Au-delà de l’histoire
Demandons-nous maintenant
de quel genre a été la rencontre avec le Seigneur ressuscité. Les distinctions
suivantes sont importantes :
Jésus n’est pas quelqu’un
qui est revenu à la vie biologique ordinaire et qui par la suite, selon les
lois de la biologie, devait un jour mourir de nouveau.
Jésus n’est pas un
fantôme (« un esprit »). Cela veut dire qu’il n’est pas
quelqu’un qui, en réalité, appartient au monde des morts.
Les rencontres avec le
Ressuscité sont pourtant quelque chose qui diffère aussi des expériences
mystiques, dans lesquelles l’esprit humain est un moment soulevé au-dessus de
lui-même et où il perçoit le monde du divin et de l’éternel, pour revenir
ensuite à l’horizon normal de son existence. L’expérience mystique est un
dépassement momentané du domaine de l’âme et de ses facultés perceptives. Mais
ce n’est pas une rencontre avec une personne qui, de l’extérieur, s’approche de
moi. Paul a très clairement fait la distinction entre ses expériences mystiques
– comme par exemple son élévation jusqu’au troisième ciel décrite en 2
Corinthiens 12, 1-4 – et sa rencontre avec le Ressuscité sur le chemin de
Damas, qui était un événement historique avec une personne vivante.
À partir de tous ces
renseignements bibliques, que pouvons-nous véritablement dire maintenant sur la
nature particulière de la résurrection du Christ ?
C’est un événement qui
fait partie de l’histoire et qui, pourtant, fait éclater le domaine de
l’histoire et va au-delà de celle-ci.
Benoît XVI
Benoît XVI a été pape de
2005 à 2013. / Jésus de Nazareth, De l’entrée à Jérusalem à la Résurrection,
2011, Monaco, Le Rocher, p. 307-308.
SOURCE : https://fr.aleteia.org/daily-prayer/jeudi-21-avril/meditation-de-ce-jour-1/
Anastasis, vers 350, représentation symbolique de
la résurrection du Christ.
Panneau
d'un sarcophage romain sans couvercle du type de la Passion, vers 350 av. J.-C.
Provenance : fouilles de la duchesse de Chablais à Tor Marancia,
1817-1821.
Museo
Pio Christiano, Vatican Museums
Pasqua di Risurrezione
del Signore
1
aprile (celebrazione mobile)
La Pasqua è il culmine
della Settimana Santa, è la più grande solennità per il mondo cristiano, e
prosegue poi con l’Ottava di Pasqua e con il Tempo liturgico di Pasqua che dura
50 giorni, inglobando la festività dell’Ascensione, fino all’altra solennità
della Pentecoste.
La Risurrezione è la
dimostrazione massima della divinità di Gesù, non uno dei numerosi miracoli
fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che
credettero in Lui; questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il
valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla
speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di
Cristo.
Martirologio
Romano: In questo giorno, che il Signore ha fatto, solennità delle
solennità e nostra Pasqua: Risurrezione del nostro Salvatore Gesù Cristo
secondo la carne.
Per il cristianesimo, la
Pasqua è la solennità delle solennità. La festa delle feste per il mondo
cristiano. La festa più grande per il cristiano. La Pasqua è il giorno della
gioia, del sollievo, del gaudio che sopraggiunge, dopo una fase di dolore e di
mestizia. È la dimostrazione reale della divinità di Cristo. È una forza, una
energia d’amore immessa, come lievito nella vita dell’uomo o come energia
incredibile, che si espande a livelli concentrici fino all’infinito cristico,
alimentando e sorreggendo la speranza che anche l’uomo risorgerà, perché le
membra seguono la sorte del capo, dal momento che hanno la stessa natura umana
(Eb 2, 11). La Pasqua è la festa solenne per eccellenza; è l’alleluia speciale
dell’uomo; è il grido di gioia dell’umanità intera. Il motivo: è il “giorno di Cristo
Signore”, Creatore Redentore e Glorificatore di tutto ciò che esiste ed è
salvabile; è il giorno della Gloria di Cristo, vero Dio e vero Uomo. È
contemporaneamente la Pasqua del Signore e anche “nostra Pasqua” presente e
futura. Mistero dei misteri!
SIGNIFICATO DEL TERMINE
Il termine greco pascha è
la traslazione dell’aramaico phaskha, che corrisponde all’ebraico pesakh.
Incerti sia l’etimologia sia il significato.
Nel mondo giudaico, la
parola pesakh viene usata con diversi significati. Indica: la festa di pasqua
(Es 12,11), che si celebrava tra il 14 e 15 Nisan (Ez 12, 11); l’agnello che
veniva immolato in occasione della festa (Es 12, 5. 21); la settimana
pasqua-azzimi, dalla sera del 14 Nisan al 21 Nisan, con l’annessa festa ottavaria
dei Mazzot, ossia degli azzimi, unificati nel periodo dell’esilio (Lv 23 6-8).
L’origine della festa di pasqua è legata alla vita nomade, in corrispondenza
del cambio annuale del pascolo, come protezione contro i demoni. In seguito, è
stata messa in relazione con l’evento dell’esodo dall’Egitto (Es 12, 21-23);
registrando nel tempo diverse modifiche, specialmente quella della riforma di
Giosia (621 a.C.), che, da festa delle singole famiglie, venne limitata a
Gerusalemme e legata al culto del tempio (Dt 16, 1-6); assumendo, infine, il
carattere di pellegrinaggio, come le altre feste (pentecoste e dei
tabernacoli).
All’epoca del NT, era la
festa più importante dell’anno ebraico. Richiamava a Gerusalemme moltissimi
pellegrini di tutto il mondo giudaico (Lc 2, 41; Gv 11, 55). Il banchetto
pasquale veniva consumato nelle case private a gruppetti di almeno 10 persone,
e cominciava la sera dopo il tramonto del 15 Nisan. La rituale preparazione
dell’uccisione degli agnelli avveniva il pomeriggio del 14 Nisan, nel cortile
del tempio, ed eseguita dai rappresentanti dei singoli gruppi partecipanti; ai
sacerdoti spettava solo aspergere col sangue degli agnelli l’altare dei
sacrifici. La festa commemorava la liberazione dalla schiavitù d’Egitto ed
esprimeva la gioia per la libertà conquistata, nella prospettiva della
redenzione futura da parte del Messia.
Tutti e quattro i vangeli
sono d’accordo nel collocare gli ultimi episodi di Gesù - l’ultima cena,
l’arresto, l’interrogatorio e la condanna – si sono svolti nel periodo della
pasqua (Mc 14; Mt 26-27; Lc 22-23; Gv 18-19). Alcune divergenze: per i sinottici,
l’ultima cena fu un banchetto pasquale, di conseguenza, Gesù sarebbe stato
preso processato e condannato nella notte di pasqua e crocifisso il giorno
seguente; per Giovanni, invece, gli avvenimenti della passione sono avvenuti il
giorno prima, in modo da far coincidere la morte di Gesù con l’uccisione degli
agnelli pasquali nel pomeriggio del 14 Nisan. Difficile, la soluzione.
