Antica
rappresentazione di Sant'Ottone Frangipane in preghiera dinanzi al suo eremo
alle falde della città di Ariano (ora Ariano
Irpino, Italia). Memorie di S. Ottone Eremita, protettor principale della
città e diocesi di Ariano, Potenza, 1780
Ancient representation of Saint Ottone Frangipane praying in front of his hermitage at the foot of the town of Ariano (now Ariano Irpino, Italy)
Saint Othon
Ermite à Ariano (+ v.
1120)
Il est le saint patron de
la ville d'Ariano (près de Bénévent en Italie). Selon la tradition de cette
ville, il serait né à Rome vers 1040 et descendrait d'une famille noble. Soldat
du Pape et des états pontificaux, il aurait été fait prisonnier et aurait été
libéré par une intervention miraculeuse attribuée à Saint Léonard de
Noblat. Pendant une cinquantaine d'années, il parcourt divers
sanctuaires dans le monde et c'est sans doute pendant cette période qu'il prend
l'habit bénédictin. Arrivé à Ariano vers 1117, il se retire comme ermite.
À Ariano, près de
Bénévent en Campanie, vers 1120, saint Othon, ermite.
Martyrologe romain
SOURCE : http://nominis.cef.fr/contenus/saint/11524/Saint-Othon.html
Chiesa
di San Pietro de Reclusis (destra) con l'eremo di Sant'Ottone Frangipane
(sinistra) in Ariano Irpino, Italia
St
Peter Cloister church (right) with St Otho Frangipane hermitage (left) in Ariano
Irpino, Italy
Also
known as
Oddone
Oto
Otto
Profile
Born to the Italian nobility,
he became a knight and fought in
defense in the pope in
the area of Frascati, Italy. Captured on
the field, he was imprisoned in
a tower until he prayed for
the intercession Saint Leonard
of Noblac and received miraculous assistance
in escape. Pilgrim to
the Benedictine abbey to
Saints Trinity of Cava dei Tirreni; he did not become a monk,
but lived there, spending his days in prayer and
work. From there he moved to the monastery of Montevergine and
became a spiritual student of Saint William
of Vercelli. Moved to Ariano
Irpino, Italy in 1117,
and devoted himself to care for the pilgrims that
came through the city en route to the Holy Lands. He began living nearby as
a hermit in 1120;
Ottone even dug a
grave next to his cell as
a reminder that death was
always near. His reputation for holiness, wisdom and miracles soon
spread and drew many would-be students.
Born
23 March 1127 in Ariano
Irpino, Italy of
natural causes
buried in
the cathedral of Ariano
Irpino
during a siege of Ariano
Irpino by Saracens, the locals prayed for
Ottone’s intercession; a shower of stones from the clouds chased off the
besiegers
relics transferred
to Benevento, Italy in 1220 ahead
of Saracen invasion
some relics at
the church of Saint Peter in Montemiletto, Italy
Ariano
Irpino, Italy,
city of
Ariano
Irpino-Lacedonia, Italy, diocese of
Castelbottaccio, Italy
Additional
Information
books
Our Sunday Visitor’s Encyclopedia of Saints
images
sitios
en español
Martirologio Romano, 2001 edición
fonti
in italiano
MLA
Citation
“Saint Ottone
Frangipane“. CatholicSaints.Info. 20 March 2023. Web. 18 June 2025.
<https://catholicsaints.info/saint-ottone-frangipane/>
SOURCE : https://catholicsaints.info/saint-ottone-frangipane/
Statua
argentea di Sant'Ottone Frangipane (17° secolo) all'interno del Museo degli
Argenti, Ariano Irpino (Italia)
Silver statue of St. Otho Frangipane (17th century) in the Silver Museum, Ariano Irpino (Italy)
Statua
argentea di Sant'Ottone Frangipane (17° secolo) all'interno del Museo degli
Argenti, Ariano Irpino (Italia)
Silver
statue of St. Otho Frangipane (17th century) in the Silver Museum, Ariano
Irpino (Italy)
Sant' Ottone Frangipane Eremita
Roma, 1040 circa -
Ariano, 1127 circa
Patronato: Ariano Irpino
(AV)
Martirologio Romano: Ad
Ariano Irpino in Campania, sant’Ottone, eremita.
Secondo la tradizione
arianese, S. Ottone nacque a Roma verso il 1040 e discendeva dalla nobile
famiglia dei Frangipane.
Verso il 1058-1060, S.
Ottone dovette partire, come i coetanei del suo rango, in qualche spedizione
militare, forse a favore del papa.
In una di queste, Ottone
fu catturato dagli avversari e imprigionato. Liberato dalla prigione per
intervento divino, per intercessione di S. Leonardo di limoges, tornò a Roma.
Da lì si mise in pellegrinaggio a visitare devotamente vari santuari cristiani
per varie regioni del mondo.
I pellegrinaggi durarono
quasi 50 anni. Si è pensato che durante questi anni Ottone abbia vestito i
panni dell’Ordine benedettino e che abbia vissuto per un certo tempo
nell’Abazzia della SS. Trinità di Cava dei Tirreni e che abbia visitato S.
Guglielmo da Vercelli a Montevergine.
Dopo lungo pellegrinare,
il santo giunse ad Ariano Irpino verso il 1117. Qui Ottone per tre anni gestì
un ospizio per pellegrini, che egli stesso aveva fondato, dando esempi di
carità, finchè non decise di ritirarsi a vita eremitica, a quasi un miglio
dalla città, nella chiesa di S Pietro apostolo, oggi ancora esistente e
chiamata S. Pietro de’ reclusiis.
Accanto alla chiesa si
costruì una piccola cella e vi si rinchiuse. Qui, S. Ottone compì molti
miracoli. Nel suo romitaggio, il santo aumentò l’austerità, prolungò le sue
vigilie di preghiere, diminuì il cibo e aumentò le penitenze. Nella piccola
cella scavò una fossa a mò di sepolcro per ricordare a sé stesso la morte, come
monito a vivere santamente.
Nel 1127, dopo sette anni
di eremitaggio e 10 anni trascorsi ad Ariano, S. Ottone morì.
Appena gli arianesi
appresero della morte del santo, essi si recarono commossi alla sua cella.
Desposto il corpo del santo su un carro, gli arianesi lo portarono in
processione in cattedrale, ove il vescovo di Ariano lo fece deporre in un posto
d’onore.
Il culto degli arianesi
verso S. Ottone dovette iniziare assai presto. Certo comunque doveva già
esistere quando gli arianesi, per mettere al sicuro il corpo del santo dalle
incursioni saracene, lo traslarono a Benevento. Questo dovette accadere nel
1220 sotto Federico II quando i saraceni costituivano una minaccia in Puglia e
nelle nostre zone.
Tra i prodigi operati dal
santo dopo la morte, la tradizione tramanda quello avvenuto tra gli anni
1175-1190 quando con una gragnuola di pietre caduta dal cielo per intercessione
di S. Ottone, apparso tra le nuvole, i saraceni furono respinti dall’assedio
della città. In ricordo di questo avvenimento ad Ariano fu costruita una chiesa
S. Maria della Ferma.
Fra i miracolati del
santo vi fu anche S. Eleazario de’ Sabran, che divenne conte e anch’esso
patrono di Ariano.
Molto noto è il voto che
gli arianesi fecero nel 1528 a S. Ottone in tempo di peste per esserne
liberati. In altre circostanze, dice la tradizione, Ariano fu salvata o
preservata dalla peste dal santo.
S. Ottone è molto
venerato anche nella città di Castelbottaccio, nel Molise, dove è il
patrono.
Ad Ariano i maggiori
centri di culto del santo sono la cappella di S. Ottone, la principale della
cattedrale, e la antica chiesa di S. Pietro de’ reclusiis. Il più bel monumento
dedicato a S. Ottone ad Ariano è sicuramente la statua del santo posta nel 1502
dall’allora vescovo di Ariano, Nicola degli Ippoliti, nella nicchia sovrastante
il portone destro della facciata della cattedrale. Sotto la nicchia è scolpito
questo bel distico: “ASSURGAS QUICUMQE POTES SPECTARE FIGURAM NAM PATER EST
URBIS NOMINE DIVUS OTHO” (Salga ai suoi piedi chiunque vuol vedere la sua
immagine, perché il patrono della città si chiama Ottone).
Ad Ariano Irpino il santo
è solennemente festeggiato il 23 marzo e nell’ottava dell’Assunta.
