Bienheureuse Hélène Enselmini
Vierge
clarisse (✝ 1251)
Clarisse à
Arcella, près de Padoue en Italie, elle reçut le voile de saint François. Elle supporta avec une
patience admirable de multiples douleurs. Vers la fin de sa vie, elle devint
aveugle, sourde et muette.
Béatifiée en 1695.
"Antoine de Padoue rencontra la jeune religieuse lorsqu'il était Provincial de l'Italie du Nord. La tradition rapporte qu'entre ces deux grandes âmes s'est établi un lien de sainte amitié faite d'assistance mutuelle."
source: site des Frères mineurs capucins, vice-province du Proche-Orient.
À Padoue en Vénétie, l'an 1251, la bienheureuse Hélène Enselmini, vierge clarisse.
Martyrologe
romain
Née dans une famille
noble de Padoue en 1208, Hélène entra fort jeune dans le petit Monastère des
Clarisses de l'Arcella fondé aux portes de la ville, par Saint François
lui-mêrne en 1220, si l'on en croit la tradition.
Antoine de Padoue rencontra la jeune Religieuse lorsqu'il était Provincial de
l'Italie du nord. La tradition rapporte qu'entre ces deux grandes âmes s'est
établi un lien de sainte amitié faite d'assistance mutuelle:
Antoine aidait Hélène
à supporter avec une patience héroïque ses nombreuses infirmités; Hélène
offrait en échange les rnérites de ses souffrances pour le Ministère de son
directeur. Elle est morte à Padoue le 4 Novembre 1242, au terme d'une Vie
Mystique d'autant plus intense que ses infirmités la séparaient progressivement
des créatures.
Innocent XII confirma son culte.
Blessed Helen Enselmini
Also
known as
- Elena
Enselmini
Profile
Became a Poor Clare nun at age 12, receiving the veil from Saint Francis of Assisi himself at Arcella. Had the gift of inedia, living solely off the Eucharist for months. Her health suffered in adulthood, and she was both blind and mute by her death.
Born
- 1242 of
natural causes
- 29 October 1695 by Pope Leo X and Pope Innocent XII (cultus confirmed)
Blessed Helen Enselmini
(Beata Elena Enselmini)
Feast Day – November 3
Helen,
a member of the ancient noble family of the Enselmini, was born in Padua in
1208. Early in life she entertained an ardent desire to become a bride of
Christ; and so, when St Francis established a convent of Poor Clares in her
native city in 1220, she received the habit of St Clare from the hands of St
Francis himself. St Anthony of Padua was her director, and under his guidance
the young novice advanced rapidly in religious perfection.
In
order to purify His spouse thoroughly, Our Lord began to send her grievous and
painful maladies when she was but eighteen years of age; she became lame,
blind, and dumb, and remained thus until her death. She bore this trial with
heroic constancy and perfect surrender to her suffering and crucified Savior.
Blessed Helen was afflicted with sickness that the power and grace of God might
be made manifest in her, and her virtue might be proved in patience.
But
as a recompense, Blessed Helen Enselmini was also strengthened and enlightened
by abundant heavenly consolation. In spirit she saw the glory of the blessed in
heaven, especially that of our holy Father St Francis and all the religious who
were faithful to their vocation. God permitted her also to behold the
sufferings of the souls in purgatory, in order to encourage her to pray the
more zealously for them and to bear her own sufferings with still greater
patience.
Finally,
on November 4, 1242, God called Blessed Helen Enselmini to her eternal home.
She was thirty-four years old, and had spent twenty-two years in the convent.
Her body has remained incorrupt to the present day, and numerous miracles have
been wrought at her intercession. Pope Innocent XII approved the public
veneration given to her since her death.
Prayer
of the Church:
O
God, Thou strength of those who are in health and remedy of the sick, who didst
adorn Thy virgin, Blessed Helen, with marvelous strength in illness and with
innocence of life, grant us at her intercession patiently to endure sickness
and vicissitudes, to amend our lives and attain to everlasting happiness in
heaven. Through Christ Our Lord, Amen.
