lundi 4 novembre 2019

Bienheureuse ELENA ENSELMINI, vierge moniale clarisse

Beata elena enselmini 2

Bienheureuse Hélène Enselmini

Vierge clarisse ( 1251)

Clarisse à Arcella, près de Padoue en Italie, elle reçut le voile de saint François. Elle supporta avec une patience admirable de multiples douleurs. Vers la fin de sa vie, elle devint aveugle, sourde et muette.

Béatifiée en 1695.

"Antoine de Padoue rencontra la jeune religieuse lorsqu'il était Provincial de l'Italie du Nord. La tradition rapporte qu'entre ces deux grandes âmes s'est établi un lien de sainte amitié faite d'assistance mutuelle."

source: site des 
Frères mineurs capucins, vice-province du Proche-Orient.

À Padoue en Vénétie, l'an 1251, la bienheureuse Hélène Enselmini, vierge clarisse.
Martyrologe romain


Née dans une famille noble de Padoue en 1208, Hélène entra fort jeune dans le petit Monastère des Clarisses de l'Arcella fondé aux portes de la ville, par Saint François lui-mêrne en 1220, si l'on en croit la tradition.

Antoine de Padoue rencontra la jeune Religieuse lorsqu'il était Provincial de l'Italie du nord. La tradition rapporte qu'entre ces deux grandes âmes s'est établi un lien de sainte amitié faite d'assistance mutuelle:

Antoine aidait Hélène à supporter avec une patience héroïque ses nombreuses infirmités; Hélène offrait en échange les rnérites de ses souffrances pour le Ministère de son directeur. Elle est morte à Padoue le 4 Novembre 1242, au terme d'une Vie Mystique d'autant plus intense que ses infirmités la séparaient progressivement des créatures.

Innocent XII confirma son culte.




Blessed Helen Enselmini


Also known as
  • Elena Enselmini
Profile

Became a Poor Clare nun at age 12, receiving the veil from Saint Francis of Assisi himself at Arcella. Had the gift of inedia, living solely off the Eucharist for months. Her health suffered in adulthood, and she was both blind and mute by her death.

Born
  • 1242 of natural causes


Blessed Helen Enselmini


(Beata Elena Enselmini)


Feast Day – November 3
Helen, a member of the ancient noble family of the Enselmini, was born in Padua in 1208. Early in life she entertained an ardent desire to become a bride of Christ; and so, when St Francis established a convent of Poor Clares in her native city in 1220, she received the habit of St Clare from the hands of St Francis himself. St Anthony of Padua was her director, and under his guidance the young novice advanced rapidly in religious perfection.

In order to purify His spouse thoroughly, Our Lord began to send her grievous and painful maladies when she was but eighteen years of age; she became lame, blind, and dumb, and remained thus until her death. She bore this trial with heroic constancy and perfect surrender to her suffering and crucified Savior. Blessed Helen was afflicted with sickness that the power and grace of God might be made manifest in her, and her virtue might be proved in patience.

But as a recompense, Blessed Helen Enselmini was also strengthened and enlightened by abundant heavenly consolation. In spirit she saw the glory of the blessed in heaven, especially that of our holy Father St Francis and all the religious who were faithful to their vocation. God permitted her also to behold the sufferings of the souls in purgatory, in order to encourage her to pray the more zealously for them and to bear her own sufferings with still greater patience.

Finally, on November 4, 1242, God called Blessed Helen Enselmini to her eternal home. She was thirty-four years old, and had spent twenty-two years in the convent. Her body has remained incorrupt to the present day, and numerous miracles have been wrought at her intercession. Pope Innocent XII approved the public veneration given to her since her death.

Prayer of the Church:

O God, Thou strength of those who are in health and remedy of the sick, who didst adorn Thy virgin, Blessed Helen, with marvelous strength in illness and with innocence of life, grant us at her intercession patiently to endure sickness and vicissitudes, to amend our lives and attain to everlasting happiness in heaven. Through Christ Our Lord, Amen.

From: The Franciscan Book of Saints, Marion A. Habig, OFM


Beata Elena Enselmini Monaca


Padova, 1208 – ivi 1242

Della nobile famiglia Enselmini, ancor giovinetta si consacrò allo Sposo celeste nel piccolo e solitario monastero suburbano dell’Arcella (Ara Coeli), fondato da san Francesco per le Clarisse, in un suo passaggio per quella città. Quando sant’Antonio giunse a Padova come Ministro Provinciale conobbe Elena, la quale, da quel momento, godette della direzione e dei conforti spirituali che le venivano rivolti dall’ardente predicatore e superiore. Tra le due grandi anime si strinse subito un nodo di santa amicizia spirituale, fatta di scambievoli aiuti: Antonio dava alla eroica paziente l’aiuto del suo consiglio; Elena dava in cambio, nelle sue infermità corporali, al suo Padre spirituale il merito delle sue sofferenze, divenendo anche lei missionaria di desiderio, di amore.