Autore: Francesco
Roccia
SOURCE : http://www.santiebeati.it/dettaglio/91968
S. OTTONE
Andrea D’Agostino Vescovo
1892
PREFAZIONE
Fin. dal primo giorno che
la Provvidenza mi sposò a questa nobile Chiesa Arianese io l’amai di cuore,
come doveva: amai la sposa, amai i figli, amai i loro beni spirituali, che
d’allora in poi divenivano anche miei.
Fra questi io stimava
qual prezioso tesoro la storia della vita e geste del nostro principal patrono
S. Ottone; e ne andai in cerca immediatamenre. Ma dev’essere cosa molto rara,
ché solo a capo di quattro anni mi è riuscito di avere le Memorie di S. Ottone
stampate a Roma nel 1780.
L’anonimo autore di esse
(che può essere l’Abate Potenza, come pare potersi ricavare dal Vitale, in una
nota delle Memorie degli Uomini Illustri di Ariano) seguendo il giudizio
critico dei Bollandisti, rigetta come apocrifa l’Autobiografia di S. Ottone;
perché, scritta per adulazione e vanità non prima del Secolo XVI, è piena di
anacronismi, inverisimiglianze, errori e falsità.
Rigetta egualmente tutto
ciò che da sì torbida fonte hanno attinto il Barberio, il Ciarlandi, lo Zazzera,
il Ferrari, l’Ughelli ed il Capozzi. Ammette al contrario come sinceri ed
autorevoli monumenti tanto l’antico Uffizio di S. Ottone composto nel secolo
XII o al più tardi nel principio del XIII: quanto la testimonianza di Pietro
Diacono, quella di Eriberto Rosweido, e la lettera di Alfonso I.
Ora per colmare il
dispiacevole vuoto che nella nostra Diocesi da tanto tempo esiste, di una vita
popolare del suo santo Patrono, mi è sembrato che bastasse dalle suddette
Memorie raccogliere quanto vi ha di certo, di verosimile e di sodamente
probabile: ed ho fatto questo piccolo lavoro, che ora alla buona e senza alcuna
pretensione presento al pubblico.
In ciò fare mi son
proposto di compiere un dovere episcopale, sia col :rendere un servigio di non
poca utilità al diletto mio popolo, sia col dare un attestato di fede, di
fiducia, di amore a S. Ottone.
Di questa mia poca fatica
avrò largo compenso, ottenendo, come spero, che la memoria ed il culto del
Santo sia ravvivato nella Diocesi, e che la valida protezione di Lui
efficacemente si spieghi anche sopra di me.
E perché potesse
quest’operetta diffondersi per la Diocesi, ed esser letta da tutti con
edificazione, ho procurato che fosse del tutto popolare: quindi dettato
semplice e facile, volume piccolo, edizione di poco costo e molte copie.
Ora non mi resta che
pregare Dio, affinché questo piccolo ma prezioso seme, che per me si sparge ne’
solchi della buona terra di questa Diocesi possa con la benedizione di Lui
fruttificare e produrre il cento per uno.
Ariano il 1. Giugno 1892
Andrea d’Agostino Vescovo
di Ariano
I. ORIGINE E NASCITA DI
OTTONE
Dal Panvino, accurato
scrittore di quanto riguarda la famiglia Frangipane, abbiamo che l’antica e
nobile famiglia Anicia da Roma si propagò per l’Italia e fuori nel secolo nono
dell’era cristiana. Dal primo ramo venne su a Firenze la famiglia Elisea,
nominata poi Alighieri gloriosa per aver dato al mondo il sommo poeta cristiano
Dante; il secondo formò a Venezia la famiglia Micheli; degli altri due uno
fiorì a Napoli e l’altro in Dalmazia. Lo stipite poi della famiglia Anicia
rimasta a Roma trovasi nel secolo undecimo designato col soprannome di
Frangipane; e si mostra potente e valoroso, giusto e devoto al sommo Pastore,
sostenendo i diritti della Santa Sede, e dando in sua casa sicuro asilo ad
Urbano II, perseguitato dall’Antipapa Clemente III. Gentilizio nome di questo
nobile casato era quello di Ottone, portato da molti dei Frangipane; ma il più
illustre di questi Ottoni, anzi dei Frangipane tutti quanti, fu certamente il
nostro caro Santo. Il quale nacque a Roma prima della metà del decimo primo
secolo, e probabilmente nell’anno di grazia 1040.
II. EDUCAZIONE
Chi ha vaghezza di
conoscere l’educazione ricevuta da Ottone nella sua prima età, per ammirare
l’alba di quella grande virtù destinata a crescer sempre fino a sfolgorare come
sole in pieno merigio, e ne interroga la Storia; questa laconicamente gli
risponde che fin dall’infanzia Ottone fu dedito al digiuno ed alla elemosina.
Brevissima risposta e monca in apparenza; ma sufficiente per chi la sa
meditare.
La mortificazione di se
stesso e la beneficenza verso gli altri non si reggono in fatti da se stesse;
ma necessariamente suppongono il fondamento di altre virtù. Quindi i digiuni e
le elemosine di quel benedetto fanciullo sono indizio sicuro e segno certo, che
nell’animo di lui era viva la fede delle cose invisibili, sodamente fondata la
speranza delle celesti ed eterne ricompense, fervido l’amore per Dio e per gli
uomini, grande l’umiltà e pronta l’ubbidienza alla legge ed ai consigli
evangelici.
Tanto e si belle virtù
che si ammirano nella prima età di Ottone non sono forse un chiaro e forte
argomento dell’indole sua generosa, della grazia di Dio abbondante, e della
savia educazione ricevuta? Oh! felici educatori che trovarono la vera e pura
semenza dell’educazione, ed una terra cosi atta a riceverla e farla fruttare!
Guardando a traverso la
distanza e l’oscurità de’ secoli, a me sembra fra gli educatori di Ottone
discernere una bella figura di donna più celeste che terrena, la figura di una
madre non mondana ma cristiana, la quale seppe amare il suo figlio da vero ed educano
in guisa da farne un grand’uomo, un santo.
III. MILIZIA
Progenie di eroi, all’età
di quattro lustri Ottone ci apparisce ornato del cingolo militare, e pronto ad
entrare coraggiosamente in battaglia. E non è straordinaria che a vent’anni si
aspiri alla vita del campo ed al mestiere delle armi. Ma non tutti quelli che
impugnano le armi con ardore, e le maneggiano con forza, abilità e fortuna sono
eroi: l’eroismo innanzi tutto e sopra tutto dipende dalla giustizia della causa
e dalla nobiltà dello scopo.
Quindi è che coloro i
quali la forza, l’ardimento e l’abilità guerriera spiegano in favore
dell’iniquità e dell’ingiustizia debbono ritenersi non valorosi eroi, ancorché
fortunati; ma per briganti e ladroni; terribile flagello dell’umanità.
Al contrario il glorioso
nome di eroe non conviene, se rettamente si giudica., che al valoroso, il quale
e la forza e il coraggio e l’arte militare esclusivamente consacra al sostegno
ed al trionfo della giustizia e del diritto. E tal era Ottone, che dai suoi
maggiori attinto avea col sangue il vero valore, né l’occasione di darne
luminosa prova si fece lungamente aspettare.
Fra quelli che nel secolo
XI combattevano il principato romano e la Chiesa,da una parte erano i
tirannelli di Tuscolo, che a forza di prepotenze, di danaro e d’intrighi,
tentavano ed alle fiate riuscivano ad inceppare la libertà della Chiesa, sia
nell’elezione dei suoi Pontefici, sia nell’esercizio della sua duplice potestà
spirituale e temporale: dall’altra parte erano i tiranni Tedeschi, che usurpavano
il potere dell’investiture, nominavano Antipapi, dilaceravano il seno della
Chiesa, e poi scendevano a devastare l’Italia.
La guerra, ch’era perciò
inevitabile, scoppiò ben presto, ed Ottone tosto scese in campo, pronto a dare
non solo il sudore, ma anche il sangue, la libertà e la vita per la patria sua
e per la Chiesa cattolica. Non sappiamo però se egli si unì ai Normanni per
combattere i Tuscolani, sotto il pontificato di Nicola II. nel 1058-59; o pure
con i Toscani nel 1062 combatté l’Antipapa Cadolao, che sostenuto da Enrico IV,
levate avea le armi contro il pontefice legittimo Alessandro II.