VALORE DELLA PASQUA
Per comprendere il valore
della pasqua non basta conoscere la storia, ma bisogna entrare nella liturgia
che celebra il mistero pasquale. Certo, il mistero pasquale è il cuore del
cristianesimo, il nucleo dell’annuncio apostolico, la sintesi del mistero
globale di Cristo e di tutta la storia sacra.
Concetto non solo
espresso esplicitamente nella Costituzione Liturgica del Vaticano II, ma
costituisce addirittura l’intera ossatura del documento riformatore. Difatti,
il primo principio generale della natura della Liturgia recita: “Dio ‘vuole che
tutti gli uomini si salvino e arrivino alla conoscenza della verità’ (1Tim 2,
4) [per questo], ‘nella pienezza del tempo, mandò il Figlio suo, il Verbo
Incarnato’ (Gal 4, 4), [come] ‘Mediatore con gli uomini’ (1Tim 2, 5), perché la
sua umanità fosse strumento di salvezza […]. Quest’opera della redenzione umana
e della perfetta glorificazione di Dio […] è stata compiuta da Cristo Signore,
specialmente per mezzo del mistero pasquale della sua passione, della sua
risurrezione dai morti e della sua gloriosa ascensione” (SC n. 5).
E parafrasando l’art. 10
della stessa Costituzione Sacrosanctum Concilium, si evince che la Liturgia
attualizza il mistero pasquale e costituisce il culmen e la fons dell’intera
opera di glorificazione di Dio e di redenzione degli uomini, come già scriveva
il Cantore dell’Immacolata circa l’Eucaristia chiamandola fundamentum et forma,
ossia il fondamento da cui promana tutta la vita della Chiesa e anche la
perfezione verso cui tende la stessa vita ecclesiale. “Particolarmente
dall’Eucaristia deriva all’uomo, come da sorgente, la grazia, e si realizza la
massima efficacia della santificazione degli uomini e della glorificazione di
Dio in Cristo” (SC n. 10).
Poiché la Costituzione
Liturgica pone al centro di tutta la sua impostazione il mistero pasquale,
sembra utile per la sua comprensione distinguere non solo i tre aspetti
principali e più importanti - fatto mistero e centralità - ma anche il rito,
che ne attualizza gli effetti di grazia.
FATTO PASQUALE
Il fatto pasquale indica
l’evento storico e irripetibile della morte e risurrezione di Cristo. In questo
modo, secondo anche l’interpretazione della Costituzione Liturgica, la Pasqua
non è altro che la festa della morte e risurrezione, mentre l’ascensione chiude
il ciclo festivo della glorificazione di Cristo. Liturgicamente, invece, i due
avvenimenti della festa vengono celebrati distintamente. Molto importante,
perciò, è considerare morte e risurrezione sempre insieme come due aspetti
inseparabili della medesima realtà, perché la forza dell’evento storico è meno
nella materialità di ciascuna che nel loro intimo legame. Il fatto pasquale,
infatti, è il passaggio dalla morte alla vita per Cristo, e dalla morte fisica
alla vita dello spirito per i cristiani. I due eventi, pur visti uno alla luce
dell’altro, tuttavia quello della risurrezione ha il primato su quello della
morte. Questa, la Pasqua di Cristo! E la gloria di Dio!
MISTERO PASQUALE
Nella Pasqua bisogna
considerare oltre al “fatto”, anche il mistero pasquale, ossia l’effetto
salvifico della storia della salvezza, che Cristo, liberamente morendo e
risorgendo, compie a vantaggio degli uomini, suoi simili, creati a sua
immagine. Mistero che Paolo utilizza la quadruplice aggettivazione di
“larghezza lunghezza altezza e profondità” (Ef 3, 18), per esprimere la
globalità del mistero “dell’amore di Cristo” (Ef 3, 19). Del mistero pasquale,
la Chiesa, che è la continuazione storica del Cristo, facilita la comprensione
della Pasqua descrivendola con tre definizioni: come liberazione, come Agnello
pasquale e come glorificazione del Cristo.
Come liberazione
È facile il parallelo tra
la Pasqua di liberazione del Cristo Messia con quella profetizzata da Mosè
nell’Esodo: come Jahvé liberò Israele dalla schiavitù d’Egitto, così Cristo
libera il genere umano dalla schiavitù spirituale del peccato e dalla morte. La
liberazione esodiaca è di natura politico-sociale, perché libera un popolo
senza diritti da un altro popolo che l’opprimeva; quella cristica, invece,
spirituale universale esistenziale e definitiva, perché infrange per sempre le
catene del potere di Satana, primo nemico di Cristo, che ha rifiutato nella
preistoria il disegno d’amore di Dio. La liberazione cruenta di Cristo instaura
con l’uomo un nuovo patto, che, fondato sul suo sangue, lo riporta
all’originale stato di vita, di luce e di gloria. E, così, in questo modo, il
nuovo popolo è “acquistato a lode della gloria di Dio” (Ef 1, 14) col sangue
versato da Cristo o dell’“Agnello… senza macchia… e predestinato prima della
fondazione del mondo” (1Pt 1, 19-20).
Come Agnello pasquale
Anche per l’immagine
dell’“agnello”, l’esemplarità della Pasqua ebraica è d’obbligo: mangiare la pasqua
equivale a mangiare l’agnello pasquale. Specialmente in Giovanni, Cristo
pendeva dalla croce come un Agnello immolato per i peccati dell’uomo: “Ecco
l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo” (Gv 1, 29). Anche
Paolo, in modo abbastanza plastico, esprime il concetto della vita divina come
un’immensa luce che inonda il mondo: “Cristo ha vinto la morte e ha fatto
risplendere la vita e l'immortalità” (2Tm 1, 10)
Cristo glorificato e
glorificatore
L’affermazione della
glorificazione di Cristo viene descritta da Paolo nel famoso testo ai
Filippesi: “Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, […] spogliò sé stesso,
[e] apparso in forma umana, umiliò sé stesso facendosi obbediente fino alla
morte e alla morte di croce. Per questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si
pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù
Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre” (Ef 2, 5-11).
Nella seconda parte,
l’inno presenta Gesù come l'uomo che ha realizzato il progetto originario di
Dio e con la sua obbedienza si è fatto solidale con l’intera umanità; e per
questo il Padre lo ha esaltato al di là della morte e lo ha costituito Signore
del mondo, realizzando il suo piano di salvezza, per tutti, nella storia, cioè
comunicare la vita divina all’uomo. Pensiero che trova, sempre in Paolo,
conferma che la risurrezione di Cristo è causa di salvezza per l’uomo: “Se
confesserai con la bocca che Gesù è il Signore e crederai con il cuore che Dio
l’ha risuscitato dai morti, sarai salvo” (Rm 10, 9).
