della parrocchia del villaggio. Fu catechista per i fratelli e per i
ragazzi delle case vicine. Si dedicò anche all'assistenza di anziani e
ammalati. Nel maggio 1914 ricevette la cresima e sei mesi dopo, il 18 novembre
1914, durante la prima guerra mondiale, che sul fronte orientale vedeva la
Russia invadere la Prussia e la Polonia con fasi alterne, Carolina venne
aggredita da un soldato russo e trascinata nella foresta di Wal-Ruda con la
forza. La giovane si oppose alla violenza sessuale e per questo fu uccisa:
aveva 16 anni. Il suo corpo fu ritrovato solo sedici giorni dopo, il 4 dicembre
e sepolto nel cimitero della parrocchia. Il suo martirio suscitò molto scalpore
fra gli abitanti di tutta la regione e il 18 giugno 1916, vicino alla chiesa di
Zabawa, fu benedetto un monumento a suo ricordo. Nel luogo del delitto nel
bosco, fu collocata invece una croce. È stata beatificata da papa Giovanni
Paolo II il 10 giugno 1987 a Tarnów in Polonia.(Avvenire)
Emblema: Palma
Martirologio
Romano: Nel
villaggio di Wal-Ruda in Polonia, beata Carolina Kózka, vergine e martire, che,
durante la guerra, morì per Cristo ancora adolescente trafitta con la spada per
aver voluto difendere da un soldato la sua castità.
Carolina Kózka nacque il
2 agosto 1898 a Wal-Ruda, nella diocesi di Tarnów, Polonia, quarta figlia dei
coniugi Johann Kózka e Maria Borzęcka, che ebbero undici figli. Nel battesimo,
il 7 agosto, le venne imposto il nome di Carolina. I genitori erano contadini e
molto religiosi. Entrambi erano iscritti alle associazioni dell'apostolato
della preghiera e del rosario vivente. In questo clima di preghiera comune,
specialmente la sera, Carolina fu educata ad una vita di fede e di valori
religiosi. Un influsso, non meno rilevante, nella formazione cristiana di
Carolina l'esercitò la famiglia di Franziskus Borzęcki, fratello della madre,
animatore della vita religiosa e culturale del villaggio. Carolina prestava il
suo aiuto sia nel mantenimento della biblioteca che nelle riunioni, alle quali
partecipavano gli abitanti del villaggio.
Dall'età di sei anni Carolina iniziò a frequentare la scuola elementare in
Wal-Ruda che terminò con grande successo dopo sei anni. In questo periodo
(1905-1912) Carolina frequentava con i genitori la chiesa parrocchiale in
Radlow, distante dal suo paese circa sette chilometri e mezzo, ove ricevette
anche la Prima Comunione. Nel 1911 Carolina intraprese un nuovo corso
scolastico. I genitori la iscrissero al cosiddetto corso complementare.
Carolina confermò il livello di diligenza e d'impegno già manifestato nelle
elementari. Il corso si protrasse fino al 1913.
Intanto, nel 1912, venne eretta la nuova parrocchia in Zabawa, distante da
Wal-Ruda soltanto quattro km, e così Carolina pote frequentare questa
parrocchia impegnandosi a cooperare col parroco don Vladislao Mendrala, un
sacerdote dinamico e aperto alle esigenze dei suoi parrocchiani. Don Mendrala
comprese ben presto che Carolina era una ragazza diversa dalle sue coetanee,
diversa per la profonda pietà, per la dedizione al sacrificio, per la tensione
spirituale e per lo spirito di collaborazione. Con queste doti Carolina divenne
per il parroco sempre di più il braccio destro nell'organizzazione della nuova
parrocchia. La parrocchia era ormai, dopo la famiglia, il luogo ove trascorreva
più tempo.
Il 18 maggio 1914 Carolina ricevette la cresima nella parrocchia di Zabawa e
con questa grazia si aprì per lei un nuovo capitolo di vita. Al centro della
sua vita spirituale stava Gesù eucaristico, per il quale nutriva un culto
particolare. Contemplava però Cristo anche nei suoi misteri di passione e di
morte, meditando spesso la Via crucis. La devozione al cuore di Gesù, a quel
tempo vivamente raccomandata, Carolina la coltivava facendo la comunione
riparatrice nei primi venerdi del mese. Con Gesù amava la Madonna, recitando
ogni giorno il rosario, mentre durante il lavoro ripeteva sotto voce l'Ave
Maria per implorare la sua protezione. Alla Madonna dedicava due mesi: quello
di maggio e quello di ottobre, durante i quali partecipava sempre alle
funzioni.
In famiglia assunse il ruolo di catechista per i fratelli e le sorelle più giovani,
e anche per i ragazzi delle case vicine. In casa aiutava i genitori nel lavoro
del campo, che era di loro proprietà. Non mancava di prestare lo stesso
servizio ai parenti e conoscenti, perché per lei lavorare era una gioia e un'espressione
d'amore e di fede.
Carolina aveva sentito tante volte ripetere il comandamento di Gesù di amare i
fratelli, soprattutto i bisognosi, come egli stesso ci ha amati. Per questo,
senza risparmiarsi, si prodigava nel fare visita agli anziani, ai poveri, ai
malati. Dalla sua persona emanava una stima, una benevolenza e un'amicizia
sincera. Una della coetanee che aveva perso la madre disse di lei: « Era per me
più che una madre ».