IV. PRIGIONIA
In uno dei primi
combattimenti l’ardimentoso giovane con alcuni altri suoi compagni è preso dai
nemici, e carico di catene vien gettato nel fondo di una oscura torre, esposto
alla fame, al freddo ed ai maltrattamenti d’ogni sorte, che quei crudeli gli
fanno spietatamente soffrire.
Non so che cosa di Ottone
penseranno coloro che degli uomini e delle cose sogliono giudicare non dalla
moralità, ma dal successo e dall’esito.
Non sanno questi
utilitarii, che l’esito felice ed infelice delle cose che si avvicendano nel
tempo, che il successo e l’insuccesso delle umane azioni servono nelle mani
della Provvidenza a formare l’intreccio ed il nodo del dramma della vita; e non
a determinarne la riuscita. Quando poi arriva la fine di questo dramma
importante, e nella catastrofe della morte sparisce l’intreccio e si scioglie
il nodo, allora ha luogo il giudizio della riuscita finale: allora non mancherà
certamente né la ricompensa alla virtù, né il .castigo al vizio.
Intanto la dura porta di
quella prigione dopo un certo tempo si apre per i compagni di Ottone, e si
richiude più pesante su di lui! Per quelli fu offerto ed accettato il riscatto;
mentre per Ottone la storia non dice se il riscatto non fu offerto, o pure non
venne accettato. Ma quale che in questo fatto fosse l’ignoranza, l’impotenza o
la malizia degli uomini, Iddio certamente non lo permise che per cavarne un
bene maggiore.
Da quello che poi segui noi
possiamo giudicare, che la Provvidenza voleva provare la virtù di Ottone,
temprarne l’animo a maggior forza, aumentarne il merito, e la vita tutta
indirizzare a mèta più gloriosa: essa voleva che in quella tomba rimanesse
interamente morto e sepolto l’uomo del mondo, e che ne uscisse in vece un uomo
tutto celeste.
V. LIBERAZIONE MIRACOLOSA
Nel fondo del cuore di
Ottone risuonar dovevano queste belle parole di Salomone: Dio de’padri miei, e
Signore di misericordia, il quale tutte le cose facesti per mezzo di tua
parola, e di tua sapienza ornasti l’uomo; affinché fosse signore delle creature
fatte da Te; e affinché governasse il mondo con equità e giustizia, e con animo
retto rendesse ragione: dammi quella sapienza che assiste al tuo trono, e non
mi rigettare dal numero de’ tuoi figlioli (Sap. 9). Fu esaudito, e la sapienza
scese con lui nella fossa, e tra le catene nol dimenticò (Sap. 10). Da essa
illuminato e consolato, ai divini voleri si rassegnava, e con eroica sapienza
soffriva quella durissima prigionia; dalla quale umanamente parlando non vedeva
scampo alcuno.
La rassegnazione però e
la pazienza non lo rendevano insensibile alla pena di quello stato infelice, né
gli smorzavano in petto l’ardente desiderio della libertà. Egli bramava di
potere liberamente mirare il creato, per glorificare il Creatore; bramava di
esser libero della sua persona e degli atti suoi, a fine di avvicinarsi ai
sacramenti e da essi attingere la grazia del Salvatore; bramava esser libero,
per assistere alle assemblee dei fedeli e con essi celebrare le solennità della
Chiesa; bramava la libertà per andare a vedere coi suoi occhi la vita
edificante de’ Santi, e seguirli da presso per la via della perfezione, che
conduce al regno de’ cieli.
Perciò con gran fiducia,
con pie lagrime, con caldo affetto non cessa di pregare cosi: O Signore Gesù
unigenito Figliuolo di Dio, se a Te piace, io Ti supplico di non lasciarmi più
a lungo in queste tenebre ove sono di tante tue grazie privo, ma cavami dalle
angustie di questo carcere, affinchè il santo tuo Nome io possa lodare e
benedire.
Tranquillamente dormiva
una notte abbandonato nelle braccia di Dio, quando sfolgorante di luce gli
apparisce un cittadino del Cielo, che gli dice : Non temere, Ottone, perché
esaudita è appo Dio la tua preghiera; ed ascolta quello che alla tua salvezza
conviene. Rinunzia al mondo ed al mestiere delle armi, e prendi la via della
perfezione. Dalla celeste visione scosso, si desta, e meravigliato va
ripensando a quanto ha visto ed udito; ma riputandolo un semplice sogno si
addormenta di nuovo. Ritorna allora S. Leonardo, e tutto addormentato come lo
trova dolcemente lo trasporta in un bosco presso Roma, ed ivi sull’erba lo
depone.
Nello svegliarsi,
trovandosi in quel sito, dové Ottone a somiglianza di Pietro esclamare: Adesso
so che il Signore ha mandato il suo Santo, e mi ha tratto dalle mani dei miei
nemici. Diede poscia un colpo di pietra sulle sue catene, che divenute per
virtù divina fragili come vetro caddero infrante; ed egli ne andò tutto libero
e franco.
VI. PELLEGRINAGGIO
Miracolosamente liberato
dalla prigionia e dai ceppi, quasi uomo risorto, cominciò Ottone una nuova
vita: una vita da pellegrino che durò più mezzo secolo! Vita che il mondo non
sa, né può apprezzare, quantunque abbia anch’esso i suoi pellegrini ed i suoi
pellegrinaggi. I pellegrini del mondo viaggiano per sodisfare la curiosità ed
evitare la noia della vita loro ed oziosa, viaggiano per vile interesse e per
gloria vana, viaggia per tessere intrighi e per gabbare i gonzi, viaggiano per
spogliare i semplici ed opprimere i deboli; viaggiano per fuggire la vendetta
della giustizia umana, viaggiano per non sentire il rimorso della loro stessa
coscienza. Per questi ed altri somiglianti motivi viaggiano i pellegrini
mondani; e per il mondo ha lodi lusinghiere o almeno rispettoso silenzio,
riservando il biasimo e l’irrisione ai pellegrini cristiani. Questi però
tengono i giudizi del mondo in quel conto che meritano, in conto cioè di
stoltezza, di malignità e d’ignoranza!
Chi poi non è del mondo
ed ha lo Spirito di Dio comprende le parole che S.. Paolo scriveva agli Ebrei
(cap. lI): Per la fede, quegli che è chiamato Abrahamo, ubbidì per andare al
luogo che doveva ricevere in eredità; e partì senza sapere dove andasse. Per la
fede stette pellegrino nella terra promessa non sua, abitando sotto le tende
con Isacco e Giacobbe coeredi della promessa. Imperocché aspettava quella città
ben fondata: della quale è Dio stesso stesso architetto ed edificatore... Nella
fede morirono tutti questi senza aver conseguito le promesse, ma da lungi
mirandole e salutandole, e confessando di essere ospiti e pellegrini sopra la
terra. Imperocché quelli che cosi parlano dimostrano che cercano la patria. E
se avessero conservata memoria di quella ond’erano usciti, avevan certamente il
tempo di ritornarvi; ma ad una migliore essi anelavano, cioé alla celeste. Per
questo non ha Dio rossore di chiamarsi loro Dio, conciosiaché preparata aveva
per essi la Città.
Or come ad Abramo, cosi
disse il Signore ad Ottone: Parti dalla terra, e dalla tua parentela, e dalla
casa del padre tuo, e vieni nella terra che io t’insegnerò (Gen. 12) cammina
alla mia presenza e sii perfetto (Gen. 17). E Ottone ubbidiente alla voce di
Dio, si leva, esce dal bosco ov’era stato miracolosamente portato, sconosciuto
e senza fermarvisi traversa Roma, e per sempre abbandona ricchezze ed onori,
commodi e piaceri, parenti ed amici, patria e mondo: tutto egli abbandona, per
mostrare anche di fuori l’interna disposizione dell’anima, che non ha qui
patria permanente, ma cerca la futura; e perché la sua conversazione fosse
tutta nel Cielo.
Egli è un danno che non
possiamo neppure col pensiero seguire la traccia del lunghissimo suo
pellegrinaggio, perché cancellato dal corso di otto secoli; e quindi contentar
ci dobbiamo di dare solo uno sguardo alle poche e leggiere vestigie rimaste. Da
esse argomentar si può che il pellegrino rivolse divoti i suoi passi in que’
luoghi dove o il Salvatore del mondo conversò con gli uomini, o fiorì la vita de’
Santi, o la potenza ammirabile di Dio si manifestò con prodigii, o la pietà più
fervida si distingueva nel culto dovuto al Signore, o più fecondo era il campo
di meriti per l’eternità, o più illustre erano le scuole di perfezione de’
monastici istituti.