Questo significato della
glorificazione di Cristo, espresso da Paolo e da altri testi, viene
magistralmente sintetizzato nell’Istruzione all’applicazione dell’ultima
riforma liturgica, che orienta il rinnovamento meno sulle riforme esteriori che
sul mistero pasquale. Difatti, nel preambolo alla stessa Istruzione Inter
Oecumenici, è precisato che la riforma dev’essere “incentrata sulla liturgia,
che tenda a far vivere il mistero pasquale, nel quale il Figlio di Dio,
incarnato e reso obbediente fino alla morte di croce, è talmente esaltato nella
risurrezione e nell’ascensione, da poter comunicare la sua vita divina al
mondo. Attraverso questa vita coloro che sono morti al peccato e conformati a
Cristo ‘non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto e risuscitato
per essi’“ (Inter Oecumenici, 26 settembre 1964, n. 6, che cita 2Cor 5, 15).
Ecco l’intento della
Liturgia: esprimere nella vita il mistero pasquale. La Pasqua, allora,
dev’essere vissuta come una riconoscente celebrazione dell’unica opera
salvifica di Cristo, il quale dev’essere esaltare con spirito di fede e di
amore, con la partecipazione attiva alla festa che sintetizza tutta la storia
della salvezza. Dalla Pasqua di Cristo alla Pasqua personale: “Se dunque siete
risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla
destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi
infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio! E
quando Cristo, vostra vita, si manifesterà, allora anche voi sarete manifestati
con lui nella gloria (Col 3, 1-4).
Centralità del mistero
pasquale
Terzo aspetto della
Pasqua, messo in luce dalla riforma liturgica, è la centralità mistero
pasquale. Difatti, il mistero pasquale, oltre a esprimere la sintesi
dell’intera storia sacra, passato presente e futuro, ma è il centro attorno al
quale si fonda, si costruisce e si attualizza tutto il disegno divino, rivelato
specialmente da Paolo (Ef 1, 3ss). Il Cantore dell’Immacolata avrebbe detto
fundamentum et forma, oppure con la riforma liturgica culmen et fons.
L’idea centrale è una
sola: Cristo. In lui si contempla, a cerchi concentrici, ogni ramificazione
storica dell’essere, dal più piccolo e insignificante al più grande in dignità
e importanza, dal mondo fisico al mondo celeste, dall’ordine naturale
all’ordine soprannaturale, a tutto ciò che ha avuto inizio.
In questo significato di
centralità, la Pasqua o mistero pasquale si espande dal centro-Cristo
all’universo-mondo attraverso la fase antropologica. Così, dalla Pasqua di
Cristo, che è unica e irrepetibile, il suo effetto di grazia o mistero pasquale
si estende nella storia con la Pasqua della Chiesa, come si accennerà sotto,
fino alla Pasqua escatologica ed eterna, che si compirà alla venuta del
Signore. Veramente allora la Pasqua di Cristo è sempre contemporanea, secondo
la bella interpretazione della lettera agli Ebrei: “Cristo, ieri oggi e sempre”
(Eb 13, 8).
Questa, l’origine della
teoria del cristocentrismo assoluto universale cosmico ontologico, proposta dal
“rappresentante più qualificato della scuola francescana” (Paolo VI, Alma
parens, 14 luglio 1966, n. 9).
RITO PASQUALE
Tra le caratteristiche
principali della Pasqua, oltre al fatto e al mistero, è da mettere in luce
soprattutto il rito pasquale, che ricorda il fatto come memoriale e attualizza
il mistero come grazia. Di norma, il “rito” è un segno, mentre il “fatto” è la
cosa significata. Giova ricordare: l’evento storico, in quanto personale, non
si può ripetere; l’evento di grazia o di salvezza, invece, in quanto effetto
del mistero unito a Cristo, che è sempre presente, si può rinnovare e
attualizzare. Il “rito”, infatti, è il segno che mette in contatto con il
“mistero”, sempre operante in virtù dell’eterno presente di Cristo, che è il
punctum temporis: il presente continuato!
Dall’insieme della
liturgia cristiana, che è un complesso di segni che significano e realizzano il
mistero pasquale della Chiesa, c’è un “rito” per eccellenza, che scandisce
l’intero ciclo della Liturgia, sia quello annuale che settimanale e quotidiano.
Questo rito pasquale è l’Eucaristia, che, come memoriale della Pasqua del
Signore, attualizza la grazia di salvezza compiuta nella morte e risurrezione
di Cristo.
Il nuovo rito
pasquale
Dopo l’ingresso in
Gerusalemme, Gesù, sapendo che era l’ultima Pasqua che celebrava con i suoi e,
che, durante la quale, doveva instaurare la nuova Pasqua agisce come si era
autodefinito, “signore del sabato” (Mt 12, 8) e, quindi, anche come signore
della Pasqua. Sapendo, pertanto, che il giorno di venerdì non poteva celebrare
la Pasqua, la anticipa al giovedì, con l’ultima cena.
Che clima doveva regnare
nel gruppo! Solo Gesù sa. Tutti gli altri non sanno! Stanno davanti a Gesù, ma
non con Gesù, perché non sanno! Gesù è veramente solo! E resta solo per tutto
la celebrazione della nuova Pasqua: dal Getsemani (Mc 14, 32-52; Mt 26, 36-56;
Lc 22, 39-54) al Golgota (Mc 15, 20-23; Mt 27, 31-34 Lc 23, 26-33; Gv 19,
17-18). E, infine, ancora solo parla col Padre, quando, nel vuoto assoluto
dell’ambiente, eleva la famosa “preghiera sacerdotale” (Gv 17, 1-23).
In questo ambiente e con
questi riferimenti, si comprende veramente come Gesù stia con i discepoli
nell’ultima cena o nella prima nuova Pasqua. È tutto solo e incompreso, nel
momento più solenne della storia: l’istituzione del nuovo rito della Pasqua, il
mysterium fidei, il mistero della fede cristiana che si proietta per tutti i
secoli venturi, fino al giorno in cui “la celebrerà nuova (con voi) nel regno
de Padre” (Mc 14, 25).
Prima di continuare
storicamente la sua missione verso la Croce, Gesù pronuncia le parole più
potenti della storia, come a significare che veramente egli è Signore di “ogni
potere in cielo e in terra” (Mt 28, 18): “Fate questo in memoria di me!” (Lc
22, 19; 1Cor 11, 25). Ogni volta, perciò, che il sacerdote celebra il nuovo
rito della Pasqua del Signore, l’Eucaristia, si attualizza, come memoriale,
l’evento della passione morte e risurrezione di Cristo.
Ecco il nuovo rito! Ecco
la nuova Pasqua! Ecco l’Eucaristia: l’eterna realtà della passione morte e
risurrezione di Cristo! Ecco l’Eucaristia: vero cibo e vera bevanda che fonda e
sostiene la fede dell’uomo, per nutrirlo spiritualmente. Difatti, egli stesso
dice: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna, e io lo
risusciterò nell’ultimo giorno…” (Gv 6, 54-56)
Tutto questo è mistero di
fede! Come il gesto onnipotente e amorevole della creazione! Intorno al quale
mistero, la teologia si sforza di comprenderlo, ma sembra che ogni sia vano. E,
forse, è un bene sia così, altrimenti non sarebbe più mistero. Per questo, la
riforma liturgica, con Paolo VI, ha inserito nel cuore della consacrazione il
“grido” di gioia e stupore insieme: Mysterium fidei! Mistero della fede!