Martirologio Romano: A Padova, beata Elena Enselmini, vergine dell’Ordine delle Clarisse, che sopportò con mirabile pazienza infinite sofferenze e perfino la perdita della parola. 

Nel 1220, San Francesco passò da Padova. Pose la prima pietra del convento dell'Arcella, dove sarebbe esplosa, pochi anni dopo, la santità di Antonio da Padova, che vi mori nel 1231.

Passando da Padova, sembra che San Francesco avesse compiuto anche un altro gesto: quello di dare l'abito di Santa Chiara a una bambina di appena tredici anni, oggi onorata come Beata.


Si chiamava Elena Enselmini, ed era figlia di una nobile famiglia padovana. Bambina, era stata educata ai più alti principi religiosi e ai più puri ideali di virtù. Quando la fanciulla desiderò, per sé e per sempre, la vita religiosa, la famiglia non soltanto non si oppose, ma si rallegrò di tale decisione.

Elena si sottrasse così ai genitori secondo la carne, per acquistare un nuovo padre secondo lo spirito, Francesco, e una nuova madre, Chiara.

Nel convento delle Clarisse, Elena Enselmini, dopo aver conosciuto il poverello d'Assisi, conobbe anche il taumaturgo di Padova, Sant'Antonio. Fu lui, sembra, a dare formazione teologica e preparazione morale alla fanciulla che, per età e per sesso, aveva ricevuto, dalla famiglia, soltanto una sommaria educazione intellettuale.

Per sei anni, la vita della Clarissa fu un'esperienza luminosa e gioiosa, nonostante gli apparenti rigori materiali, le privazioni e le durezze. Ma sui vent'anni, sopraggiunsero gli anni delle tenebre. Tenebre anche in senso fisico, con malattie e infermità, ma soprattutto tenebre dell'anima, provata dal dubbio e dall'aridità spirituale.

Veniva tentata a credere che tutto era inutile; che la salvezza eterna le sarebbe stata per sempre negata. Ma anche nei momenti di maggior disorientamento intimi, Elena Enselmini si attaccò alle certezze della fede e all'obbedienza ai superiori. Con la tenacia di una volontà ben temprata, riuscì a riconquistare la pace, e la certezza che la Provvidenza guidava il suo destino per il meglio.

Restavano le infermità del corpo, che non potevano spaventare però la donna forte. Impedita nella parola, comunicava con cenni, corrispondenti alle lettere dell'alfabeto. Con questo linguaggio da sordomuti dettò anche il resoconto di numerose visioni dalle quali fu favorita.

In una di tali visioni contemplò, nella gloria dei Paradiso, gran numero di anime di religiosi vissuti in comunità. Ciò meravigliò la Clarissa di Padova, che riteneva, da buona donna del Medioevo, che maggior titolo di gloria fosse costituito dai rigori e dalle austerità degli eremiti e dei penitenti, così frequenti allora. Gli fu rivelato che c'era invece qualcosa di ancor più prezioso: l'obbedienza, quotidiana ginnastica spirituale di chi viva in comunità. Nell'elogio di tale obbedienza, c'era già l'annunzio della certa gloria della Beata di Padova, morta a soli ventiquattro anni, verso il 1231, o secondo altri nel 1242.