VII. OTTONE ALLA BADIA DI
CAVA
Una di tali illustri
scuole di santità e di perfezione era indubbiamente quella che l’istituto
Benedettino fondata aveva alla SS. Trinità di Cava de’ Tirreni; alla testa
della quale era l’Abate S. Pietro. Vi andò Ottone, portatovi dal desiderio
dell’altissima ed utilissima scienza de’ Santi, ed in quell’Abate trovò un
amoroso ed accurato maestro. Il quale non solo mentre visse prese cura del
diletto suo discepolo, ma anche dopo la morte scendeva dal Cielo frequentemente
per istruirlo e condurlo alla più alta perfezione. Questo fatto mirabile si
legge nella Vita di S. Pietro Abate, la quale si conserva nell’archivio di
quella Badia.
E probabile che stando
colà vestì Ottone l’abito religioso e professò l’Istituto Benedettino, la cui
regola egli osservò con tanta esattezza, che S. Benedetto ne fece lodevole
menzione in quella apparizione, che Pietro Diacono racconta nel suo libro De
inventione, et Miraculis S. Benedicii. In un combattimento seguito in Puglia,
un soldato fatto prigioniero e stretto fra’ ceppi, fu chiuso in un sotterraneo
dove orribilmente soffriva. Ispirato dall’alto, pieno di fiducia si rivolge per
soccorso a S. Benedetto; che apparendogli tosto lo libera, e poi gli dice: Per
la tua liberazione va sollecitamente a ringraziare Dio a Montecasino; ma le
catene onde fosti avvinto, che ti sarebbero d’impedimento in si lungo viaggio,
sospendi al sepolcro di Frate Ottone il Rinchiuso; il quale ha la mia regola
perfettamente osservata.
Durante il tempo di sua
dimora a Cava si occupò Ottone nel lavoro manuale, sia perché dalla regola
prescritto, sia per sdebitarsi in qualche modo della ospitalità che riceveva,
non volendo mangiar il pane altrui gratuitamente. E poiché gli fu affidato l’ufficio
di Vestarario, egli prendeva cura delle vesti dei Religiosi; e probabilmente
non solo le conservava e le distribuiva ma le cuciva e rattoppava al bisogno.
Sogliono i Santi a preferenza amare le occupazioni più basse e più penose; e
ritengono come benedizione del cielo il poter rendere un servigio al prossimo
per amore di Dio.
VIII. OTTONE A
MONTEVERGINE
U nobile giovinetto
Vercellese, sullo scorcio del secolo XI, non compiuto ancora il terzo lustro,
cominciò la sua vita di pellegrino recandosi a Compostella accompagnato dalla
pietà e dalla mortificazione. Appena poi è di ritorno in patria da questo primo
pellegrinaggio, vuol muovere verso l’oriente per venerarvi il Santo Sepolcro
del Signore; ma destinato da Dio a santificare ed illustrare l’Italia non
solamente con l’edificazione della vita e coll’operazione dei miracoli, ma con
l’istituzione altresì di una nuova comunità religiosa, mille ostacoli sorgono
ad impedirgli il passo fuori d’Italia.
Fatto allora di necessità
virtù, si determina ad abbracciare la vita eremitica : e va successivamente a
nascondersi in diversi luoghi alpestri e solitarii a fine di non essere
disturbato dal suo intimo conversare con Dio; ma neppur questo gli riesce
secondo il suo desiderio. Imperocché la luce dei miracoli, la fama delle virtù
e l’odore della santità di lui da ogni parte gli attirarono ammiratori, clienti
e discepoli.
Tra tanti non fu l’ultimo
Ottone che andasse a visitare Guglielmo, e lo trovò su quel monte Appennino
della nostra provincia Irpina, il quale intorno a quel tempo mutò il nome di
Virgilio in quello della Vergine, e quindi in poi si chiamò Montevergine. Su
quel monte dovea sorgere il celebre santuario della gran Madre di Dio ed il
monastero principale della Congregazione Virginiana fondata dal santo Vercellese:
ma tali superbi edifizii non esistevano ancora colà quando Guglielmo ed Ottone
vi s ‘incontrarono.
Ben volentieri direi le
circostanze di quell’incontro se mi fossero note; ma probabilmente nessuno ne
fu testimone, eccetto Dio e gli Angeli del Signore. E questi soli sarebbero in
grado di dirci dove precisamente e quando e come i due Santi s’incontrarono, di
quanta luce sfavillarono quegli occhi e quelle menti, di quanta letizia furono
inondati quei cuori, di quanto ardore si accesero quelle anime, e di quanta
edificazione scambievole furono piene le loro persone.
Dopo un certo tempo, di
cui ci è ignota la durata, riprese Ottone il cammino verso Ariano; ove poi
giunto e dimorandovi, chi sa quante volte rivolse gli occhi a Montevergine ed
il cuore al santo suo amico.
IX. ESERCIZIO DI
BENEFICENZA IN ARIANO
In Ariano dovea aver
termine il pellegrinaggio di Ottone: ed egli vi giunse una decina di anni prima
di morire, quindi più che settuagenario. Fermò quivi la sua residenza, perché
gli piacque questo luogo, destinato a divenire il più fortunato teatro delle
sue virtù, il venerabile sepolcro del suo corpo, la sorgente inesauribile di
grazie e di favori per sempre.
Quivi fu più splendida e
completa la manifestazione del terzo aspetto di Ottone; che noi abbiamo già
ammirato come soldato e pellegrino, ed ora ammireremo come benefattore
dell’umanità sofferente.
Veramente non fece mai in
lui difetto la beneficenza, che anzi a somiglianza di Giobbe egli poteva dire:
Dall’infanzia meco crebbe la misericordia, e meco uscì dal sen di mia madre.
Benefico in fatti ei fu bambino con le elemosine da lui distribuite ai
poverelli; benefico giovine sotto le armi, che egli volgeva alla difesa del
diritto e della giustizia, al bene della patria e della Chiesa; benefico nel corso
del lungo suo pellegrinaggio, perché da per tutto era passato edificando con la
virtù e sollevando co’ suoi servigi. Ma nell’ultimo stadio di sua vita ed in
mezzo al popolo, di cui dovea esser modello protettore e padre, apparisce nel
più caro e bello aspetto, in quello di uomo caritatevole e benefico; e ciò non
senza un alto disegno della Provvidenza, che con sì perfetto suggello voleva
indelebilmente imprimere negli Arianesi la forma divina della beneficenza.
Gioverebbe non poco se la
beneficenza di Ottone si potesse esattamente disegnare e con vivi colori
dipingere; ma per riuscirvi farebbe d’uopo l’assistenza di quegli Arianesi, che
nel secolo XII ebbero la fortuna di vederlo, di conversare con lui, e di
ammirare le sue opere d’industriosa e magnanima carità in favore dei poveri di
Gesù Cristo. A me piacerebbe udire da loro il racconto dell’impressione che
fece nel popolo l’arrivo ma- spettato di quel vecchio forestiere; che vestito
di una tunica bianca stretta alla vita da una cintura di cuoio, e coverto d’un
ruvido mantello nero, umile e modesto si avanzava; e pur ispirava riverenza non
tanto per la canuta barba quanto per la grande virtù che traspariva dalla
gravità del portamento, dalla soavità dei modi e dalla dolcezza delle parole. E
quanto sarei grato a chi m’indicasse il sito e la forma dell’ospizio da Ottone
aperto in Ariano per accogliervi i pellegrini, a chi mi mostrasse un mobile un
utensile di cui egli si serviva nell’esercizio della beneficenza!
Non è difficile
immaginare di quanta edificazione riuscir dovesse per gli Arianesi l’esempio
della carità di Ottone. Il quale al comparire d’un povero pellegrino, sollecito
correvagli incontro per menarselo a casa; ove si metteva a lavargli i piedi,
porgergli il ristoro di cibo e di bevanda, preparargli il letto pel riposo, e
con rispetto, amore e tenerezza prodigargli ogni sorta di servigi, perché dalla
fede illuminato in quel povero vedeva il suo Signore Gesù. Quantunque ignota
fosse agli Arianesi la condizione di quel forestiere,che a nessuno erasi
manifestato per un patrizio romano, pure si accorgevano che egli non era un
uomo del volgo; e perciò ogni di più cresceva la loro meraviglia nel vederlo sì
tenero verso degli altri e sì duro verso se stesso; nel vederlo impiegare le
sue mani nell’umile mestiero di ciabattino,sottoporre le spalle al peso del
fardello di legne che porta dal bosco e del vaso d’acqua che reca dal fonte;
nel vederlo alla fine della laboriosa giornata dare una brev’ora di riposo
all’affaticato e logoro suo corpo sulla nuda terra.Tanto può la grazia di Dio
corroborare la fiacca natura dell’uomo! Tanto diversa dalla filantropia è la
carità cristiana!