From:
The Franciscan Book of Saints, Marion A. Habig, OFM
Beata Elena Enselmini Monaca
Padova, 1208 – ivi 1242
Della
nobile famiglia Enselmini, ancor giovinetta si consacrò allo Sposo celeste nel
piccolo e solitario monastero suburbano dell’Arcella (Ara Coeli), fondato da
san Francesco per le Clarisse, in un suo passaggio per quella città. Quando
sant’Antonio giunse a Padova come Ministro Provinciale conobbe Elena, la quale,
da quel momento, godette della direzione e dei conforti spirituali che le
venivano rivolti dall’ardente predicatore e superiore. Tra le due grandi anime
si strinse subito un nodo di santa amicizia spirituale, fatta di scambievoli
aiuti: Antonio dava alla eroica paziente l’aiuto del suo consiglio; Elena dava
in cambio, nelle sue infermità corporali, al suo Padre spirituale il merito
delle sue sofferenze, divenendo anche lei missionaria di desiderio, di amore.
Martirologio
Romano: A Padova, beata Elena
Enselmini, vergine dell’Ordine delle Clarisse, che sopportò con mirabile
pazienza infinite sofferenze e perfino la perdita della parola.
Nel 1220, San
Francesco passò da Padova. Pose la prima pietra del convento dell'Arcella,
dove sarebbe esplosa, pochi anni dopo, la santità di Antonio da Padova, che vi
mori nel 1231.
Passando da Padova, sembra che San Francesco avesse compiuto anche un altro
gesto: quello di dare l'abito di Santa Chiara a una bambina di appena tredici
anni, oggi onorata come Beata.
Si chiamava Elena Enselmini, ed era figlia di una nobile famiglia padovana.
Bambina, era stata educata ai più alti principi religiosi e ai più puri ideali
di virtù. Quando la fanciulla desiderò, per sé e per sempre, la vita religiosa,
la famiglia non soltanto non si oppose, ma si rallegrò di tale decisione.
Elena si sottrasse così ai genitori secondo la carne, per acquistare un nuovo
padre secondo lo spirito, Francesco, e una nuova madre, Chiara.
Nel convento delle Clarisse, Elena Enselmini, dopo aver conosciuto il poverello
d'Assisi, conobbe anche il taumaturgo di Padova, Sant'Antonio. Fu lui, sembra,
a dare formazione teologica e preparazione morale alla fanciulla che, per età e
per sesso, aveva ricevuto, dalla famiglia, soltanto una sommaria educazione
intellettuale.
Per sei anni, la vita della Clarissa fu un'esperienza luminosa e gioiosa,
nonostante gli apparenti rigori materiali, le privazioni e le durezze. Ma sui
vent'anni, sopraggiunsero gli anni delle tenebre. Tenebre anche in senso
fisico, con malattie e infermità, ma soprattutto tenebre dell'anima, provata
dal dubbio e dall'aridità spirituale.
Veniva tentata a credere che tutto era inutile; che la salvezza eterna le
sarebbe stata per sempre negata. Ma anche nei momenti di maggior
disorientamento intimi, Elena Enselmini si attaccò alle certezze della fede e
all'obbedienza ai superiori. Con la tenacia di una volontà ben temprata, riuscì
a riconquistare la pace, e la certezza che la Provvidenza guidava il suo
destino per il meglio.
Restavano le infermità del corpo, che non potevano spaventare però la donna
forte. Impedita nella parola, comunicava con cenni, corrispondenti alle lettere
dell'alfabeto. Con questo linguaggio da sordomuti dettò anche il resoconto di
numerose visioni dalle quali fu favorita.