Fonte:
Archivio Parrocchia


ENSELMINI, Elena. - Figlia di Xex (e non di Africano, come si ripete nella letteratura storica), nacque a Padova nel 1207, da nobile famiglia.
Ramo della casata dei Ruffi discendente a sua volta da quella dei Trarisguardi, una delle più illustri della città, gli Enselmini erano signori di Caselle de' Ruffi (probabilmente una signoria di castello), ma all'epoca in cui visse la E. non erano più sorretti da patrimonialità e potenza economica confacenti al loro rango. Certo Xex non doveva disporre di risorse cospicue, se il De Favafuschis lo definisce "non valde dives".
Le fonti non riferiscono l'anno di nascita della Enselmini. Esso si ricava tuttavia, tenendo conto del fatto che "Diem obiit Helena beata … aetatis vero suae anno XXIIII" (Sicconis Polentonis Vita et visiones…, col. 517), per calcolo retrogrado dalla data di morte - "Anno Domini MCCXXXI, die IIII mensis Novembris" - contenuta nel breve elogio funebre scritto sulla pergamena, giunta sino a noi, che venne inchiodata sulla bara della E. qualche decennio dopo la sua scomparsa.
Nulla sappiamo, per il silenzio mantenuto in proposito dalle fonti, circa l'educazione ricevuta dalla E. all'interno della sua famiglia, che era numerosa; nulla sappiamo della sua formazione spirituale. Si può tuttavia ritenere che ella rimanesse precocemente affascinata dai contenuti della prima predicazione francescana in Padova e dagli ideali e dall'esempio di semplicità, di umiltà, di disappropriazione totale offerto da Francesco da Assisi. Quando nel 1220 Francesco, di ritorno dall'Oriente, si fermò a Padova e fondò e costrui all'Arcella un monastero di clarisse con annesso un piccolo convento di frati - "Monasterium de Cella fuit fundatum et constructum per B. Franciscum" (Quaedam scitu digno de civitate Paduae, col. 736) su un terreno donatogli dal capitolo della cattedrale, la E., che era appena tredicenne, chiese di esservi accolta. A probabile che - come vuole la tradizione e come un affresco dello Squarcione nel chiostro di S. Francesco di Padova rappresentava - la E. abbia pronunciato la sua professione religiosa e che dalle sue mani abbia ricevuto il saio.
Nel monastero dell'Arcella - quarta fondazione di "povere dame", che si aggiungeva a quelle di Assisi, di Firenze e di Faenza - la E. rimase per circa dieci anni, facendo vita di durissima ascesi, come voleva la regola delle clarisse del 1219: celebrazione della liturgia delle ore, preghiera, digiuno, lavoro manuale, povertà estrema, silenzio. Benché fosse fragile di costituzione e perciò cadesse di frequente ammalata, sopportò sempre con serenità ogni sofferenza, cercando di vincere la debolezza del suo fisico con la fede, la volontà e l'impegno personale. Come testimonia fra' Bartolomeo da Pisa, godé del privilegio di rivelazioni divine: "Huic Deus multa revelavit, quae ipsa sororibus enarravit, et ea scripta, Paduae duni essem lector, vidi".
All'inizio del 1230 fu colpita dalla inesorabile malattia che le impedi per quindici mesi di lasciare il pagliericcio e che la condusse alla morte.
Il Polenton non precisa di quale malattia si sia trattato, si limita a riferirne i sintomi forse basandosi sui ricordi delle consorelle. 2 da escludere ad ogni modo, per il decorso e le manifestazioni successive del morbo, che si sia trattato di pleurite, come è stato ipotizzato. La malattia si manifestò con febbri violente, che spesso impedivano alla E. di prendere sonno la notte, e che la fiaccarono, indebolendola allo stremo. Poi sopravvenne "quaedam ac duplex tertiana febris", accompagnata da convulsioni. Gli ultimi tre mesi di passione: perduti l'uso della vista e della parola; le mascelle, le dita dei piedi e quelle delle mani dolorosamente contratte, la E. giacque, senza poter assumere né cibo né bevande, ma perfettamente presente e consapevole. Seguiva infatti la celebrazione dell'anno liturgico ascoltando la lettura del Lezionario, dell'Ufficiodelle ore e delle vite dei santi; comunicava con le consorelle, faticosamente e macchinosamente, per mezzo di gesti.
Durante la malattia - cosi vuole la pia tradizione, ma la circostanza non è attestata da alcuna fonte contemporanea - la E. avrebbe avuto la guida e il sostegno spirituale e morale di Antonio da Padova, il quale, già ministro provinciale di Emilia e Lombardia dell'Ordine francescano dal 1227 al 1230, viveva allora a Padova, dove infatti mori, il 13 giugno 1231, proprio all'Arcella. Motivo di consolazione per la speciale predilezione riservatale, ma anche di sofferta partecipazione alla Passione di Cristo furono le frequenti visioni, di cui la E. durante la lunga malattia riferiva - per dovere di obbedienza impostole dalla badessa - alle consorelle attraverso il consueto e faticoso linguaggio gestuale.
La E. mori nel suo monastero, all'età di ventiquattro anni, il 4 nov. 1231, come attesta il già ricordato elogio funebre su pergamena, che fu posto sulla bara della beata. Erra dunque il Polenton, che nella sua biografia scrisse: "Diem obiit Helena beata anno Nativitatis Christi MCCXXX".