Per tre anni vide Ariano
questo spettacolo ammirabile di edificazione, e per tre anni assistè a questa
chiara ed eloquente predicazione di carità e di beneficenza. Or chi può credere
che tutto ciò riuscisse infruttuoso? Certo nessuno che non voglia fare gratuita
ingiuria ad una città così cristiana; la quale non avrebbe potuto dirsi divota
di Ottone, nè meritarne la protezione se non avesse stimate ed imitate le virtù
di lui. Quindi è che io ritengo che molti Arianesi si diedero allora ad imitare
la beneficenza di Ottone, che molti si unirono a lui per aiutarlo nel
caritatevole ufficio, e che alcuni almeno ebbero caro prendere nell’ospizio dei
pellegrini il posto del santo il dì chequesti si ritirò nel romitorio di S.
Pietro.
X. VITA EREMITICA A S.
PIETRO
Alle falde meridionali
del monte su cui siede Ariano, ed alla distanza di tre quarti di miglio dalle
mura della città era a tempo di Ottone ed è tuttavia un chiesa campestre
dedicata al Principe degli Apostoli. A lato di essa si fece Ottone una piccola
cella; e vi si chiuse a fine di prepararsi alla morte con aumento di austerità.
Ivi prolungando le vigilie, diminuendo lo scarsissimo cibo e battendo il suo
corpo con un flagello composto di sessanta strisce di cuoio, si esercita nella
mortificazione della carne: ivi lo spirito purifica con abbondanti lagrime,
orna col merito di frequenti atti di virtù, e corrobora con l’orazione e la contemplazione
del giudizio di Dio e i della prossima morte, che di continuo gli ricorda la
fossa a questo fine con sue mani scavatasi nella stessa cella: ivi malgrado
tanta mortificazione ed orazione va muovergli guerra il nemico infernale, che
visibilmente gli si presenta in aspetto orridamente brutto e minaccioso; ma
egli lo mette in fuga col potente segno della croce.
Con l’acquisto di meriti
senza numero, durò sei o sette anni questa non vita ma crudel agonia, nella
quale ei si teneva fermo e costante per compiere la volontà del Padre celeste,
e per imitare in quel modo che poteva la passione di Gesù Cristo. Giova però
notare che questa penosa e lunghissima agonia era di tanto interrotta e
compensata da ineffabili dolcezze di paradiso; le quali provenivano ora dalle
vittorie sul Demonio, ora dalle celesti visioni e dalla promessa del premio
eterno, ed ora dall’amore di Dio, nel quale tutta si liquifaceva l’anima sua.
Non conosce punto i Santi
chi crede, che fra i tormenti di quell’agonia e fra le dolcezze di quell’estasi
non sia più capace Ottone di far bene al suo prossimo; infatti è morto a tutto
Ottone in quella romita cella, fuorché alla beneficenza. E se maravigliato
alcuno domanda che cosa può colà dare ottone, quand’egli è privo di tutto,
anche della forza per lavorare; io rispondo ch’egli può molto, perché ha un
cuore capace di amare e volere il bene altrui; io rispondo ch’egli può tutto,
perché quando i Santi non hanno più nulla sulla terra, il Signore apre loro i
tesori del cielo. Quindi è che il Rinchiuso di S. Pietro non solo consola ed
aiuta con gli esempi della santità, coi consigli della sapienza e con le
fervide preghiere; ma soccorre altresì i bisognosi mercè l’Onnipotenza di Dio
messa nelle mani di lui.
Per esempio, si presenta
a lui un giovine cieco, ed ei gli dà la vista con un semplice segno di croce.
Quantunque ostinata nella sua perfidia ricorre ad Ottone una donna Giudea, e
gli domanda la vista del corpo, senza rimaner delusa nella sua speranza.
Oppressa da febbre ribelle ad ogni rimedio un’altra donna raccomandasi alle
preghiere del Santo Recluso; il quale prega ed essa è lasciata immediatamente
libera dalla febbre.
Un falconiere di
Giordano, conte di Ariano, con poco rispetto pel luogo sacro, se ne andò a
caccia innanzi la Chiesa di S. Pietro; e per prendere uno sparviero, che sordo
alla sua voce, nè correre voleva alla preda, nè fare a lui ritorno, ma posato
se ne stava sulla cella di Ottone; ardì disturbare l’orazione del Santo,
scalando con fracasso quel tetto. In punizione di tanta temerità la preghiera
del Santo ottiene da Dio, che lo sparviero nell’istante d’esser preso apra le
ali al volo e vada ad appiattarsi lontano. Dopo tre giorni di faticose e
diligenti, ma inutili ricerche, temendo lo sdegno del Conte e pentito
finalmente del suo fallo, si decide il falconiere ad implorare l’aiuto del
Santo Romito; il quale gli dice: Va tosto al fonte di S. Pietro, l troverai
l’uccello che si lava, ed appena ti avrà scorto verrà da se stesso a posarsi
tranquillo sul tuo pugno. Andò con fiducia il falconiere; e come aveva detto
Ottone così tutto avvenne. Tanto il castigo, quanto la grazia che contiene
questo fatto miracoloso eran ordinati al bene di quell’uomo irreligioso e
rozzo; poiché con i castighi mirano i Santi alla correzione dei colpevoli, non
mai alla vendetta delle ingiurie fatte alla loro persona.
Il Conte Giordano
confessò pubblicamente, aver anch’egli sperimentata la virtù dei prodigii in
Ottone. Il quale per indurre quel prepotente a desistere da un reo proposito un
dì gli disse: Se prometti di rinunziare al cattivo progetto che hai nell’animo,
io ti rivelerò la causa occulta ditale tuo pensiero. Promise il Conte e con
alta meraviglia si convinse della virtù che aveva Ottone di leggere i più
secreti pensieri dell’anima altrui.
XI. MORTE
Poco prima della morte
del suddetto conte Giordano, che avvenne nel 1127, passò dal tempo all’eternità
l’anima santa di Ottone. La longevità di questo Santo, che malgrado la
straordinaria sua mortificazione visse circa 85 anni, prova di due cose l’una; o
che la mortificazione cristiana non è tanto nociva alla sanità ed alla vita
dell’uomo quanto alcuni pretendono, o che Iddio, quanto lo crede espediente,
con soprannaturale virtù la debolezza della natura corrobora di chi fida in
Lui.
E’ per l’uomo virtuoso un
guadagno la morte, la quale costituisce il ponte di passaggio dalla vita
miserabile della terra alla vita gloriosa e beata del cielo; fu perciò giorno
di festa per Ottone quello in cui l’anima sua benedetta si sciolse finalmente
dai legami del corpo mortale ed andò a Dio. A una tal morte preziosa, avvenuta
principalmente per effetto di ardente desiderio ed amore di Cristo noi daremo
il nome di transito; perché fu il felice passaggio dall’esilio alla patria, dal
dolore al gaudio, dal combattimento al trionfo, dalla terra al Cielo.
XII. CULTO
Vigeva ancora nel secolo
dodicesimo l’antica forma di procedura nella beatificazione dei Santi, perciò
ben tosto, anzi immediatamente dopo la morte, si cominciò a venerar Ottone con
culto religioso nella Diocesi di Ariano.
Poiché a celebrare la
gloria che egli meritato si aveva con le eroiche sue virtù, Cielo e terra si
unirono in un magnifico accordo. Il Cielo con una catena di splendidi prodigii,
che cominciati durante la vita del Santo non cessarono con la morte, ma si
continuarono nel corso dei secoli; e la terra col concorso delle genti al
sepolcro venerabile, con le laudi e le feste, con le suppliche fiduciose nella
potente intercessione e finalmente coll’unanime acclamazione del popolo
Arianese, che scelse Ottone per suo patrono principale.