Come “mistero”,
l’Eucaristia ricorda all’uomo che Cristo è a un tempo Uomo e Dio. La sua
decisione non è soltanto umana e temporale, ma anche eterna e divina; non è
dipendente solo dal tempo che passa, ma appartiene all’eternità che non passa.
La Pasqua del Signore, allora, è contemporaneamente realtà temporale ed eterna
realtà. Mistero che viene “rivelato” da Cristo stesso, di fronte al quale
l’uomo può solo credere o non credere, non c’è altra alternativa. Sembra
l’applicazione del loghion (o detto) di Gesù: “Chi non è con me, è contro di
me” (Mt 12, 30; Lc 11, 23).
E come nella creazione,
Cristo è completamente solo, così anche nell’istituzione dell’Eucaristia è
ugualmente solo, pur stando insieme al suo gruppetto di discepoli. È solo,
perché lui sa e gli altri non sanno quello che sta facendo. L’istituzione
dell’Eucaristia non è soltanto un momento di sacra celebrazione pasquale, ma è
per sempre, fino al compimento del regno di Dio, nel quale la festeggerà di
nuovo con i suoi nella nuova bellezza della creazione.
In questo mondo,
pertanto, il mistero della Pasqua del Signore, espresso efficacemente
nell’Eucaristia, attraverso il rito pasquale, sarà rivelato pienamente solo
alla fine dei tempi, quando tutto sarà compiuto. Ora bisogna tenerla unicamente
per fede e intuirla semplicemente con la speranza, in attesa della nuova
magnificenza della creazione di “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 22, 1).
La Pasqua della Chiesa
Nell’attesa della Pasqua
escatologica, come fine dell’intero mistero pasquale, c’è storicamente la
Pasqua della Chiesa, come continuazione della presenza della Pasqua di Cristo,
perché Cristo con l’Eucaristia si rende presente alla Chiesa e si offre a essa,
nella morte in cui è glorificato. È questa presenza eucaristica che realizza la
comunione al Cristo e con Cristo. Ora, la Chiesa in quanto continuazione del
mistero di Cristo, assicura e prolunga il mistero pasquale nella storia
mediante l’Eucaristia. Per questo, la Costituzione Liturgica afferma che
“nell’Eucaristia si fa presente la vittoria e il trionfo della morte di Cristo”
(SC n. 6).
L’Eucaristia, come culmen
et fons di tutta la vita liturgica, prolunga il mistero pasquale nella Chiesa
sia a livello quotidiano che settimanale e annuale. Così, si possono
considerare, tre tipi di celebrazione pasquale: la giornaliera, la domenicale e
l’annuale.
La Pasqua
quotidiana
Al di là dello sviluppo
storico, è importante segnalare che il comando di Gesù nell’ultima sua Pasqua -
“Fate questo in memoria di me” (Lc 19, 22) – viene quotidianamente applicato
con la celebrazione quotidiana della Pasqua o Eucaristia. Tutto la celebrazione
avviene in persona Christi, che rende presente nelle specie eucaristiche la
stessa Persona del Cristo, in tutto il suo complesso mistero non solo
attraverso il sacrificio della Croce coronato di gloria nei cieli, ma anche con
riferimento alla sua preistoria di predestinazione divina nel compiere la
volontà di Dio ad extra. In questo senso, la celebrazione dell’Eucaristia è un
memoriale del mistero dell’Incarnazione, “le cui origini sono dall’antichità,
dai giorni più remoti” (Mi 5, 1), cioè da sempre, e continua nella storia del
nuovo popolo di Dio fino alla consumazione dello stesso tempo per rientrare
nell’eternità sempre presente.
Con la celebrazione
dell’Eucaristia, (Pasqua quotidiana), la Chiesa ripresenta al Padre il
sacrificio della Croce e la gloriosa Risurrezione di Cristo. Questo memoriale
pasquale si è arricchito di una struttura, entro cui trovano spazio un
complesso di riti che hanno storicizzato e personalizzato sia i gesti che le
parole essenziali di Cristo. E poiché la celebrazione è in nome di Cristo che è
l’eterno presente, essa ha una triplice dimensione: commemorativa attuale ed
escatologica. L’Eucaristia è una celebrazione commemorativa, perché ricorda
tutta la storia sacra dell’antico popolo di Dio; attuale, perché il passato rivive
come memoriale nel presente del nuovo popolo di Dio; escatologica, perché è
anticipazione del più grande avvenimento del futuro, la venuta del Signore
nella sua gloria.
Nel suo insieme, la
celebrazione dell’Eucaristia abbraccia in unità tutti questi aspetti. La
molteplicità dei riti può essere paragonata a un insieme di tasselli di un
grande mosaico che riproduce il mistero di Cristo nella sua reale globalità.
Per questo l’Eucaristia è il mistero più grande della Chiesa, perché in essa si
concentra tutta la storia della salvezza, secondo il disegno divino. In breve,
l’Eucaristia quotidiana è la Pasqua del Signore, ma è anche il centro e il
cuore della Pasqua domenicale e annuale.
La Pasqua domenicale
Storicamente, la domenica
cristiana si afferma anche in rapporto al sabato ebraico. La stretta continuità
tra le due Alleanze non viene misconosciuta dalla Chiesa. Alcuni Padri
affermano che lo stesso Cristo ha trasferito la festa del sabato al giorno
della domenica; altri dicono che tra il sabato e la domenica non c’è alcuna
continuità: la cessazione del lavoro al sabato non aveva valore religioso,
come, invece, si esigeva nella commemorazione della resurrezione del Signore.
La denominazione
fondamentale della domenica come “giorno del Signore” è antico e ha avuto
sempre il riferimento al mistero di Cristo Signore, evocando in sé stessa i tre
aspetti principali: memoriale della resurrezione che si celebra nella fede;
attesa del ritorno del Signore che si vive nella speranza; e presenza attuale del
Signore nell’Assemblea che si partecipa nella carità.
La prescrizione del
riposo domenicale non appartiene direttamente alla liturgia, ma piuttosto alla
legislazione conciliare della Chiesa. Il riposo andava dal tramonto del sabato
al tramonto della domenica. Con la possibilità di celebrare la Messa nelle ore
vespertine, permessa da Pio XII nella Costituzione Christus Dominus (6 gennaio
1953), si introduce una profonda innovazione nella legislazione relativa alla
domenica.
Il concilio Vaticano II
ha messo in evidenza molto chiaramente la celebrazione pasquale della domenica.
La Costituzione Liturgica, per esempio, lo afferma in più punti: “Ogni
settimana, nel giorno a cui (la Chiesa) ha dato il nome di ‘domenica’, fa
memoria della Risurrezione del Signore…E seguendo la tradizione apostolica…la
Chiesa celebra il mistero pasquale ogni otto giorni, [ossia il] ‘giorno del
Signore’ o ‘domenica… Per questo la domenica è la festa primordiale che deve
essere proposta e inculcata… come giorno di gioia e di riposa dal lavoro…
perché… è il fondamento e il nucleo di tutto l’anno liturgico” (SC nn.