In una di tali visioni contemplò, nella gloria dei Paradiso, gran numero di
anime di religiosi vissuti in comunità. Ciò meravigliò la Clarissa di Padova,
che riteneva, da buona donna del Medioevo, che maggior titolo di gloria fosse
costituito dai rigori e dalle austerità degli eremiti e dei penitenti, così
frequenti allora. Gli fu rivelato che c'era invece qualcosa di ancor più
prezioso: l'obbedienza, quotidiana ginnastica spirituale di chi viva in
comunità. Nell'elogio di tale obbedienza, c'era già l'annunzio della certa
gloria della Beata di Padova, morta a soli ventiquattro anni, verso il 1231, o
secondo altri nel 1242.
Fonte:
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Archivio
Parrocchia
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ENSELMINI, Elena. -
Figlia di Xex (e non di Africano, come si ripete nella letteratura storica),
nacque a Padova nel 1207, da nobile famiglia.
Ramo della casata dei Ruffi
discendente a sua volta da quella dei Trarisguardi, una delle più illustri
della città, gli Enselmini erano signori di Caselle de' Ruffi (probabilmente
una signoria di castello), ma all'epoca in cui visse la E. non erano più sorretti
da patrimonialità e potenza economica confacenti al loro rango. Certo Xex non
doveva disporre di risorse cospicue, se il De Favafuschis lo definisce
"non valde dives".
Le fonti non riferiscono
l'anno di nascita della Enselmini. Esso si ricava tuttavia, tenendo conto del
fatto che "Diem obiit Helena beata … aetatis vero suae anno XXIIII"
(Sicconis Polentonis Vita et
visiones…, col. 517), per calcolo retrogrado dalla data di morte -
"Anno Domini MCCXXXI, die IIII mensis Novembris" - contenuta nel
breve elogio funebre scritto sulla pergamena, giunta sino a noi, che venne
inchiodata sulla bara della E. qualche decennio dopo la sua scomparsa.
Nulla sappiamo, per il
silenzio mantenuto in proposito dalle fonti, circa l'educazione ricevuta dalla
E. all'interno della sua famiglia, che era numerosa; nulla sappiamo della sua
formazione spirituale. Si può tuttavia ritenere che ella rimanesse precocemente
affascinata dai contenuti della prima predicazione francescana in Padova e
dagli ideali e dall'esempio di semplicità, di umiltà, di disappropriazione
totale offerto da Francesco da Assisi. Quando nel 1220 Francesco, di ritorno
dall'Oriente, si fermò a Padova e fondò e costrui all'Arcella un monastero di
clarisse con annesso un piccolo convento di frati - "Monasterium de Cella
fuit fundatum et constructum per B. Franciscum" (Quaedam scitu digno de civitate Paduae,
col. 736) su un terreno donatogli dal capitolo della cattedrale, la E., che era
appena tredicenne, chiese di esservi accolta. A probabile che - come vuole la
tradizione e come un affresco dello Squarcione nel chiostro di S. Francesco di
Padova rappresentava - la E. abbia pronunciato la sua professione religiosa e
che dalle sue mani abbia ricevuto il saio.
Nel monastero dell'Arcella -
quarta fondazione di "povere dame", che si aggiungeva a quelle di
Assisi, di Firenze e di Faenza - la E. rimase per circa dieci anni, facendo
vita di durissima ascesi, come voleva la regola delle clarisse del 1219:
celebrazione della liturgia delle ore, preghiera, digiuno, lavoro manuale,
povertà estrema, silenzio. Benché fosse fragile di costituzione e perciò
cadesse di frequente ammalata, sopportò sempre con serenità ogni sofferenza,
cercando di vincere la debolezza del suo fisico con la fede, la volontà e
l'impegno personale. Come testimonia fra' Bartolomeo da Pisa, godé del
privilegio di rivelazioni divine: "Huic Deus multa revelavit, quae ipsa
sororibus enarravit, et ea scripta, Paduae duni essem lector, vidi".
All'inizio del 1230 fu colpita
dalla inesorabile malattia che le impedi per quindici mesi di lasciare il
pagliericcio e che la condusse alla morte.