Il breve elogio funebre fu redatto certamente dopo la canonizzazione di s. Chiara (1256), ma non eccessivamente più tardi: il monastero in cui visse e mori la E. vi viene infatti indicato col termine di "locus", secondo l'uso durato per tutto il Duecento, e definito "Sancte Marie de Cella Padue", e non "de Cella veteri", come fu invece a partire dal 1325, anno in cui venne fondato a Padova un secondo monastero di clarisse, poi noto come "de Cella nova".
La fama della pia vita della E., la voce che presso il suo sepolcro avvenissero miracoli e, soprattutto, il fatto straordinario che il corpo della beata fosse rimasto incorrotto, giovanile e non rigido "cum sit longo tempore quod mortua est; et ita sibi crescunt capilli et ungues, quod maius est, ac si ipsa viveret" (fra' Bartolomeo da Pisa), si trasformarono subito in venerazione, che fece accorrere folle di fedeli da Padova e dai dintorni. Considerata santa dall'Ordine francescano, i cui agiografi l'associarono per tempo al beato Francesco, a s. Chiara e a s. Antonio da Padova, la E. venne ritratta come compatrona della città, a metà del sec. XIV, da Giusto de' Menabuoi nel polittico del battistero del duomo di Padova. Il monastero, in cui ella era vissuta e nel quale erano conservate le sue spoglie, monastero già dedicato, come la chiesa annessa, alla Madonna, fini con l'assumere il nome della E., come si trae da una bolla del 27 maggio 1443, con cui il papa Eugenio IV concedeva un'indulgenza di cento giorni a chi avesse contribuito alla ricostruzione del monastero di "S. Elena fuori le mura di Padova". Tuttavia il riconoscimento ufficiale della Chiesa di Roma giunse molto più tardi. La causa di beatificazione, richiesta dall'Ordine dei minori, dall'ambasciatore della Repubblica di S. Marco, dal capitolo della cattedrale e dal clero di Padova, dalle autorità cittadine e dal Collegio dei teologi, fu promossa ed inoltrata dal vescovo di Padova, il cardinal Gregorio Barbarigo, nel 1693. Dopo l'escussione delle prove testimoniali e documentarie sul culto immemorabile e sui numerosi miracoli, e l'esame del corpo da una commissione medica, la E. fu proclamata beata da Innocenzo XII nel 1695. Il suo corpo fu traslato in un'urna di cristallo. La festa della beata, nell'Ordine francescano e in tutta la diocesi di Padova, si celebra il 6 novembre, giorno della sua morte.
Le spoglie della E. seguirono le vicende storiche della comunità dell'Arcella. Dal 1957 riposano definitivamente nel santuario dell'Arcella.
Gli scritti, che conservavano la memoria delle visioni della E. che fra' Bartolomeo da Pisa attesta di aver veduto quand'era a Padova, non sono pervenuti sino a noi, forse andati anch'essi perduti come altro materiale relativo alla E., nell'incendio che nell'inverno 1442-43 distrusse l'archivio del monastero dell'Arcella. Nessun accenno alla E. è contenuto nelle fonti coeve o di poco posteriori sino a noi pervenute. Il primo scrittore che ne serbi memoria è fra' Bartolomeo da Pisa, il quale nel suo De conformitate, scritto tra il 1385 e il 1390, ha dedicato alla E. un sobrio medaglione, preoccupandosi meno di delinearne la biografia (non ricorda, fra l'altro, né la data di nascita, né quella di morte) che di porne in risalto la santità della vita ed i miracoli. Quanto sappiamo della personalità e delle vicende della E. ci viene, senza la possibilità di altri riscontri, dalla biografia composta nel 1437 dall'umanista padovano Sicco Polenton.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Padova, Monastero della B. Elena, busta 220; Convento di S.Antonio, busta 174, cc. 20-22; busta 186, c. 3; Corona, buste 102-111; Clero regolare, busta 1416; Demanio, busta 10; Atti del Consiglio, busta 30; Notarile, busta 1340, c. 237; Padova, Arch. provinciale, Convento del Santo, busta VII, n. 519; B. Elena, n 1 (pergamena dugentesca con l'epitafio della E.); n. 2 (copia dell'epitafio, datata 1596); Ibid., Arch. della Curia vescovile, Sala D, sez. 2, c. 1; Ibid., Biblioteca civica, Mss. 605: Patavina Canonizationis B.Helenae Enselminae …; Ibid., Biblioteca del Seminario, Mss. 56: Z. A. De Favafuschis,Chronica Patavina, f. 9; Quaedam scitu digno de civitate Paduae, in L. A. Muratori, Rer. Ital.Script., VIII, Mediolani 1726, col. 736; Sicconis Polentonis Vita et visiones b. Helenae, in Acta sanctorum Novembris, II, 1, Bruxellis 1894, coll. 512-517; Bartholomaei de Pisis De conformitate vitae beati Francisci ad vitam Domini Iesu, in Analecta franciscana …, IV, Ad Claras Aquas 1906, pp. 358 s.; Radulphi Tussignani Historiarum Seraphicae Religionis libri, I, Venetiis 1586, p. 140; A. Portenari, Della felicità di Padova, Padova 1623, p. 429; C. Dancluzzi Messi, B. E. E. Un angelo sulle orme del Santo di Padova, Padova 1954; I. Daniele, E.E. di Padova, beata, in Bibliotheca sanctorum, IV, s.l. né d. (ma Roma 1964), coll. 1247 s.; P. Marangon, La famiglia della beata E. E. nel sec. XIII, in Il Santo, XIV (1974), pp. 231-240.