102.106).
La Pasqua annuale
Nella riforma liturgia
conciliare, viene ribadito il concetto che la festa annuale della Pasqua non
solo è il vertice, ma anche il centro dell’anno liturgico, intorno al quale
ruota la celebrazione ciclica dei misteri di Cristo, della Vergine Maria e dei
Santi. L’anno liturgico, inteso come il ciclo pasquale, si può dividere in due
periodi: l’uno di preparazione, che comincia con l’Avvento: l’altro di
prolungamento, che si chiude con l’ottava di Pentecoste. Le suddivisioni
interne non intaccano l’unità dell’intero ciclo che è sempre e comunque
finalizzato alla solennità della Pasqua.
Il principio che regola
la data “mobile” della Pasqua cristiana, secondo la tradizione ebraica, fu
stabilito dal Concilio di Nicea (325): la Pasqua cade la domenica successiva
alla prima luna piena di primavera (all'epoca dei primi computi l’equinozio
cadeva il 21 marzo, che pertanto divenne la data di riferimento). Di
conseguenza, la Pasqua cade sempre tra il 22 marzo e il 25 aprile.
L’attuale liturgia della
Pasqua annuale deriva sia dalle prime riforme dovute a Pio XII, con i decreti
Dominicae Resurrectionis, (9 febbraio 1951), e Maxima redemptionis nostrae
mysteria, (16 novembre 1955), con i quali ha fatto rivivere alla Chiesa la
solenne veglia della Notte Pasquale Pasquale e i suggestivi Riti della
Settimana Santa, che costituiscono il primo passo dell'adattamento del Messale
Romano alla mentalità contemporanea; e sia dall’attuazione della riforma
conciliare applicata da Paolo VI, con la Lettera Apostolica Mysterii Paschalis
(14 febbraio 1969) e con la Costituzione Apostolica Missale Romanum (3 aprile
1969).
Veglia Pasquale
Per antichissima
tradizione questa è “la notte di veglia in onore dei Signore” (Es 12, 42),
giustamente definita “la veglia madre di tutte le veglie” (Agostino, Discorso
219). In questa notte il Signore “è passato” per salvare e liberare il suo
popolo oppresso dalla schiavitù; in questa notte Cristo “è passato” alla vita
vincendo la grande nemica dell’uomo, la morte; questa notte è la celebrazione-memoriale
del “passaggio” dell’uomo in Dio attraverso il battesimo, la confermazione e
l’eucaristia. Vegliare è un atteggiamento permanente della Chiesa, che, pur
consapevole della presenza viva del suo Signore, ne attende la venuta
definitiva, quando la Pasqua si compirà nelle nozze eterne con lo Sposo e nel
convito della vita (Ap 19, 7-9).
La liturgia non è
coreografia, né vuoto ricordo, ma presenza viva, nei segni, dell’evento cardine
della salvezza: la morte-risurrezione del Signore. Si può dire che per la
Chiesa che celebra è sempre Pasqua, ma la ricorrenza annuale ha un’intensità
ineguagliabile, perché, come solenne memoriale (ebraico zikkaron), attualizza
talmente l’evento da renderlo quasi presente, nel senso che partecipa ai
partecipanti al rito i frutti della grazia pasquale. La successione dei
simboli, di cui è intessuta la Veglia, esprime bene il senso della risurrezione
di Cristo per la vita dell’uomo e del mondo.
Le parti principali dell’Azione
liturgica, velocemente.
Liturgia della luce
Attraverso il simbolo
della Luce, che è il Cristo risorto, il mondo della tenebra viene attraversato
e illuminato gradualmente fino al suo massimo splendore, con l’accensione di
tutte le luci della chiesa. In Cristo, si illumina il destino dell’uomo e la
sua identità di imago Christi. Il cammino della storia si apre alla speranza di
nuovi cieli e nuove terre.
I catecumeni e i battezzati, che la tradizione
chiama “illuminati”, per la loro adesione vitale a Cristo-Luce, sanno che la
loro esistenza è radicalmente cambiata, perché, con “Cristo primogenito di
coloro che risuscitano dai morti” (Col 1, 18), passano “dalle tenebre alla luce
ammirabile di Dio” (1Pt 2, 9), dischiudendosi davanti a loro un orizzonte di
vita e libertà. Per tutti questi motivi, si innalza il “canto nuovo” (il
preconio, il gloria, l’alleluia) come ricordo delle meraviglie operate dal
Signore nella storia e come rendimento di grazie per una vita di Luce cristica.
Liturgia della
parola
Le 7 letture dell’Antico
Testamento sono un compendio della storia della salvezza. Già la quaresima
aveva sottolineato che il battesimo è inserimento in questa grande “storia”
attuata da Dio fin dalla creazione. Nella consapevolezza che la Pasqua di Cristo
tutto adempie e ricapitola, la Chiesa medita ciò che Dio ha operato nella
storia. Quella serie di eventi e di promesse vanno riletti come realtà che
sempre si attuano nell’“oggi” della celebrazione; sono dono e mèta da
perseguire continuamente.
Liturgia
battesimale
Il popolo chiamato da Dio
a libertà deve passare attraverso un’acqua che distrugge e rigenera. Come
Israele nel Mar Rosso, anche Gesù è passato attraverso il mare della morte e ne
è uscito vittorioso. Nelle acque del battesimo è inghiottito il mondo del
peccato e riemerge la creazione nuova. L’acqua, fecondata dallo Spirito, genera
il nuovo popolo di Dio: un popolo di santi, un popolo profetico sacerdotale e
regale. Con i nuovi battezzati, la Chiesa fa memoria del suo passaggio pasquale,
e rinnova nelle “promesse battesimali” la propria fedeltà al dono ricevuto e
agli impegni assunti in un continuo processo di rinnovamento, di conversione e
di rinascita.
Liturgia
eucaristica
È il vertice di tutto il
cammino quaresimale e della celebrazione vigiliare. Il popolo, rigenerato nel
battesimo per la potenza dello Spirito, è ammesso al convito pasquale che
corona la nuova condizione di libertà e riconciliazione. Partecipando al corpo
e al sangue del Signore, la Chiesa offre sé stessa in sacrificio spirituale per
essere sempre più inserita nella Pasqua di Cristo. Egli rimane per sempre con i
battezzati nei segni, perché essi imparino a passare ogni giorno da morte a
vita nella carità.
Dentro la struttura e i
simboli della celebrazione è possibile leggere il paradigma dell’esistenza
cristiana nata dalla Pasqua: Luce, Parola, Acqua, Convito sono le realtà
costitutive e i punti di riferimento essenziali della vita nuova. Uscito dal
mondo tenebroso del peccato, il cristiano è chiamato a essere portatore di
luce; a perseverare nell’ascolto di Cristo morto e risorto, Parola definitiva
della storia; a vivere sotto la guida dello Spirito la vocazione battesimale;
ad annunciare e a testimoniare nel dono di sé quel mistero di cui l’Eucaristia
celebra il memoriale.