In fatti appena sparsa la
notizia della morte del santo e benefico Recluso tutta la città si commuove, i
testimoni delle sue virtù con ammirazione ne encomiano la vita, i beneficati
con riconoscenza raccontano le grazie ed i favori da lui ricevuti, tutti con
lagrime miste di dolore e di gaudio rimpiangono la perdita da loro fatta sulla
terra e si rallegrano della gloria da lui acquistata in cielo. Ed ecco popolo e
clero correre al romitorio di S. Pietro, accalcarsi dentro e d’intorno la cella
per mirare il corpo del loro generoso benefattore, del loro amato padre. Poi lo
cavano da quella specie di tomba, in cui vivente era stato come sepolto per
tanti anni; lo posano su di un carro ornato ed in processione trionfale lo
menano in città alla chiesa cattedrale; ove il vescovo lo riceve e colloca in
un posto di onore.
Abbiamo ancora un antico
uffizio che si recitava nelle feste di questo Santo: uffizio composto nello
stesso secolo duodecimo o al più tardi nei primi anni del tredicesimo prima che
il sacro corpo fosse portato a Benevento.
Come e quando poi il
culto reso al nostro Beato uscì fuori della Diocesi Arianese e si estese fino a
Roma, non sapremmo dirlo. Ma da Eriberto Rosweido, erudito ed esatto
raccoglitore degli Atti sinceri dei Santi e molto stimato dai Bollandisti,
sappiamo che a tempo suo aveva S. Ottone un altare ed una immagine a Roma nella
Chiesa dei Santi Martino e Silvestro ai Monti. Anche il Vitale, nelle Memorie
degli Uomini Illustri di Ariano, attesta il culto reso ad Ottone in Roma, nella
cappella gentilizia, che i Frangipane hanno nella Chiesa di S. Marcello.
Finalmente dalle Memorie di S. Ottone, stampate a Roma nel secolo passato,
rileviamo che questo Santo è venerato e festeggiato a Castelbottaccio, nella
Diocesi di Larino, che a Napoli trovavansi allora delle sue antiche immagini, e
che dalla Confraternita di S. Filippo Neri di Bologna era annovverato tra i
Santi protettori di ogni mese.
XIII. TRASLAZIONE DELLE
RELIQUIE
Circa l’anno 1220 i
Saraceni di Federico I! devastavano la Puglia, ed empiamente profanavano quanto
di più sacro aveva la Religione. La vicinanza del pericolo suscitò una tempesta
di contrarii affetti in cuore agli Arianesi a causa delle preziose Reliquie del
venerato e amato loro Patrono. Poiché ritenerle in Ariano esposte al non
lontano pericolo di profanazione sembrava loro grandissima imprudenza mandarle
altrove per metterle in salvo era come uno strapparsi il cuori dal petto.
Deliberarono a lungo, ed infine il partito della prudenza prevalendo si
decisero, a malincuore però, di trasportarle a Benevento, per metterle in salvo
dentro la cerchia di quelle fortissime mure.
Ma la fiducia posta né
Beneventani costò agli Arianesi ben cara; perché passò il pericolo, si
successero generazioni, ed essi non potevano ricuperare il sacro deposito, per
due lunghi secoli reclamato in vano. L’amore e l’odio altrui per le cose sacre
riusciva loro egualmente fatale; ed essi per evitare Scilla erano andati
incontro a Cariddi.
Finalmente nel 1452
Alfonso I re di Napoli prendendo a petto la causa degli Arianesi, che
ardentemente desideravano la restituzione del prezioso loro tesoro, con
pressante lettera prega il Cardinal Cerdano di volere e col Papa Niccolò V, e
coll’Arcivescovo di Benevento Giacomo della Ratta, efficacemente trattare della
restituzione del Corpo del B. Ottone alla chiesa di Ariano, come cosa reclamata
e dalla giustizia e dalla pietà. Non mancò il Cardinale di compiere
premurosamente l’incarico; ed ebbe il piacere di vedere la sua mediazione
coronata da felice successo.
Dopo circa 230 anni le
Sacre Reliquie di S. Ottone faveano ritorno in Ariano; ed immaginare si può
quantunque non detto dalla storia, con- quanta festa andasse ad incontrarle il
popolo, a riceverle e a riportarle alla Cattedrale. Silenzio più dispiacevole e
di maggior danno è quello che la storia intorno al luogo dove la maggior parte
delle ricuperate Reliquie fu posta. Quindi abbiamo la mortificazione e la pena
d’ignorare dov’è che esse ora sono nascoste.
Da due secoli almeno nel
tesoro della cattedrale non si vede delle Reliquie di S.Ottone che un braccio,
chiuso in un reliquiario di argento. E le altre? Non può dirsi che siano
rimaste a Benevento; sia perché il Ciacconio in modo assoluto scrive, che il Cardinal
Cerdano riusci nell’impresa; sia perché il Capozzi dice nella sua Cronaca di
Ariano che l’intero corpo del santo fu trasferito da Benevento e collocato in
una magnifica cappella ha chiesa Cattedrale; sia finalmente perché nel catalogo
sinodale delle reliquie possedute dalla chiesa di Benevento,fatto dal Cardinal
Orsini, non sono punto annoverate quelle di S. Ottone.
A Castelbottaccio in
provincia di Molise e diocesi di Larino si celebra la festa di S.Ottone e si
pretende che il corpo di lui stia sepolto e nascosto nella loro chiesa matrice.
Ma questa asserzione non ha altro fondamento che una vaga tradizione popolare;
con tre versioni diverse. La prima dice che il corpo di S. Ottone trovasi a
Castelbottaccio, colà trafugato, senza che si sappia nè come né quando, e senza
che in Ariano rimanesse traccia di questo furto; e questo è inverosimile. La
seconda pretende che S. Ottone non morì ad Ariano, ma a Castelbottaccio, ove
fuggendo da Ariano si era ricoverato. La terza crede che S. Ottone morì a Castelbottaccio,
ove recato si era nel 1178 per assistere alla consacrazione di quella Chiesa.
Ma queste due ultime versioni contraddicono a ciò che la storia afferma intorno
al tempo ed al luogo della morte del Santo; e quindi non si possono ammettere.
A Castelbottaccio da due
secoli almeno si venera il dito anulare di S.Ottone, ma senza autentica. Di
questo Santo, che hanno scelto anch’essi per Protettore, fanno ogni anno due
feste. Una minore il 15 Aprile in memoria di un miracolo non specificato; ed
una maggiore solennissima il 31 luglio. E quando nell’occasione di questa
seconda festività a Castelbottaccio si trova un Arianese, in testimonianza di
affetto fra le due popolazioni devote di S. Ottone, gli si fa il donativo di
Carlini sei (L. 2,55) e l’onore di portare alla solenne processione la croce di
argento. Se poi sono due, al secondo si fa lo stesso donativo, e l’onore di
portare lo stendardo o pure la statua del Santo Patrono.
Più probabile a me sembra
che le Sacre Reliquie di S. Ottone debbano stare là dove il Capozzi dice che
furono riposte, quando furono traslate da Benevento; cioé in quella cappella
della Cattedrale che è dedicata al Santo Patrono.Per timore appunto di qualche
rapimento pensarono occultarle,. mettendole sotto terra e più convenientemente
sotto l’altare.
XIV. MIRACOLI
Della gran moltitudine di
miracoli e grazie ottenuti da quelli che in tutti i tempi ricorsero a S. Ottone
pochi in verità sono specificatamente noti. Sappiamo però che molti al suo
sepolcro ottennero la guarigione da infermità e malattie d’ogni sorte, che
molti furono da lui liberati dalle infestazioni diaboliche. Sappiamo che nel
1528 allontanò dalla città la pestilenza, che nel 1590 la preservò
dall’incendio, che s’era appiccato nella sacristia della Cattedrale, che nel 1648
tenne lungi da essa i terribili mali dei rivolgimenti politici e della guerra
civile.
Essendo una fiata la
città assediata dai Saraceni, comparve S. Ottone in mezzo ad una oscura nuvola
gravida di tempesta, e mostrandosi minaccioso agli assedianti li atterri e con
una grandine di pietre li mise in fuga. Anche oggi in Ariano si mostrano delle
pietre, che una pia tradizione ritiene esser cadute allora dal cielo per la
liberazione della città.