Il Polenton non precisa di
quale malattia si sia trattato, si limita a riferirne i sintomi forse basandosi
sui ricordi delle consorelle. 2 da escludere ad ogni modo, per il decorso e le
manifestazioni successive del morbo, che si sia trattato di pleurite, come è
stato ipotizzato. La malattia si manifestò con febbri violente, che spesso
impedivano alla E. di prendere sonno la notte, e che la fiaccarono,
indebolendola allo stremo. Poi sopravvenne "quaedam ac duplex tertiana
febris", accompagnata da convulsioni. Gli ultimi tre mesi di passione:
perduti l'uso della vista e della parola; le mascelle, le dita dei piedi e
quelle delle mani dolorosamente contratte, la E. giacque, senza poter assumere
né cibo né bevande, ma perfettamente presente e consapevole. Seguiva infatti la
celebrazione dell'anno liturgico ascoltando la lettura del Lezionario, dell'Ufficiodelle
ore e delle vite dei
santi; comunicava con le consorelle, faticosamente e macchinosamente, per mezzo
di gesti.
Durante la malattia - cosi
vuole la pia tradizione, ma la circostanza non è attestata da alcuna fonte
contemporanea - la E. avrebbe avuto la guida e il sostegno spirituale e morale
di Antonio da Padova, il quale, già ministro provinciale di Emilia e Lombardia
dell'Ordine francescano dal 1227 al 1230, viveva allora a Padova, dove infatti
mori, il 13 giugno 1231, proprio all'Arcella. Motivo di consolazione per la
speciale predilezione riservatale, ma anche di sofferta partecipazione alla
Passione di Cristo furono le frequenti visioni, di cui la E. durante la lunga
malattia riferiva - per dovere di obbedienza impostole dalla badessa - alle
consorelle attraverso il consueto e faticoso linguaggio gestuale.
La E. mori nel suo monastero,
all'età di ventiquattro anni, il 4 nov. 1231, come attesta il già ricordato
elogio funebre su pergamena, che fu posto sulla bara della beata. Erra dunque
il Polenton, che nella sua biografia scrisse: "Diem obiit Helena beata
anno Nativitatis Christi MCCXXX".
Il breve elogio funebre fu
redatto certamente dopo la canonizzazione di s. Chiara (1256), ma non
eccessivamente più tardi: il monastero in cui visse e mori la E. vi viene
infatti indicato col termine di "locus", secondo l'uso durato per
tutto il Duecento, e definito "Sancte Marie de Cella Padue", e non
"de Cella veteri", come fu invece a partire dal 1325, anno in cui
venne fondato a Padova un secondo monastero di clarisse, poi noto come "de
Cella nova".
La fama della pia vita della
E., la voce che presso il suo sepolcro avvenissero miracoli e, soprattutto, il
fatto straordinario che il corpo della beata fosse rimasto incorrotto,
giovanile e non rigido "cum sit longo tempore quod mortua est; et ita sibi
crescunt capilli et ungues, quod maius est, ac si ipsa viveret" (fra'
Bartolomeo da Pisa), si trasformarono subito in venerazione, che fece accorrere
folle di fedeli da Padova e dai dintorni. Considerata santa dall'Ordine
francescano, i cui agiografi l'associarono per tempo al beato Francesco, a s.
Chiara e a s. Antonio da Padova, la E. venne ritratta come compatrona della
città, a metà del sec. XIV, da Giusto de' Menabuoi nel polittico del battistero
del duomo di Padova. Il monastero, in cui ella era vissuta e nel quale erano
conservate le sue spoglie, monastero già dedicato, come la chiesa annessa, alla
Madonna, fini con l'assumere il nome della E., come si trae da una bolla del 27
maggio 1443, con cui il papa Eugenio IV concedeva un'indulgenza di cento giorni
a chi avesse contribuito alla ricostruzione del monastero di "S. Elena
fuori le mura di Padova". Tuttavia il riconoscimento ufficiale della
Chiesa di Roma giunse molto più tardi. La causa di beatificazione, richiesta
dall'Ordine dei minori, dall'ambasciatore della Repubblica di S. Marco, dal
capitolo della cattedrale e dal clero di Padova, dalle autorità cittadine e dal
Collegio dei teologi, fu promossa ed inoltrata dal vescovo di Padova, il
cardinal Gregorio Barbarigo, nel 1693. Dopo l'escussione delle prove
testimoniali e documentarie sul culto immemorabile e sui numerosi miracoli, e
l'esame del corpo da una commissione medica, la E. fu proclamata beata da
Innocenzo XII nel 1695. Il suo corpo fu traslato in un'urna di cristallo. La
festa della beata, nell'Ordine francescano e in tutta la diocesi di Padova, si
celebra il 6 novembre, giorno della sua morte.