La Pasqua del credente
Come cantano i testi dei
Prefazi pasquali, la Pasqua di Cristo è anche la Pasqua del cristiano: “Cristo,
nostra Pasqua, è stato immolato” (I prefazio); “Nella morte di Cristo, la
nostra morte è stata vinta e nella sua risurrezione tutti siamo risorti” (II
prefazio). La comunità cristiana si sente inserita, e, “testimone” del
Passaggio di Cristo dalla morte alla vita, rinasce e si rallegra per “la nuova
vita che nasce da questi sacramenti pasquali” (preghiera sulle offerte della
Veglia): con il Battesimo s’immerge con Cristo nella sua Pasqua, con la Cresima
riceve lo stesso Spirito della vita, e nell'Eucaristia condivide il Corpo e il
Sangue di Cristo, come memoriale della sua morte e risurrezione. I testi, le letture,
le preghiere, i canti: tutto punta a questa gioiosa esperienza della Chiesa
unita al suo Signore, esperienza centrata nei sacramenti pasquali.
Questa, la chiave di
lettura per una spiritualità cristiana adulta e matura, che deve incentrarsi,
più sulla comunione con il Risorto dai morti che nella contemplazione dei
dolori di Gesù. Risorgendo, Cristo ha vinto la morte. Questo è veramente il
giorno che ha fatto il Signore; il fondamento della fede; l'esperienza decisiva
che la Chiesa, come Sposa unita al suo Sposo, ricorda e vive ogni anno,
rinnovando la sua comunione con Lui, nella Parola e nei Sacramenti di questa
santa Notte di Pasqua.
LA PASQUA ESCATOLOGICA
Come ultimo riferimento
pasquale, è necessario accennare anche alla Pasqua escatologica, perché “siamo
sati salvati nella speranza” (Tm 8, 24) e attendiamo il compimento di tutte le
promesse nel definitivo banchetto pasquale “nel regno di Dio” (Mc 14, 25). Nel
banchetto escatologico, non si celebrerà più l’Eucaristia, perché sarà presente
tutto il contenuto del rito pasquale: scompariranno i segni, cesseranno i
sacramenti e apparirà nella gloriosa bellezza la realtà dell’“Agnello come
immolato” (Ap 5, 6), cioè senza senza veli e senza alcuna mediazione.
Nella grandiosa
celebrazione liturgica finale, il Cristo pasquale è inondato dallo splendore
del suo trionfo: è la luce perfetta, che viene presentato attraverso visioni
immagini e titoli diversi. È come rivestito di “potenza e ricchezza, sapienza e
forza, onore gloria e benedizione…lode onore gloria e potenza nei secoli dei
secoli” (Ap 5, 12-13), e, assiso troneggiante e trionfante alla destra di Dio,
riceve dagli eletti adorazione e rendimento di grazie.
Nella liturgia della
Pasqua escatologica, Cristo viene presentato da Pietro come presente dagli
abissi dell’eternità: “come di agnello senza difetti e senza macchia fu
predestinato già prima della fondazione del mondo” (1Pt 1, 19-20); mentre
Giovanni, come centro dell’Assemblea degli eletti, che su “un mare di cristallo
misto a fuoco… stavano in piedi sul mare di cristallo… e cantavano il canto di
Mosè… e il canto dell'Agnello” (Ap 15, 2-4).
Con la Pasqua
escatologia, ha compimento il piano divino di salvezza, che in Cristo ha il
centro e il cuore, il regista e il protagonista, il fondamento e la
perfezione.
La Pasqua è un mistero di
difficile comprensione.
Un fatto sublime e
stupendo!
Un evento straordinario e
mirabile!
Di fronte al quale si
resta soltanto affascinati e sbalorditi, sorpresi e incantati. Unico
atteggiamento: restare in silenzio estatico e contemplativo!
È da accettare e credere
con semplicità e purezza di cuore.
La Pasqua è Cristo: unico
Mediatore, unico Redentore e unico Glorificatore!
Autore: P. Giovanni Lauriola ofm
Se il Natale è la
festività che raccoglie la famiglia, riunisce i parenti lontani, che più fa
sentire il calore di una casa, degli affetti familiari, condividendoli con chi
è solo, nello struggente ricordo del Dio Bambino; la Pasqua invece è la festa
della gioia, dell’esplosione della natura che rifiorisce in Primavera, ma
soprattutto del sollievo, del gaudio che si prova, come dopo il passare di un
dolore e di una mestizia che creava angoscia, perché per noi cristiani questa è
la Pasqua, la dimostrazione reale che la Resurrezione di Gesù non era una vana
promessa, di un uomo creduto un esaltato dai contemporanei o un Maestro (Rabbi)
da un certo numero di persone, fra i quali i disorientati discepoli.
La Risurrezione è la
dimostrazione massima della divinità di Gesù, non uno dei numerosi miracoli
fatti nel corso della sua vita pubblica, a beneficio di tante persone che
credettero in Lui; questa volta è Gesù stesso, in prima persona che indica il
valore della sofferenza, comune a tutti gli uomini, che trasfigurata dalla
speranza, conduce alla Vita Eterna, per i meriti della Morte e Resurrezione di
Cristo.
La Pasqua è una forza,
una energia d’amore immessa nel Creato, che viene posta come lievito nella vita
degli uomini ed è una energia incredibile, perché alimenta e sorregge la nostra
speranza di risorgere anche noi, perché le membra devono seguire la sorte del
capo; ci dà la certezza della Redenzione, perché Cristo morendo ci ha liberati
dai peccati, ma risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo
perduto con la colpa.
Racconto evangelico
Esaminiamo adesso la
cronologia degli avvenimenti che seguirono alla morte e sepoltura di Gesù. La
sepoltura fu una operazione provvisoria, in quando essendo ormai un’ora serale
e si approssimava con il tramonto il Sabato ebraico, in cui è noto era proibita
qualsiasi attività, il corpo di Gesù fu avvolto in un lenzuolo candido e
deposto nel sepolcro nuovo scavato nella roccia, appartenente a Giuseppe
d’Arimatea, membro del Sinedrio, ma ormai seguace delle idee del giovane
“Rabbi” della Galilea.
Le operazioni necessarie
per questo tipo di sepoltura, che non era l’inumazione nel terreno, e cioè il
cospargere il corpo con profumi ed unguenti conservativi e l’avvolgimento dello
stesso corpo con fasce o bende (ne abbiamo l’esempio nel racconto di Lazzaro
risuscitato dallo stesso Gesù); queste operazioni, dicevamo, furono rimandate a
dopo il Sabato dalle pie donne, le quali dopo aver preparato gli aromi e visto
dove era stato deposto il corpo di Gesù, alla fine si allontanarono.
Dopo la Parasceve
(vigilia del Sabato) quindi appena dopo sepolto Gesù, i sacerdoti ed i Farisei
si recarono da Pilato dicendogli che si erano ricordati “che quell’impostore
quando era ancora in vita, disse: Dopo tre giorni risorgerò. Ordina dunque che
sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i discepoli,
lo rubino e poi dicano al popolo: È risorto dai morti. Così quest’ultima
impostura sarebbe peggiore della prima!”.