Fra le persone
miracolosamente guarite da S. Ottone si annovera S. Elziario, conte e poi
patrono anch’esso di Ariano. In tempo di epidemia era esso gravemente malato ed
in pericolo di vita, quando il pio Ermengardo, suo genitore, fiduciosamente si
rivolse a S. Ottone, e ne ottenne la guarigione del diletto suo figliuolo. In
attestato poi della grazia ottenuta e della cordiale sua riconoscenza, fece il
Conte splendidi donativi, cioé molti beni alla cattedrale per aumentare il
numero dei ministri del culto del Santo
Patrono, ed il castello
di S. Eleuterio alla sede episcopale. Questo fatto è narrato dal Barberio, come
pure i due seguenti.
Nel 1558 venne dalla S.
Sede spedito in Ariano qual Vicario Apostolico Pietro De Perris; il quale
dubitando della legittimità del culto dato a S. Ottone ne fece togliere la
statua dalla pubblica venerazione. Quando ecco la notte seguente è
repentinamente preso da veementissima ambascia, che fieramente lo agita, e gli
sembra di essere da gravi colpi di pesanti bastoni percosso Pensando allora, e
non senza ragione, che ciò fosse un castigo della colpa commessa contro il
culto di S. Ottone, manda tosto persone a rimettere a suo posto la statua
veneranda, ed immantinente si sente libero da ogni affanno e da ogni dolore.
Simile cosa avvenne
quindici anni dopo, cioé nel 1573, a Pietro Antonio Vicedomini, anch’esso
Visitatore Apostolico in Ariano. Ignorando o non credendo ciò ch’era occorso al
De Petris, fa per lo stesso motivo rimuovere dalla nicchia la statua del Santo,
e ne riceve immediato e grave castigo. E’ un languore profondo che ribelle ad ogni
rimedio, va ogni di più crescendo fino a fare del tutto disperare della
guarigione. E pure completamente guarisce appena che viene da lui rivocato
l’ordine dato,. con l’ingiunzione di rimettere al suo posto la statua del santo
Patrono.
CONCLUSIONE
Non a pascere una vana
curiosità, o a dare uno sterile piacere son destinate le vite dei Santi; ma per
edificare le anime cristiane, eccitando in loro vera divozione; la quale
principalmente consta di fiducia nella protezione dei Santi amici di Dio,
d’imitazione delle loro splendide virtù, di onoranza ch’essi meritano e che i
fedeli loro debbono.
Perciò prima di deporre
questo piccolo libro, destinato ad accrescere e a perfezionare quella divozione
che per S. Ottone da sette secoli nutrono in cuore gli Arianesi, ogni lettore
in se stesso raccolto vada meditando quanta fiducia deve porre in questo Santo,
come deve seguire con l’imitazione le tracce luminose delle virtù di Lui, e
quale servigio ed onore deve tributargli.
Grande ed illimitata vuol
essere la nostra fiducia in un Santo che Dio stesso ha scelto e destinato
nostro avvocato, protettore e dispensatore delle sue grazie: in un Santo che
sia vivente ancor sulla terra, sia regnante con Cristo in cielo ha con amore e
zelo in nostro favore esercitato tal ufficio per sette secoli. Il passato ci è
garante dell’avvenire. A Lui dunque con piena fiducia faremo ricorso per
ottenere di essere liberati dalle tentazioni,dai pericoli,dalle miserie della
vita e di essere forniti dei beni dell’anima e del corpo,tutto disponendo Egli
ed ordinando al conseguimento dell’ultimo nostro fine, cioè della eterna
beatitudine nella patria celeste.
Non meno grande ed esatta
conviene che sia nei figli l’imitazione di un Padre sì perfetto; il quale con
l’Apostolo Paolo, ci dice: Siate miei imitatori com’io di Cristo, combattendo
per la giustizia, vivendo vita soprannaturale con aspirazione incessante al
cielo, e beneficando tutti.
Valoroso campione della
giustizia ci mostra il glorioso vessillo dell’invincibile costanza nel bene,
intorno a cui si arruolano gli uomini di carattere e di onore; e c’impone di
separarci dalla turba abietta dei vili; i quali dal razionalismo,dall’ateismo
politico e dal liberalismo privati di carattere, di religioneie e di coscienza;
legati da brutali passioni, da rispetto umano e da tirannia settaria; inetti a
conoscere la verità, a praticare la virtù, a compiere il loro dovere;
vigliaccamente prepotenti pel numero, a guisa gonfio e torbido torrente vanno
precipitando prima nella barbarie e poi nella eterna perdizione.
Quest’ammirabile
Pellegrino ci fa cenno di volgere con indignazione le spalle al pantano
pestilenziale della corruzione, ove il naturalismo, il sensismo ed il
materialismo hanno gettato scienze e lettere, arti e mestieri, scuole costumi
del mondo moderno, ed ove i discendenti delle bestie, con gusti e tendenze
bestiali, beatamente s’immergono: e c’invita a seguirlo su pel monte della
virtù cristiana, a fine di respirarvi liberamente l’aria soprannaturale della
grazia, e mirare più vicino il cielo, la vera patria dei credenti.
Prostrato a piedi dei
poveri e servendoli con le sue mani, c‘insegna compiuti in onore del Santo
Patrono nel sedicesimo e diciassettesimo secolo. In fatti nel Sec. XVI il
Vescovo Niccolò Ippoliti collocava la statua del Santo in una delle nicchie
della facciata della cattedrale. Il magistrato questo grande Benefattore quale
beneficenza dobbiamo noi stimare, amare praticare. Non quella legale
certamente, che con mezzi empii, iniqui, opprimenti toglie cento per dar uno ai
poveri dopo un secolo di aspettazione e di struggimento: non quella settaria,
che del soccorso temporale si serve per dannare eternamente l’anima: non quella
mondana, che prende il nome di filantropia; la quale corre allegramente a
divertirsi in un teatro a danzare in una festa da ballo con la scusa di
apprestar ajuto ai miseri danneggiati da inondazioni, incendi, tremuoti e
colera. No, non è questa beneficenza senza Dio, anzi nemica di Dio, che Egli
c’insegna; ma quella che da Dio è comandata, che a Dio si riferisce, anzi a Dio
stesso si fa nella persona dei poverelli. Questa con nome sacro chiamasi
carità, ed è cosa tutta santa nel principio, nel fine e nei mezzi: essa nobiltà
tanto chi la fa quanto chi degnamente la riceve, perché l’una e l’altro
rappresentante di Dio: essa sola congiunge i cuori con la catena indissolubile
dell’amore, dei benefici e della graditudine.
Ughelli loda lo zelo e la
pietà degli antichi Arianesi nel rendere il dovuto onore alloro illustre
Patrono; e l’Autore delle Memorie di S. Ottone che scriveva nel 1780, rende
testimonianza, che fino a quel tempo tale zelo e pietà non era venuto mai meno;
e nota alcuni atti della pietà Arianese, della città in tempo di penitenza
prometteva dodici ducati annui; e cento venti anni dopo. nel 1648. aumentava il
dono mutandolo in un ampio podere assegnato in dote alla cappella di S. Ottone.
L’anno 1579 il Vescovo
Donato de Laurentiis otteneva da Gregorio XIII per l’altare del Santo Patrono
l’indulgenza plenaria quotidiana in suffragio delle Anime purganti: in seguito
di che i fedeli fecero legati per tremila Messe annue da celebrarsi a questo
Altare privilegiato. Il secolo seguente vide per cura del Vescovo Ottavio
Ridolfi onorarsi di pitture la cappella, ricco di marmi l’altare, e l’effigie
di S. Ottone scolpita da egregia mano in finissimo marmo. Innanzi a questa
faceva bella figura una magnifica lampada di argento, che il patrizio arianese
Scipione Sebastiani, per gratidudine di scampato pericolo ad intercessione del
Santo, vi sospese, con incarico agli eredi di tenerla sempre accesa, e col dono
di dieci ducati annui.
Da quanto tempo la
lampada, le pitture, i legati delle tremila messe più non esistono, io non so:
ma so che stringe il cuore l’aspetto bujo, disadorno e freddo di quella
venerabile cappella! Or se non siamo figli degeneri dei nostri maggiori, e se
ancor vive in noi l’antica pietà e zelo per l’onore del nostro glorioso
Patrono, conviene darne la prova col ristabilire il decoro e lo splendore della
cappella a Lui dedicata. E per ciò ottenere un mezzo facilissimo sarebbe quello
di spendere a questo nobilissimo scopo quel danaro, che molti sciupano in baldorie
sotto pretesto di onorare il Santo. Non tutti capiranno questa parola, ma
quelli ai quali è concesso dall’indole dell’animo più docile e più gentile,
dall’educazione a civiltà e buon gusto, e specialmente dalla fede e grazia di
Dio.