Come i suoi genitori, anche Carolina fece parte di diversi gruppi di apostolato
come il rosario vivente, l'apostolato della preghiera e l'associazione degli
astinenti, assumendo in essi la funzione di guida. Esortava i pigri a
partecipare più attivamente alle celebrazioni liturgiche e al catechismo. Il
suo motto era la glorificazione di Dio. Nella biblioteca dello zio Borzęcki
sceglieva per la sua lettura la Sacra Scrittura e le agiografie di santi per
intensificare la sua formazione spirituale.
All'età di diciassette anni, Carolina che nel suo aspetto esteriore appariva ormai
una ragazza prestante e volitiva, suscitò l'interesse dei soldati dell'esercito
russo che occupava in quel tempo militarmente la zona. Esattamente otto mesi
dopo aver ricevuto il sacramento della cresima e dopo essersi confessata il 13
novembre e accostata alla comunione il 15 novembre, il 18 novembre 1914,
durante la Prima Guerra Mondiale, alle ore 9 circa, un soldato penetrò nella
sua casa, la prelevò con forza, davanti al padre terrorizzato, la condusse
fuori con evidenti intenzioni.
Con la minaccia dell'arma in dotazione il soldato costrinse Carolina a seguirlo
nel bosco vicino. Essa si opponeva con tutte le forze, ma il militare era più
forte e la trascinò nell'interno del bosco. Carolina, temendo il pericolo,
fuggì dalle mani del soldato correndo per 800 metri, ma il militare la
raggiunse.
Quello che accadde poi in quel tragico momento fu tramandato da due ragazzi del
villaggio, che erano andati nel bosco a nascondere i loro cavalli per timore
che fossero prelevati dall'esercito russo. Uno di loro, Franziskus Zaleśny, ha
testimoniato:
« Ero nel bosco con il mio collega Franziskus Broda. Lì abbiamo legato i nostri
cavalli, nascondendoli alle truppe. Avremmo voluto sorvegliarli, ma per timore
dei soldati abbiamo deciso di tornare a casa. Perciò, lasciati i cavalli nel
bosco, siamo corsi verso casa passando per la strada più lunga, e non so
veramente perché abbiamo scelto quella via. Ad un certo momento abbiamo visto
un soldato che spingeva davanti a se qualcuno che gli faceva resistenza. A causa
del buio della foresta e data la distanza, non abbiamo potuto riconoscere la
persona. Abbiamo però potuto scorgere che quella persona ogni due tre passi si
girava, come se volesse tornare indietro. Invano. II sodato la spingeva
continuamente in avanti. Il soldato riuscì a spingere la ragazza per
un'ottantina di metri. Sul braccio sinistro aveva una carabina mentre con la
destra teneva afferrata la ragazza e la trascinava con forza. Finalmente l'epilogo
tragico e brutale. Il soldato prese la sciabola e uccise la ragazza ».
I due testimoni che il 18 novembre, alle ore 21,15-21,30, non riconobbero chi
fosse la vittima lo seppero più tardi con tutti gli abitanti del villaggio.
Passarono sedici giorni prima che, il 4 dicembre 1914, il corpo di Carolina
venisse rinvenuto nella selva da Franziskus Szwiec, che vi era andato per raccogliere
legna, e fosse trasportato nella casa paterna. Persone competenti effettuarono
sul cadavere un esame autoptico, che dimostrò che Carolina morì alle ore
21,30-21,45 circa, in pochi minuti per gravissima emorragia, prodotta da una
ferita alla carotide infertale, insieme ad altre, senza che abbia perso la
verginità.
Un teste ha così deposto al processo: « Abbiamo visto la salma assiderata di
Carolina Kózka distesa nel bosco; il braccio destro era appoggiato con il
gomito sulla terra e il palmo della mano chiuso era rivolto verso l'alto; la
mano sinistra invece era stesa sulla terra, con un fazzoletto da testa ».
L'autopsia ed altri accertamenti stabilirono inoltre che il corpo di Carolina
subì molte vessazioni e ferite, ma che la sua verginità non fu violata. Le
ferite gravi furono sei: la prima dietro la testa, mentre fuggiva inseguita; la
seconda dal gomito fino al polso; la terza nella mano sinistra; la quarta nella
gamba sinistra sotto il ginocchio; la quinta, dal collo verso sinistra; la
sesta, mortale, alla gola, da sotto il mento alla resezione della carotide.
Carolina cadde vittima della ferocia, difendendo fino al sangue la sua
verginità. Per questo la sua venerazione iniziò subito dopo il rinvenimento del
suo cadavere e al funerale il 6 dicembre nel cimitero della parrocchia –
nonostante il regime di guerra – parteciparono circa tremila persone. Il 18
giugno 1916 fu benedetto, vicino alla chiesa di Zabawa, un monumento a ricordo
di Carolina, mentre sul luogo del martirio nel bosco fu eretta una croce di
quercia.
Il 18 novembre 1917 la salma di Carolina fu trasferita solennemente dal
cimitero alla tomba costruita vicino alla chiesa parrocchiale di Zabawa,
venerata da suoi concittadini come « stella del popolo ».
Il 10 giugno 1987 Carolina Kózka è stata beatificata da Papa Giovanni Paolo II.
Autore: Andreas Resch