E Pilato, secondo il solo
Vangelo di Matteo, autorizzò il sigillo del sepolcro e dispose alcune guardie
per controllarlo.
Trascorso il Sabato, in
cui tutti osservarono il riposo, Maria di Magdala, Maria di Cleofa e Salome,
completarono la preparazione dei profumi e si recarono al sepolcro di buon’ora
per completare le unzioni del corpo e la fasciatura; lungo la strada dicevano
tra loro, chi poteva aiutarle a spostare la pesante pietra circolare, che
chiudeva la bassa apertura del sepolcro, che era composto da due ambienti
scavati nella roccia, consistenti in un piccolo atrio e nella cella sepolcrale;
quest’ultima contenente una specie di rialzo in pietra, su cui veniva deposto
il cadavere.
Quando arrivarono,
secondo i Vangeli, vi fu un terremoto, un angelo sfolgorante scese dal cielo,
si accostò al sepolcro fece rotolare la pietra e si pose a sedere su di essa;
le guardie prese da grande spavento caddero svenute. Ma l’Angelo si rivolse
alle donne sgomente, dicendo loro: “Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù
il crocifisso. Non è qui. È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea;
là lo vedrete”.
Proseguendo con il
racconto del Vangelo di Matteo, le donne si allontanarono di corsa per dare
l’annunzio ai discepoli. Piace ricordare che anche l’annunzio della nascita di
Gesù avvenne tramite un Angelo a dei semplici pastori, così anche la Sua
Risurrezione viene annunciata da un Angelo a delle umili donne, che secondo
l’antico Diritto ebraico, erano inabilitate a testimoniare, quindi con questo
evento che le vede messaggere e testimoni, viene anche ad inserirsi un evento
storico nella socialità ebraica.
Lungo la strada lo stesso
Gesù apparve loro, che prese dalla gioia si prostrarono ad adorarlo e il
Risorto disse loro: “Non temete, andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano
in Galilea e là mi vedranno”.
Proseguendo nella lettura
del Vangelo di Matteo (che è l’unico ad indicare l’esistenza di un drappello di
guardie), mentre le donne proseguirono veloci alla ricerca degli apostoli per
avvisarli, alcuni dei soldati di guardia, rinvenuti dallo spavento provato, si
recarono in città a riferire ai sommi sacerdoti l’accaduto.
Questi allora, riunitasi
con gli anziani, decisero di dare una cospicua somma di denaro ai soldati,
affinché dichiarassero che erano venuti i discepoli di Gesù di notte, mentre
dormivano e ne avevano rubato il corpo, promettendo di intervenire in loro
favore presso il governatore, se avessero avuto delle punizioni per
questo.
Questa diceria, propagata
dai soldati, si è diffusa fra i Giudei fino ad oggi. Se colpa si potrebbe
attribuire alle autorità religiose ebraiche dell’epoca, questa riguarda
l’ostinazione nello sbagliare anche di fronte all’evidenza, pur di non
ammettere l’errore commesso; “quel timore che venga rubato il corpo, quelle
guardie al sepolcro, quel sigillo apposto per loro richiesta, sono la
testimonianza della loro follia ed ostinazione” (s. Ilario); in realtà tutto
ciò servì soltanto a rendere più certa ed incontestabile la Resurrezione.
Quando le donne
raggiunsero gli apostoli e riferirono l’accaduto, essi corsero verso il
sepolcro, ma Pietro e Giovanni corsero avanti, al sepolcro arrivò per primo
Giovanni più giovane e veloce, ma sulla soglia si fermò dopo aver visto il
lenzuolo (Sindone) a terra, Pietro sopraggiunto, entrò per primo e constatò che
il lenzuolo era per terra, mentre il sudario, usato per poggiarlo sul capo dei
defunti, era ripiegato in un angolo, poi entrò anche Giovanni e ambedue
capirono e credettero a quanto lo stesso Gesù, aveva detto in precedenza
riguardo la sua Risurrezione.
A questo punto, con gli
apostoli che se ne ritornano tutti meravigliati e gioiosi verso la loro dimora,
riempiti di certezza e nuova forza, termina il racconto evangelico del giorno
di Pasqua; Gesù comparirà altre volte alla Maddalena, agli Apostoli, ai
discepoli di Emmaus, a sua madre, finché non si avrà la sua Ascensione al
cielo; gli Evangelisti raccontano in modo diverso questi avvenimenti connessi
con la Resurrezione, ma in sostanza simili nell’insegnamento.
Liturgia e Veglia
Pasquale
Adesso è utile descrivere
l’aspetto liturgico della Pasqua, che è bene ricordare è il culmine della
Settimana Santa, è festa di grande solennità per il mondo cristiano, prosegue
con l’Ottava di Pasqua e con il Tempo liturgico di Pasqua che dura 50 giorni,
inglobando la festività dell’Ascensione, fino all’altra solennità della
Pentecoste.
Dopo il silenzio,
penitenza e meditazione del Sabato Santo, la liturgia prevede la grande Veglia
pasquale, che è la celebrazione più importante dell’anno liturgico e quella che
più esprime la gioia della fede in Gesù Cristo risorto e Salvatore dell’uomo.
La notte nella quale il
Signore passa dalla morte alla vita, segna il punto più alto della storia
religiosa dell’umanità; fin dai primi secoli, i cristiani l’hanno celebrata con
la più grande solennità. Sant’Agostino la chiama “la madre di tutte le veglie
sante, durante la quale il mondo intero è rimasto sveglio”.
Nel corso di questa
notte, la Chiesa celebrava e celebra la Resurrezione di Cristo, battezzando
nuovi cristiani e domandando a coloro che già lo sono, di rinnovare tutti
insieme gl’impegni del loro Battesimo.
La Veglia pasquale è una
celebrazione complessa ed unitaria, che si svolge in momenti successivi:
1) Liturgia della Luce;
2) Liturgia della Parola;
3) Liturgia Battesimale;
4) Liturgia Eucaristica.
Il rito si svolge nella
notte, simbolo della vita, che senza Cristo, è immersa nelle tenebre
dell’ignoranza e dell’errore, del peccato e della morte.
LITURGIA DELLA LUCE –
Benedizione del nuovo fuoco
La cerimonia si svolge
all’esterno della chiesa, tutta oscurata; il celebrante benedice il fuoco nuovo
in un braciere, simbolo dello Spirito Santo e della virtù teologale della
Carità, infusa in noi nel Battesimo.
Benedizione del cero
pasquale
Segue la benedizione del
cero pasquale, grande cero che rimarrà acceso durante le cerimonie liturgiche,
per tutto il Tempo Pasquale e che verrà spento il giorno di Pentecoste, dopo la
lettura del Vangelo; la sua origine sembra risalire al IV secolo.
Il cero viene ornato da
cinque grossi grani d’incenso, disposti a forma di croce e dalle lettere
dell’alfabeto greco Alfa e Omega, che sono rispettivamente la prima e l’ultima,
che alludono a Cristo, principio e fine di tutta la realtà.