In onore di S. Ottone si
celebrano in Ariano tre feste nel corso dell’anno. La prima il 23 Marzo, giorno
di sua morte beata: un’altra più solenne la 2 ° Domenica dopo Pasqua; preceduta
da Novena, in un giorno della quale si va in processione al romitorio di S.
Pietro, ove il Santo da eremita passò gli ultimi anni di vita mortale: la terza
finalmente fra l’Ottava dell’Assunta. Nel modo di celebrare queste feste
chiaramente si distinguono i veri dai falsi devoti di S. Ottone; questi
celebrandole in modo pagano, quelli in modo cristiano.Cristiana è la festa
quando si ha raccoglimento di sensi, purificazione di coscienza, elevazione del
cuore, santificazione dell’anima tutta quanta, mediante la predicazione della
parola di Dio, la meditazione e la preghiera, la confessione e la comunione, la
gala stessa e lo sfoggio ben ordinato di lumi, di fiori e di musica.
Paganizzano poi il culto
cristiano coloro, che in occasione delle feste dei Santi Patroni, vanno in
cerca di ciò che distrae l’animo, sodisfa i sensi ed eccita le passioni; e
quindi non è meraviglia se questi falsi divoti la loro festa pagana finiscono
nella dissoluzione, nello stravizzo, e nelle risse.
Or l’efficace protezione
dei Santi non se la possono ragionevolmente aspettare i falsi divoti ma i veri;
perciò a me piace finire con le belle parole del Manzoni, che al nostro caso
fanno molto a proposito:
Lungi il grido e la
tempesta
Dei tripudii
inverecondi,
L’allegrezza non è questa
Di che i giusti son
giocondi;
Ma pacata come segno,
Ma celeste come pegno
Della gioia che verrà.
da FRAMMENTI raccolti da
Lello Guardabascio -Politografica Ruggiero - luglio 1982
La grandine di pietre
caduta dal cielo sopra i saraceni per intercessione di S. Ottone mentre
assediavano Ariano
LE PIETRE DI S. OTO
di Vittorio D’Antuono
Poco è giunto fino a noi
delle notizie riguardanti S. Ottone; le opinioni a riguardo sembrano essere
alimentate più dalla fervida immaginazione dei fedeli e da un antico
risovvenire popolare che da una rigorosa indagine storica.
E qui che storia e
credenza popolare si fondono mirabilmente in un legame che a noi non spetta
disgregare né tantomeno conoscere fino in fondo.
Nel viaggio verso la non
dimenticanza, le voci remote, sopraffatte dall’ irriverente corso degli anni,
percorrono la loro ascesa dai luoghi trascorsi dell’oblio; gonfiano i loro
corni, ricomparendo in una muta processione alimentata da reminiscenze lustrali.
Le nebbie dei tempi si diradano tanto da permetterci di scorgere, tra il pigro
retrocedere delle brume, squarci di un paesaggio antico: gli anfratti delle
vecchie mura, il castello, risvegliatosi dal suo sonno eterno, i vicoli, le
viuzze fangose.
Un manipolo di saraceni
in armi minaccia la distensione del luogo ed Ottone compare dall’alto delle
mura compiendo il miracolo: il sole, mutilato dei suoi raggi scarlatti scompare
dietro una spessa coltre di nubi.
Greve cade sui pagani
aggressori una grande quantità di pietre nerastre, che, in lento inesorabile
incalzare. spinge via i superstiti in cerca di riparo, giù per i frondosi
valloni.
A tal proposito, nel
1596, Giovan Battista Capozzi, così ebbe a scrivere: “Si degno’ Iddio oprar
molti miracoli per li meriti di questo Santo, e specialmente proteggendo la
Città d’Ariano nelle sue necessità, particolarmente allor che li Saraceni
venuti dalla Puglia chiamati dall’ Imperadore Federico assalendo la Città
d’Ariano con numeroso esercito, il Popolo correndo dal Santo, a ciò pregasse
Iddio, che li liberasse dalle mani di quei barbari.
Egli postosi in orazione
nel suo Tugurio, incontenente s’oscurò il Cielo, e incominciò a piovere sopra
quei barbari una gran tempesta di grossi sassi di varie forme, e di grave peso
differenti di materia da altri naturali sassi, da questi vedendosi oppressi
quei barbari, lasciarono l’assedio, e con precipitosa fuga si partirono.
Queste pietre si
conservano sino al presente in detta Città d’Ariano, molte delle quali si
vedono fabricate nelle mura delle Case al di fuori, e a vista publica, e molte
altre dentro le abitazioni, per segno, e memoria del meracolo”.
Oggi, infatti, quando il
sollecito viandante si avvia nell’intrico dei vicoli, scorge, tra il marciume
delle calcinature e tra generazioni sovrapposte di edere intricate, gruppi di
ciottoli nerastri volgere la loro accorata preghiera ad un cielo perlaceo di un
nitore quasi evanescente.
In apparenza statici e
silenziosi essi però sono non del tutto muti; all’ascoltatore attento e
all’osservatore paziente sanno raccontare una vicenda antica che rivive nei
coloriti racconti dei vecchi e nelle reminiscenze dei pochi, memori di una storia
che valica i limiti temporali dell’uomo e che perdura con esso nella sua
tradizione secolare e nella semplicità del suo vivere giornaliero.
Circa quattro secoli dopo
il miracolo, nel XVII secolo, il vescovo Caiazza, avendo ricevuto da Fabio
Barberio l’opera “De miraculosa lapidum pluvia instar grandinum adversus
Saraceno?’ a lui dedicata come ci riferisce Tommaso Vitale, rese merito al
Santo, celebrandone il prodigio con una lapide marmorea; imprigionata nella
staticità della pietra, nella cappella di S. Ottone alla Cattedrale, la
pristina epigrafe così recitava:
LAPIDAE CRANDINES
AB AERE DELAPSAE ADVERSUS
SARACENOS
SANCTI OTHONI PRECIHUS
DUM ARIANO OBSEDERANT
Rifatta, ancora oggi
eleva al cielo la sua prece e la si trova incastonata nelle mura perimetrali
della Chiesetta del Crocifisso, insieme ad altre lapidi ed alle pietre di S.
Oto.
Le suddette pietre,
definite anche pietre panopee, ovoidali per forma ed irregolari per dimensioni,
nell’immaginario collettivo sono la prova tangibile di un Santo non più
“prutittore di li frastieri”, ma pastore e guida dei suoi fedeli.
In tempi più recenti,
precisamente durante il terremoto del 1980, fra il polverone della terra
sconvolta dal moto orrendo, qualcuno sostenne di aver visto il Santo Eremita
sorreggere il campanile della Cattedrale per tutta la durata del movimento
sismico. La torre campanaria, deturpata dalla macabra danza, rovinò al suolo
soltanto dopo la fine del sisma...
E pensare che a
Castelbottaccio, comune in provincia di Campobasso, in cui al pari della nostra
città si venera S. Oto, si racconta che il nostro protettore, abbandonato il
Tricolle, perché disgustato del comportamento degli Arianesi, e rifugiatosi nel
suddetto paese, scaricò sugli stessi Arianesi che lo inseguivano per riportarlo
indietro, un’abbondante quantità di pietre, costringendoli ad una precipitosa
fuga.
Al di là dei
numerosissimi aneddoti, ciò che risulta essere realmente importante è il
profondo legame interiore che unisce noi Arianesi non solo alla nostra città ma
anche ad un protettore sempre più sentito; legame alimentato da ricordi
sovrapposti di generazioni differenti e temprato alla viva fiamma della fede
popolare.
La storia non necessita
di belle parole; essa rivive nei vicoli, nelle stradine, nelle piazze, nel
vociare del volgo. dove il tutto si amalgama meravigliosamente nell’inchiostro
di un libro ancora da scrivere.
Del resto, come sosteneva
lo storico francese Patrice de la Tour du Pin:
“i paesi senza più
leggenda saranno destinati a morire di freddo”.
“GUIDA TURISTICA DI
ARIANO CITTA’ CAPITALE” a cura di Mario e Ottaviano D’Antuono Tipografia IMPARA
- giugno 2001-
SOURCE : http://www.culturaariano.it/ARIANOIRPINO/ISUOISANTI/SOTTONE/tabid/123/Default.aspx