Le spoglie della E. seguirono
le vicende storiche della comunità dell'Arcella. Dal 1957 riposano
definitivamente nel santuario dell'Arcella.
Gli scritti, che conservavano
la memoria delle visioni della E. che fra' Bartolomeo da Pisa attesta di aver
veduto quand'era a Padova, non sono pervenuti sino a noi, forse andati
anch'essi perduti come altro materiale relativo alla E., nell'incendio che
nell'inverno 1442-43 distrusse l'archivio del monastero dell'Arcella. Nessun
accenno alla E. è contenuto nelle fonti coeve o di poco posteriori sino a noi
pervenute. Il primo scrittore che ne serbi memoria è fra' Bartolomeo da Pisa,
il quale nel suo De
conformitate, scritto tra il 1385 e il 1390, ha dedicato alla E. un sobrio
medaglione, preoccupandosi meno di delinearne la biografia (non ricorda, fra
l'altro, né la data di nascita, né quella di morte) che di porne in risalto la
santità della vita ed i miracoli. Quanto sappiamo della personalità e delle vicende
della E. ci viene, senza la possibilità di altri riscontri, dalla biografia
composta nel 1437 dall'umanista padovano Sicco Polenton.
Fonti e Bibl.:
Arch. di Stato di Padova, Monastero
della B. Elena,
busta 220; Convento di S.Antonio, busta 174, cc. 20-22; busta
186, c. 3; Corona, buste 102-111; Clero regolare, busta 1416; Demanio, busta 10; Atti del Consiglio, busta 30; Notarile, busta 1340, c. 237; Padova,
Arch. provinciale, Convento del
Santo, busta VII, n. 519; B. Elena, n 1 (pergamena dugentesca con
l'epitafio della E.); n. 2 (copia dell'epitafio, datata 1596); Ibid., Arch.
della Curia vescovile, Sala D, sez. 2, c. 1; Ibid., Biblioteca civica, Mss.
605: Patavina Canonizationis B.Helenae
Enselminae …; Ibid., Biblioteca del Seminario, Mss.
56: Z. A. De Favafuschis,Chronica
Patavina, f. 9; Quaedam
scitu digno de civitate Paduae, in L. A. Muratori, Rer. Ital.Script., VIII, Mediolani 1726, col.
736; Sicconis Polentonis Vita et
visiones b. Helenae,
in Acta sanctorum… Novembris, II, 1,
Bruxellis 1894, coll. 512-517; Bartholomaei de Pisis De conformitate vitae beati Francisci ad
vitam Domini Iesu, in Analecta
franciscana …, IV, Ad
Claras Aquas 1906, pp. 358 s.; Radulphi Tussignani Historiarum Seraphicae Religionis libri,
I, Venetiis 1586, p. 140; A. Portenari, Della
felicità di Padova, Padova 1623, p. 429; C. Dancluzzi Messi, B. E. E. Un angelo
sulle orme del Santo di Padova, Padova 1954; I. Daniele, E.E. di Padova, beata, in Bibliotheca sanctorum, IV, s.l. né d.
(ma Roma 1964), coll. 1247 s.; P. Marangon, La famiglia
della beata E. E. nel sec. XIII, in Il Santo, XIV (1974), pp. 231-240.