Per la benedizione il
sacerdote usa questa formula: “Il Cristo ieri e oggi / Principio e fine / Alfa
e Omega. A lui appartengono il tempo ed i secoli. A lui la gloria e il potere /
per tutti i secoli in eterno. Per mezzo delle sue sante piaghe gloriose, ci
protegga e ci custodisca il Cristo Signore”.
Poi il celebrante attinge
dal fuoco benedetto, la fiamma per accendere il cero pasquale, mentre
pronunzia. “La luce del Cristo che risorge glorioso, disperda le tenebre del
cuore e dello spirito”. Il cero rappresenta anche la virtù teologale della
Fede, che illumina il cammino di santificazione del cristiano.
Processione
d’ingresso
Guidati dalla fiamma del
cero pasquale, la processione avanza nella chiesa oscurata, mentre il sacerdote
canta per tre volte con tonalità crescenti, le parole: “Lumen Christi” o
“Cristo luce del mondo” a cui i fedeli rispondono “Deo gratias” o “Rendiamo
grazie a Dio”; ad ogni sosta si accendono progressivamente le candele dei
ministri e poi quelle di tutta la chiesa.
Man mano la luce vince le
tenebre in un suggestivo simbolismo; la processione è simbolo della virtù
teologale della Speranza, del cammino del popolo di Dio nella via della
santificazione.
L’annuncio pasquale
Davanti a tutta
l’Assemblea cristiana, che tiene la candela accesa in mano, il celebrante o il
diacono canta l’Exultet o annuncio pasquale, in cui invita la Chiesa ad
innalzare un inno di ringraziamento e di lode al Signore misericordioso, che ha
redento l’umanità dal peccato.
Sono note due versioni
dell’Exultet, la romana e l’ambrosiana, la cui attribuzione è dubbia, forse fra
i probabili autori è compreso anche s. Ambrogio; anche se se ne ha prova fin
dal IV secolo a Roma, nella liturgia fu introdotto più tardi, fra il VI e VIII
secolo. Al termine, spente le candele e sedutasi, l’assemblea ascolta il canto
del ‘Preconio’ da parte del diacono.
LITURGIA DELLA
PAROLA
Vengono letti sette brani
del Vecchio Testamento, narranti la creazione del mondo, il sacrificio di
Abramo, l’esodo dall’Egitto, il passaggio del Mar Rosso e alcune profezie dei
profeti biblici; il filo conduttore che unisce queste letture è la notte, sia dell’atmosfera
sia del cuore, ma Dio vegliava e dall’oscurità si accese improvvisamente la
luce.
Poi viene intonato il
canto del ‘Gloria’, con il suono delle campane, l’illuminazione completa della
chiesa, il suono dell’organo, tutto simboleggiante l’avvenuta Resurrezione di
Cristo e del significato e beneficio che ne è scaturito per gli uomini. Segue
il canto dell’Alleluia, che per tutto il periodo della Quaresima era stato
omesso nella liturgia, in segno di mestizia per la Passione di Gesù. Infine c’è
la lettura del brano evangelico secondo Luca (24, 1-12) che narra la scoperta
da parte delle donne e poi degli Apostoli dell’avvenuta Resurrezione.
LITURGIA
BATTESIMALE
Viene posto a vista dei
fedeli un catino con l’acqua che sarà utilizzata per i futuri Battesimi,
compresi quelli, se ve ne sono, di questa santa notte. L’acqua viene benedetta
dal celebrante (essa è simbolo del dono della Grazia e della Vita nuova,
comunicata da Cristo) dopo la recita delle Litanie dei Santi; la benedizione effettuata
con l’immersione del cero pasquale, una o tre volte, è accompagnata da
bellissime preghiere del celebrante, che per motivi di spazio non riportiamo,
essendo un po’ lunghe.
Seguono le promesse
battesimali rinnovate dall’Assemblea, dopo se vi sono dei battezzandi si
procede con il Battesimo di essi e al termine tutti i presenti, a ricordo del
proprio battesimo, vengono aspersi con l’acqua benedetta. Terminato questo
rito, il sacerdote e il lettore recitano la preghiera dei fedeli, omettendo in questa
occasione la recita del Credo.
LITURGIA
EUCARISTICA
A questo punto la
liturgia diventa quella solita della celebrazione della Messa, con Prefazio,
preghiere, antifone proprie della festività di Pasqua e si conclude con la
solenne benedizione del celebrante.
Durante il giorno della
Domenica di Pasqua le celebrazioni delle Messe sono come al solito, ma
caratterizzate di solennità.
Storia della Festa –
Tradizioni
La datazione della
Pasqua, nel mondo cristiano fu motivo di gravi controversie fra le Chiese
d’Oriente e d’Occidente, la prima era composta da ebrei convertiti e la
celebrava subito dopo la Pasqua ebraica e cioè nella sera della luna piena, il
14 Nisan, primo mese dell’anno ebraico; quindi sempre in giorni diversi della
settimana.
Mentre i cristiani
convertiti dal paganesimo, la celebravano nel primo giorno della settimana,
cioè la Domenica (il Sabato ebraico), questo criterio fu adottato dalla Chiesa
d’Occidente. La controversia durò parecchio, coinvolgendo sante ed autorevoli
figure di vescovi di ambo le parti, come Policarpo, Ireneo e papi come Aniceto
e Vittore I; solo con il Concilio di Nicea del 325, si ottenne che fosse
celebrata nello stesso giorno in tutta la cristianità e cioè adottando il rito
Occidentale, fissandola nella domenica che seguiva il plenilunio di
primavera.
Tralasciamo tutte le
successive controversie su questo problema; oggi la celebrazione cade tra il 22
marzo e il 25 aprile denominandola così Pasqua bassa o alta, secondo il periodo
in cui capita. Essendo una festa mobile, determina la data di altre celebrazioni
ad essa collegate, come la Quaresima, la Settimana Santa, l’Ascensione, la
Pentecoste.
La Chiesa contempla per i
cattolici l’obbligo del Precetto Pasquale, cioè confessarsi e ricevere
l’Eucaristia almeno una volta nel periodo pasquale. Legata alla celebrazione
della Pasqua, vi sono alcune tradizioni come ‘l’uovo di Pasqua’; l’uovo è da
sempre il simbolo della vita; per i cristiani l’uovo di Pasqua è simbolo del
sepolcro, vuoto all’interno, ma che contiene in sé la più grande sorpresa: la
Resurrezione, simbolicamente nell’uovo di cioccolato che si regala, si trova
perciò una sorpresa.
Nel pranzo pasquale viene
aspersa la tavola imbandita, intingendo nell’acqua benedetta un rametto di
ulivo, distribuito nella Domenica delle Palme.
Il Papa da antichissima
data impartisce la solenne benedizione “Urbe et Orbe”, cioè a Roma ed al Mondo.
Fra le tantissime manifestazioni civili e folcloristiche, che si effettuano nel
mondo in questo giorno di festa, citiamo per concludere, solo lo ‘scoppio del
carro’ a Firenze, con tutto il contorno di corteo in costumi d’epoca.
Autore: Antonio
Borrelli